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Sebbene il tabacco sia largamente associato, nell'immaginario collettivo, al continente americano, esso è ben presto divenuto un prodotto a diffusione planetaria. Già in epoca coloniale, gli europei contribuirono alla sua commercializzazione oltremare e alla creazione di una fiorente industria stimolata dalla forte crescita della domanda dei suoi prodotti derivati (sigarette, sigari, tabacco da pipa, solo per citarne alcuni). Con il trascorrere del tempo, l'emergere di nuovi mercati, soprattutto tra i paesi in via di sviluppo, ha cambiato la geografia economica e quella politica del tabacco mentre la scoperta dei suoi potenziali effetti nocivi sulla salute degli individui ha reso impellente l'adozione in molti paesi di legislazioni più stringenti al fine di tutelare la salute pubblica.
La origini della pianta di tabacco
Esistono 79 specie diverse di piante che formano il genere Nicotiana, tuttavia sono solamente due (Nicotiana Tabacum e Nicotiana Rustica) a essere utilizzate nell'economia del “tabacco” come la intendiamo noi. La differenza principale tra le due è il contenuto di nicotina concentrato nelle foglie, che nel caso di Nicotiana Tabacum è compreso tra l'1% ed il 3% mentre nel caso di Nicotiana Rustica arriva addirittura al 9%. Questo fa sì che la prima sia di gran lunga la preferita a livello industriale-commerciale, tuttavia in alcuni paesi la coltivazione di Nicotiana Rustica è prevalente.

I popoli delle Americhe hanno a lungo utilizzato le piante da tabacco per una pluralità di usi, da quelli a scopo cerimoniale-religioso sino al ruolo di valuta di scambio. Furono i colonizzatori europei a portare il tabacco in Europa e da qui esso si diffuse a macchia d'olio sull'intero globo. Nel corso dei secoli, la coltivazione del tabacco e la produzione di beni di consumo da esso derivati come le celeberrime sigarette, ma anche i sigari, il tabacco da pipa e via discorrendo ha assunto valenza universale perchè contrariamente al cotone oppure al caffè, giusto per fare due esempi, il tabacco si è dimostrato assai resiliente sia nei confronti dei cambiamenti del clima sia nei cambiamenti ambientali e ciò ha permesso a tutti i paesi (con l'eccezione del Bhutan) di creare delle locali “industrie per la produzione del tabacco”.
Elemento che ha grandemente favorito la diffusione del tabacco è il suo massiccio consumo nelle forme più disparate, come le sigaretta a tabacco riscaldato di ampio uso negli ultimi anni, favorito dal contenuto di nicotina la quale ha effetto assuefante per coloro che la assumono in modiche quantità. Con l'andar del tempo il consumo di tabacco (in particolare di sigari) ha creato una vera e propria “cultura” spesso associata alla mascolinità, come durante gli anni ruggenti di Hollywood e della contestazione giovanile.
I Paesi produttori nel mondo
Stando ai dati pubblicati dalla FAO, l'espansione della produzione mondiale di tabacco ha vissuto il suo periodo d'oro nell'arco temporale compreso tra il 1971 ed il 1997 quando essa crebbe del 40% passando da 4,2 milioni di tonnellate di foglie prodotte nel 1971 a 5,9 milioni di tonnellate di foglie prodotte nel 1997, con un picco di 7,5 tonnellate di foglie prodotte nel 1992, record che tutt'oggi resta ineguagliato. Interessante notare che ad un calo della produttività registrato nei paesi sviluppati ha fatto da contraltare un fortissimo incremento (+128%) nei paesi in via di sviluppo, ed anche in questo caso la “parte del leone” è toccata alla Cina la cui quota di produzione mondiale di foglie di tabacco è passata dal 17% nel 1971 al 47% nel 1997.
Come già accennato prima, l'unico paese al mondo nel quale non vi è alcuna produzione, neanche in forma minimale, di tabacco è il Bhutan che, inoltre, ancora oggi applica anche una severissima politica di divieto di commercializzazione di qualsiasi derivato della lavorazione del “materiale grezzo”. Esclusa questa doverosa eccezione, se consideriamo tutti gli altri paesi del mondo, vi è comunque una gerarchia che separa una decina di grandi produttori concentrati in sei aree ben localizzate dalla massa di tutti “gli altri”. Sempre secondo i dati FAO aggiornati al 2022, tali aree di produzione sono: la Cina, il Subcontinente Indiano (India e Pakistan), l'America Meridionale (Brasile e Argentina), l'Africa Sudorientale (Zimbabwe, Malawi e Mozambico), l'Indonesia e gli Stati Uniti d'America.
Non bisogna però cadere nella tentazione di credere che a guadagnarci da questo enorme business siano solamente le grandi multinazionali del settore. Nel corso del sopra citato periodo di picco mondiale della produzione, il tabacco garantiva il sostentamento di oltre 20 milioni di piccoli coltivatori cinesi e relative famiglie che lavoravano un'estensione di circa 850.000 ettari di superfici coltivabili. Stesso discorso vale per l'India, la quale ai primi anni Duemila contava poco meno di 100.000 coltivatori “ufficiali” (senza contare quelli non registrati) che coltivavano una superficie pari allo 0,25% della porzione fertile del territorio nazionale. Un caso particolarmente interessante è poi quello libanese. Infatti, nonostante il Libano occupi solamente il trentacinquesimo posto nella graduatoria internazionale della produzione di tabacco, la sua coltivazione occupa un posto di rilievo nella vita materiale degli strati più poveri della popolazione, oltre ad essere assolutamente trasversale rispetto a tutte le confessioni religiose, andando inoltre ad incidere positivamente sui bilanci di organizzazioni terroristiche come Hezbollah.
L'uso del tabacco e i rischi per la salute
Immancabilmente però, non si può affrontare il discorso della “geopolitica del tabacco” senza fare accenno anche al rischio che il tabacco rappresenta per la salute oltre alle controversie relative ai metodi di coltivazione e lavorazione del prodotto. Grazie alle ricerche svolte in campo medico sin dagli anni '70 del XX secolo sappiamo che esiste una correlazione diretta tra il consumo di prodotti derivanti dalla coltivazione del tabacco e lo sviluppo di malattie potenzialmente mortali come i tumori e il cancro. Assai meno nota presso il grande pubblico però è l'incidenza epidemiologica a livello macro.

Secondo un rapporto pubblicato nel 2022 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ogni anno ben 8 milioni di persone a livello globale muoiono per cause connesse all'utilizzo del tabacco (tale cifra comprende 1,3 milioni di vittime a causa del “fumo passivo”) e che nel corso del XX secolo il tabacco abbia causato la morte di almeno 100 milioni di persone. Considerando che, attualmente, circa 1,1 miliardi di persone fanno regolarmente utilizzo di prodotti derivanti dal tabacco e che il consumo di tali prodotti è in forte crescita soprattutto nei paesi in via di sviluppo, laddove i sistemi sanitari sono notoriamente più deboli, si capisce come il potenziale distruttivo sia davvero alto tanto da spingere l'OMS a dichiarare il tabacco come: “il singolo più importante fattore di rischio alla salute umana nei paesi sviluppati e un'importante causa di morte prematura a livello mondiale”.

Altre controversie riguardo al tabacco si registrano sul fronte della sua coltivazione. Sebbene coltivare le piante di tabacco non sia particolarmente oneroso né dal punto di vista delle estensioni territoriali né delle quantità di acqua richieste, nondimeno essa richiede l'utilizzo contemporaneo di non meno di 16 diverse tipologie di pesticidi molti dei quali sono potenzialmente pericolosissimi per l'ambiente e per la stessa salute umana. Altra nota dolente riguarda la questione del “lavoro minorile”. L'Ufficio Internazionale del Lavoro ha più volte puntato il dito nei confronti di Cina, India, Brasile, Indonesia, Malawi e Zimbabwe, colpevoli di fare largo utilizzo di manodopera minorile nelle coltivazioni di tabacco. Da ultimo, detenendo il discutibile primato di “prodotto legale più contrabbandato al mondo”, il tabacco contribuisce, tra gli altri, ad ingrossare le tasche di organizzazioni terroristiche e della grande criminalità internazionale.
Considerando tutto ciò, viene spontaneo chiedersi: perché i governi del mondo non sono ancora giunti ad approvare un bando generalizzato dei prodotti derivanti dal tabacco? In realtà la risposta è molto semplice e non ha nulla a che vedere con la libera scelta degli individui ma con il vecchio adagio: “soldi-soldi-soldi”. Il commercio del tabacco in gran parte dei paesi del mondo infatti è sottoposto al controllo di monopoli statali sui tabacchi e questo garantisce alle casse dei paesi delle importanti rendite delle quali è assai difficile fare a meno.