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7 Ottobre 2024
19:30

Smartwatch, smartband, smart ring: i dispositivi indossabili sono un successo o un flop?

Nel complesso, il mercato di smartwatch, smartband e smart ring non soddisfa le aspettative. Concepiti come accessori indispensabili per gli smartphone, non ne hanno bissato il successo.

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Smartwatch, smartband, smart ring: i dispositivi indossabili sono un successo o un flop?
Wearable smartwatch
Uno smartwatch con sistema operativo stand–alone.

Si chiamano wearable, letteralmente «indossabili». Un termine che nel mercato dell'elettronica fa riferimento a tutti quei dispositivi con funzionalità smart, pensati appunto per essere indossati. Smartwatch (orologi), smartband (bracciali) e, più recentemente, smart ring (anelli), una vera e propria invasione che nel corso degli anni ha visto diverse aziende affacciarsi a questo particolare mercato. Si perché diversamente da quanto si possa pensare non è stato Apple Watch a inaugurare il settore. L'orologio dell'azienda di Cupertino è stato infatti commercializzato nella primavera del 2015, con il Galaxy Gear di Samsung presentato invece a settembre 2013.

Prodotti inizialmente concepiti per essere delle estensioni dello smartphone, di fatto inscindibili dal telefono. Oggi la situazione è cambiata ed è possibile ad esempio utilizzare alcuni smartwatch indipendentemente dalla presenza di uno smartphone, grazie all'integrazione di veri e propri sistemi operativi e, soprattutto, della connettività cellulare. Un passaggio, questo, probabilmente cruciale per toccare il nocciolo della questione: considerando gli oltre 10 anni di vendite, questi prodotti possono essere definiti un flop? La questione è complessa e merita un approfondimento.

Vendite di smartwatch e smartband sotto le aspettative: i dati

I primi wearable sono stati commercializzati in un momento storico in cui il mercato smartphone cresceva a doppia cifra. Pensate che nel 2013 sono stati venduti oltre 1 miliardo di smartphone, con una crescita netta del 38% rispetto al 2012. Un andamento che si sarebbe ripetuto anche negli anni successivi, almeno fino al 2018. Da quel momento, complice anche la saturazione (nei mercati principali praticamente tutti hanno un telefono), la crescita si è arrestata e oggi assistiamo a una situazione stagnante: il 2023 ha registrato il più basso volume di smartphone distribuiti nel mondo in un decennio, oltre a un calo del 3,2% rispetto all'anno precedente.

Gli indossabili non sono riusciti a salire sul treno. Il ragionamento dei brand all'epoca era molto semplice: tutti comprano uno smartphone e sono dunque interessati agli accessori. Effettivamente sono stati anni di incredibile crescita anche per prodotti come cover, caricabatterie, auricolari. Smartwatch e smartband (bracciali che monitorano la frequenza cardiaca e altri parametri, che a differenza degli smartwatch non necessitano di un collegamento allo smartphone) non hanno attirato la medesima attenzione, o meglio si sono riposte in essi delle aspettative ben al di sopra delle loro potenzialità commerciali. Un numero su tutti: nel 2015 sono stati venduti 50 milioni di wearable, a fronte di oltre 1 miliardo di smartphone. Una sproporzione per certi versi impressionante.

Una situazione che peraltro si è ripetuta negli anni a venire, con stime di vendita costantemente disattese. Nel 2016 si prevedeva un raddoppio del mercato degli indossabili nel 2017, addirittura un +200% nel 2018. Numeri che non si sono mai verificati, con il mercato wearable che ad oggi piazza circa 190 milioni di pezzi (dato aggiornato al 2023, in attesa di conoscere le cifre messe a segno nel 2024).

Ma quali sono le ragioni di questo mancato decollo?

Prezzi e funzionalità limitate in alcuni mercati: perché i wearable non decollano

La questione dei prezzi ha certamente avuto un ruolo determinante. L'Apple Watch di prima generazione partiva da 399 euro e poteva toccare i 649 euro a seconda delle configurazione. Il modello più recente invece, il Serie 10, parte da 459 euro e arriva a 859 euro nella sua variante più costosa. Lo smartwatch è di fatto diventato costoso tanto quanto uno smartphone (al netto di modelli molto più economici), senza però poterlo sostituire completamente.

Wearable smart ring
Un modello di smart ring.

C'è poi il tema delle funzionalità. I wearable si sono orientati sempre di più verso il monitoraggio di tutta una serie di parametri legati alla salute: controllo del battito cardiaco, del livello di ossigenazione del sangue, persino la possibilità di effettuare un ECG (elettrocardiogramma). Possibilità che però sono spesso limitate in alcuni mercati a causa di leggi più stringenti in materia rispetto ad altri territori. Un esempio pratico: negli Stati Uniti i dati raccolti dagli smartwatch hanno una valenza medica, tanto da essere riconosciuti anche dalle assicurazioni sanitarie. Cosa che non può avvenire, invece, nell'Unione Europea. Un limite che na ha impedito la diffusione in una fascia di popolazione, quella più anziana, che ne avrebbe tratto un evidente giovamento.

E poi c'è il tema dell'autonomia. Alcuni modelli oggi garantiscono anche una settimana di utilizzo prima di dover essere ricaricati, ma questo costringe a non includere tutta una serie di funzioni. Quelli invece funzionalmente più completi, difficilmente superano le 24-48 ore. Una rogna non da poco, considerando come oggi si sia già costretti a ricaricare lo smartphone, il computer, il tablet, gli auricolari wireless.

La questione è dunque molto semplice: i wearable non sono riusciti a rappresentare un accessorio indispensabile per gli smartphone. Staremo a vedere se la prossima generazione di dispositivi indossabili (magari costituita da occhiali smart e visori per la realtà aumentata) e di tecnologie per la connettività (come il Bluetoot 6.0) raggiungeranno l'obiettivo fallito da smartwatch e smartband.

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