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4 Luglio 2024
20:00

La pecora Dolly: storia e importanza del primo mammifero clonato

Il 5 luglio 1996 nasceva Dolly, il primo mammifero clonato da una cellula somatica. Il risultato portato a termine nel 1996 dal Roslin Institute in Scozia fu una pietra miliare nella storia della biologia molecolare perché dimostrò la possibilità di rigenerare esseri viventi.

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La pecora Dolly: storia e importanza del primo mammifero clonato
Pecora Dolly com'e stata clonata
Preparazione tassidermica di Dolly, esposta al National Museum of Scotland

Chiunque ha sentito parlare almeno una volta della pecora Dolly, il primo mammifero ad essere stato clonato con successo. È diventata l’icona dell’ingegneria genetica e di molti pregiudizi e leggende metropolitane. Ne è passato di tempo da quando è nata, ma l’evento non è andato nel dimenticatoio, anzi, è divenuto un tassello fondamentale nella storia del progresso scientifico. Ma com'è stata clonata dal punto di vista biologico? E qual era l'obiettivo dell'esperimento?

La storia di Dolly

La notizia della nascita del primo clone di mammifero nella storia fu annunciata pubblicamente nel febbraio 1997: fu un momento storico importantissimo in cui il mondo assisté ad una vera e propria rivoluzione nel campo dell’ingegneria genetica e della medicina. Era stata clonata una pecora, e con successo, per giunta.

L’animale in questione fu chiamato Dolly e nacque il 5 luglio 1996 in circostanze decisamente particolari, presso i laboratori del Roslin Institute in Scozia (Roslin, cittadina a sud di Edimburgo). Il nome le fu dato in onore “regina del country” Dolly Parton.
Questo individuo, vero in tutto e per tutto, fu ottenuto grazie ad una cellula originaria e a quelle che, per l’epoca, erano avanzate tecniche bioingegneristiche.

Per quanto straordinaria, Dolly fu una pecora normale: visse una vita di tutto rispetto, ebbe 6 agnellini e morì il 14 febbraio 2003 abbattuta all’età di 6 anni a seguito di un’infezione polmonare di difficile trattamento. Essendo unica, però, le sue spoglie furono successivamente impagliate ed esposte al Royal Museum di Edimburgo dove si trovano tuttora. Fine della storia. Beh, non proprio… abbiamo saltato la parte più interessante.

Vi siete mai chiesti come è stata clonata Dolly e che tipo di materie prime sono servite per sviluppare una pecora identica ad un’altra?

La storia della Pecora Dolly clonazione
Credit: Toni Barros from São Paulo, Brasil, via Wikimedia Commons

Com’è stata clonata la pecora Dolly

Dolly fu clonata partendo da una cellula di ghiandola mammaria appartenente ad una pecora “madre” dell’età di 6 anni, nata qualche anno prima. Il nucleo di questa cellula – di fatto già specializzata e reputata, fino a qualche tempo prima, non in grado di compiere nessun altro lavoro se non quello per lei prestabilito – è stato inoculato in una cellula uovo denucleata artificialmente, indotta allo sviluppo tramite elettroshock e successivamente impiantata in un’ulteriore pecora adulta per poter continuare la gestazione.

Dolly è stata quindi partorita come tutte le altre pecore, ma ha avuto, se vogliamo, 3 “mamme”: la prima nonché donatrice di cellula mammaria (di razza Finn-Dorset), la seconda da cui è stata prelevata la cellula uovo (di razza Scottish Blackface) e la terza madre surrogata che ha portato a termine lo sviluppo e ha dato alla luce la fantomatica Dolly.
Di chi porta, quindi, il corredo genetico? Della prima madre, quella da cui ha ottenuto il DNA completo (diploide) che è stato impiantato nella cellula uovo “vuota”.

Quando parliamo di organismi diploidi come noi esseri umani e i nostri parenti mammiferi, stiamo intendendo che metà del nostro corredo genetico deriva da parte di madre e l’altra metà da parte di padre. Queste due metà di incontrano durante la fecondazione quando cellula uovo e spermatozoo (entrambi con metà corredo e quindi definiti aploidi) si incontrano dando vita ad una cellula fecondata (diploide) da cui, per divisione cellulare, si svilupperanno e differenzieranno tessuti, organi e apparati.

Somatic Cell Nuclear Transfer Clonazione Dolly

Quando però un individuo viene clonato non c’è fecondazione, il DNA utilizzato è già diploide e completo, non c’è nessun gamete che deve incontrarsi con la controparte per dare origine ad uno zigote; si usa una cellula uovo “vuota” privata del nucleo che viene “riempita” con un nuovo nucleo al cui interno abbiamo il DNA di interesse. Dovremo quindi “ingannare” la cellula uovo “facendole credere” di essere stata fecondata in maniera naturale, riprogrammarla facendola tornare allo stato di blastocisti, attivare il processo di duplicazione cellulare e creare una cultura di cellule embrionali staminali (ESCs).

Per mettere i puntini sulle i possiamo chiamare tutte le cellule del corpo (tranne quelle gametiche) cellule somatiche, come lo sono quelle della pelle, del fegato e del cuore. Ecco, Dolly è stata ottenuta dal DNA di una cellula somatica della mammella tramite una tecnica che si chiama Somatic Cell Nuclear Transfer (SCNT).

I realtà Dolly non è stato il primo animale clonato nella storia, sono stati effettuati diversi esperimenti ben prima di questo evento: nel 1962 è stata clonata con successo una rana ad opera del biologo britannico John Bertrand Gurdon, divenuto poi Nobel per la Medicina – ricordatevi di lui, lo citeremo più avanti.

Quali erano gli obiettivi del progetto

Il clonaggio di Dolly ha avuto come obiettivo quello di provare la possibilità di rigenerare gli esseri viventi, partendo dalle loro basi ovvero le cellule. L’idea divenuta poi raggiungibile fu quella di trovare un metodo per ottenere artificialmente un animale con le stesse caratteristiche di uno preesistente e di verificare la possibilità di riprogrammare le cellule generando culture embrionali. Siamo partiti storicamente con piccoli vertebrati per poi passare ai mammiferi, nel tentativo di perfezionare tecniche utili per l’applicazione medica.

Le cellule si rigenerano ma l’animale, in qualche modo, rinasce? Beh, non proprio ma in parte sì. Cioè geneticamente parlando sarà identico all’individuo originale al 100%. Non sarà però lo stesso identico individuo avendo subito pressioni diverse sul fronte ambientale, comportamentale, epigenetico.

Le conseguenze dell'esperimento: l'impatto nel mondo scientifico

L’enorme risvolto che ha portato la ricerca sulla clonazione ha a che vedere con la scoperta della reversibilità della differenziazione cellulare. Le cellule differenziate non sono immutabili, possiamo riportare l’orologio biologico cellulare al punto zero e farlo ripartire.

Oggi la clonazione viene utilizzata nell’allevamento per evitare incroci lunghi e complessi tra individui, permettendo inoltre il mantenimento di un certo standard organolettico nella qualità della carne e dei prodotti derivati oltre a garantire grandi quantità di latte (animali transgenici).

Ci sono anche centri di ricerca che si occupano di riportare in vita – se così si può dire – animali estinti come i mammut, impiantando DNA antico in cellule denucleate di animali viventi il più strettamente imparentati possibili (cellule uovo di elefante, in questo caso). E c’è anche chi sfrutta queste tecniche per riportare in vita i propri amici a quattro zampe, rivolgendosi ad aziende private per clonare il proprio animale domestico (principalmente cani e gatti) al costo di qualche decina di migliaia di euro.

Un’altra applicazione, di nobili vedute, prevede la clonazione come metodo di salvaguardia delle specie a rischio d’estinzione, sopperendo alle difficoltà nella riproduzione per alcune popolazioni con bassa densità o difficoltà di accoppiamento.

La storia della Pecora Dolly riportare in viva un mammuth

Al momento sono in corso studi mirati per migliorare le odierne tecniche di clonaggio degli organi da trapianto, così come alcune tecnologie all’avanguardia che possano far regredire le cellule somatiche allo stadio di cellule staminali pluripotenti, ovvero cellule potenziali in grado di differenziarsi e diventare una nuova cellula specifica. Lo studio di queste cellule “riportate” allo stadio embrionale (meglio dette IPS = staminali pluripotenti indotte), ha portato John Gurdon e Shinya Yamanaka a vincere il Premio Nobel per la Medicina nel 2012. Vi ricordate di Gurdon? Colui che clonò una rana ben prima di Dolly.

Tutto bellissimo e affascinante, c’è però un grande “ma” che ha a che fare con l’incidenza dell’etica e della bioetica sulle pratiche di ricerca, per non parlare dell’opinione pubblica sul tema. Ricordiamoci però che grazie a queste tecniche biotecnologiche, ora ben più innovative rispetto gli anni ‘90, siamo in grado di generare cellule staminali in molti mammiferi tra cui topi, conigli, capre, scimmie e noi esseri umani, le cui applicazioni spaziano dalla terapia cellulare, alla cura di malattie genetiche rare, dalla ricerca anti tumorale alla medicina applicativa.

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Nicole Pillepich
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Credo non esista una parola giusta per definirmi: sono naturalista, ecologa, sognatrice e un po’ artista. Disegno da quando ho memoria e ammiro il mondo con occhio scientifico e una punta di meraviglia. Mi emoziono nel capire come funziona ciò che mi circonda e faccio di tutto per continuare a imparare. Disegno, scrivo e parlo di ciò che amo: natura, animali, botanica e curiosità.
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