
La crisi di Sigonella è stata una delle crisi diplomatiche più importanti tra Stati Uniti e Italia: iniziata il 7 ottobre 1985, con il dirottamento dell'Achille Lauro da parte di 4 palestinesi membri del FLP, proseguì fino all'11 ottobre 1985, con gli USA che accettarono la competenza italiana a intervenire giuridicamente contro i dirottatori.
Mentre gli Stati Uniti rivendicarono fin da subito il proprio diritto a intervenire, il governo italiano guidato da Bettino Craxi ribadì più volte la propria giurisdizione, essendo l'Achille Lauro una nave battente bandiera italiana e, quindi, considerata come territorio italiano.
A 40 anni di distanza, l'episodio, ricostruito in nuovo documentario in onda su LA7, resta un incidente diplomatico senza precedenti per Italia e Stati Uniti, due storici alleati: lo stallo culminò l'11 ottobre 1985, quando un cordone di 20 Carabinieri italiani e 30 avieri della VAM (posti a protezione dell'aereo sul quale viaggiavano i dirottatori palestinesi dell'Achille Lauro) fu accerchiato da 50 militari USA della Delta Force.
La cronologia degli eventi: il dirottamento dell'Achille Lauro
Tutto ebbe inizio il 7 ottobre 1985, quando, alle 13:10 (ora italiana) un commando di 4 palestinesi, imbarcatisi con identità false e i bagagli pieni di armi, sequestrò la nave da crociera italiana Achille Lauro, mentre si trovava in navigazione in acque egiziane tra Alessandria e Porto Said, per dirottarla verso la Siria. A bordo della nave viaggiavano oltre 500 persone, di cui più della italiane: dopo circa 7 ore, i sequestratori, che si dichiararono membri del Fronte di Liberazione Palestinese (FLP) si misero in contatto con le autorità per comunicare che, nel caso in cui non fossero stati liberati 50 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, avrebbero iniziato a uccidere i passeggeri della nave, a partire dagli americani.
A quel punto il governo italiano, guidato dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi, si attivò immediatamente: trattandosi di una nave battente bandiera italiana, infatti, l'Achille Lauro era considerata parte del territorio italiano. In altre parole, era lo Stato Italiano ad avere la giurisdizione, ossia la competenza giuridica a intervenire.
I tentativi di mediazione del governo italiano
La linea d'azione italiana puntava a un approccio diplomatico, con l'obiettivo di mediare con i dirottatori, offrendo loro la possibilità di fuggire in un Paese arabo, purché non fossero stati commessi reati contro i passeggeri: nella notte tra il 7 e l’8 ottobre partì quindi l’operazione Margherita, con l’obiettivo di individuare la precisa posizione della nave.
Alle 22:30 del 7 ottobre l'allora Ministro degli Esteri, Giulio Andreotti chiamò il leader dell'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) Yasser Arafat a Tunisi, che negò qualsiasi coinvolgimento della sua organizzazione, ma mise a disposizione due mediatori per risolvere la crisi, tra cui Abu Abbas, fondatore del FLP di cui facevano parte gli attentatori. Al tempo stesso, Andreotti riuscì a mettersi in contatto con il Ministro di Stato egiziano Butros Ghali, il quale assicurò che l'Egitto avrebbe fatto il possibile per aiutare il governo italiano, disponibilità poi confermata anche dal governo tunisino.
Attorno alla mezzanotte, si mise comunque in moto la macchina militare italiana, nel caso in cui fosse stato necessario ricorrere a un intervento armato per recuperare l'Achille Lauro: l'ammiraglia Vittorio Veneto ricevette l'ordine di dirigersi verso l'Egitto, mentre dalla base di Livorno partirono a bordo di 4 elicotteri pesanti HH-3F circa 60 paracadutisti del 9° battaglione d'assalto “Col Moschin”, diretti verso la base inglese della RAF (Royal Air Force) di Akrotiri, a Cipro. Il Regno Unito, infatti, ne aveva autorizzato l'utilizzo per tutte le operazioni relative alla liberazione della nave.
Tra l'8 e il 9 ottobre, la tensione continuò a crescere, con i dirottatori che arrivarono a uccidere Leon Klinghoffer, cittadino americano di religione ebraica. Inizialmente, però, questo delitto fu tenuto nascosto al governo italiano, che riuscì a ottenere il rientro della nave a Porto Said, in Egitto, il 10 ottobre 1985.
Il problema è che Klinghoffer era, appunto, di nazionalità americana: questo significava che, a questo punto, anche gli USA potevano rivendicare la propria competenza giuridica a tutela del proprio cittadino e, visti i soggetti coinvolti, ne avevano tutta l'intenzione.
Il dirottamento del Boeing EgyptAir verso la base NATO di Sigonella
La mediazione italiana puntava a convincere i dirottatori a non commettere alcun reato contro i passeggeri dell'Achille Lauro: dopo la notizia dell'uccisione di un cittadino americano, gli USA, già coinvolti fin dall'inizio, cominciarono a rivendicare la propria giurisdizione dichiarando la propria intenzione di arrestare e sottoporre a processo i quattro dirottatori palestinesi.
Si decise di trasferire nell'immediato i 4 palestinesi a Tunisi, dove all'epoca aveva sede l'OLP: alle 21:15 del 10 ottobre 1985 un Boeing 737 dell'Egypt Air lasciò quindi il Cairo diretto in Tunisia. A bordo c'erano i 4 dirottatori palestinesi, alcuni funzionari egiziani, dieci militari armati e anche Abu Abbas (membro del FLP) e Hani al-Hassan.
Durante il volo, tuttavia, due F-14 americani intercettarono il Boeing egiziano e lo costrinsero a un atterraggio forzato nella base NATO di Sigonella, in Sicilia, dove atterrarono (senza autorizzazione della torre di controllo) anche due Lockheed C-141 Starlifter (degli aerei da trasporto militare) della Delta Force. La scelta di Sigonella non fu casuale: gli USA ritenevano infatti che non avrebbero potuto ottenere l'autorizzazione negli aeroporti di Creta e Cipro, mentre le basi USA nel Regno Unito erano considerate troppo lontane per l'autonomia del Boeing EgyptAir. Il problema è che, anche in questo caso, il governo italiano non fu interpellato dagli Stati Uniti.

Alle 00:16 dell'11 ottobre 1985, si aprì la vera crisi diplomatica: il Boeing egiziano, atterrato a Sigonella, venne subito circondato da 20 Carabinieri italiani e 30 avieri in servizio di leva della Vigilanza Aeronautica Militare (VAM), ossia tutte le forze armate italiane presenti nella base siciliana. Ma attorno al cordone italiano, posto a protezione dell'aereo, se ne creò un secondo, composto da 50 militari USA della Delta Force. La portata di questo evento è enorme ancora oggi: forze armate italiane circondate da forze armate statunitensi, una contrapposizione tra due storici alleati.
Lo stallo era evidente: da un lato, l’Italia pretendeva che il caso fosse gestito dal proprio ordinamento giudiziario, con un regolare processo per decidere, eventualmente, se estradare i dirottatori negli USA. Dall'altro lato, gli statunitensi consideravano la questione come un’operazione di polizia internazionale, non riconoscendo la priorità dell’ordinamento giuridico italiano e rivendicando la propria competenza per intervenire dopo l'uccisione di un proprio cittadino.
Alle 03:30 dell'11 ottobre il Presidente americano Ronald Reagan chiamò Bettino Craxi, che ribadì la posizione italiana, confermando che non avrebbe concesso ai militari USA di arrestare i dirottatori palestinesi, trattandosi di reati avvenuti in territorio italiano e, quindi, sotto giurisdizione dell'Italia. A quel punto, il Presidente Reagan prese atto di questa posizione, preannunciando l'intenzione del governo americano di chiedere l'estradizione dei quattro, sulla base del trattato vigente in materia tra Stati Uniti e ltalia.

Dopo il ritiro dei militari americani, il governo italiano decise di trasferire il Boeing egiziano all’aeroporto di Roma Ciampino, scortato da alcuni caccia dell’Aeronautica Militare Italiana e decollato alle 21:30 dell'11 ottobre 1985. Alcuni minuti dopo, da Sigonella decollò anche un caccia F-14 americano della Sesta Flotta, che cercò di interferire con il volo della formazione italiana, tentando di dirottare l’aereo egiziano per assumerne il controllo. I caccia italiani, tuttavia, riuscirono a dissuaderlo e l'F-14 si ritirò.
I quattro dirottatori palestinesi furono processati in Italia e condannati a pene comprese tra i 15 e i 30 anni di carcere. Abu Abbas, considerato tra i responsabili del dirottamento dell'Achille Lauro, fu invece condannato in contumacia (ovvero in sua assenza) all’ergastolo: il 15 aprile del 2003 venne catturato in Iraq dall'esercito americano, morendo un mese dopo sotto la custodia statunitense.