
I ricercatori hanno finalmente trovato le prove che il Cratere Silverpit, una depressione larga circa 3 km e situata a oltre 400 m di profondità nel sottosuolo del Mare del Nord, fu creato dall’impatto di un meteorite più di 40 milioni di anni fa. Il corpo celeste, con un diametro di circa 160 m, pari a circa una volta e mezza la lunghezza di un campo da calcio regolamentare, avrebbe impattato il suolo terrestre a una velocità di circa 15 km al secondo, originando un cratere a a circa 130 km al largo della costa dello Yorkshire, nel Regno Unito. Il nuovo studio pone così una forte ipoteca su un dibattito durato oltre due decenni, durante i quali l’origine del cratere era stata attribuita a cause ben diverse dell’impatto di un corpo extraplanetario.

Il Cratere Silverpit e il dibattito sulla sua origine
Il Cratere Silverpit si trova nell’omonimo Bacino di Silverpit, nel Mare del Nord, a circa 130 km a largo della costa dello Yorkshire, nel Regno Unito. Questa depressione geologica, il cui diametro raggiunge i 3 km, si trova nel sottosuolo, sepolta sotto fino a 400 m di rocce sedimentarie, ed è stata originariamente scoperta nel 2002 durante una campagna di prospezione geofisica condotta da compagnie petrolifere alla ricerca di potenziali target.
Già all’epoca, alcuni esperti ipotizzarono che si potesse trattare del prodotto di un impatto meteorico. Tuttavia, l’assenza di evidenze portò la comunità scientifica a proporre spiegazioni alternative, come il movimento di sali nel sottosuolo, un processo noto come diapirismo, comune negli strati rocciosi sepolti del Mare del Nord, o persino un’origine vulcanica. Nel 2009, durante un dibattito pubblico organizzato dalla Società Geologica di Londra, una delle istituzioni più prestigiose nel campo della geologia, numerosi esperti votarono a favore di un’origine “non extraplanetaria”, supportando quindi l’ipotesi che il Cratere Silverpit non fosse stato prodotto dall’impatto di un meteorite.
Oggi, però, un nuovo studio condotto da un team di ricerca internazionale guidato dai geologi dell’Università Heriot-Watt di Edimburgo, in Scozia, ha riaperto il dibatto portando alla luce nuove evidenze, dati e modelli numerici che supportano la sua interpretazione come cratere da impatto. I risultati dello studio sono stati pubblicati il 29 agosto 2025 sulla prestigiosa rivista Nature Communications.

Le evidenze prodotte dal nuovo studio
Al fine di testare l’ipotesi dell’impatto, gli scienziati hanno utilizzato un approccio multidisciplinare integrando una nuova rielaborazione di dati dati geofisici (in particolare di sismica a riflessione 3D), analisi microscopiche petrografiche e biostratigrafiche di detriti di perforazione (i cosiddetti cuttings) e modelli numerici volti a simulare l’energia necessaria per generare la morfologia del cratere e ricavare informazioni sull’evento d’impatto.
La sismica 3D ha messo in evidenza morfologie d’impatto inequivocabili, tra cui un sollevamento centrale, zone a intensa fratturazione nella regione anulare e persino piccoli “crateri secondari” generati dalla caduta di detriti. Inoltre, l’assenza di deformazioni marcate nelle rocce al di sotto del cratere, a partire da circa 700 m di profondità, smentisce le altre teorie che ne attribuivano la formazione a processi interni e profondi, come nel caso dei diapiri salini. Analizzando la distribuzione delle fratture attorno al cratere, gli scienziati hanno inoltre dedotto che l’asteroide sia impattato provenendo da ovest.
L’evidenza più convincente, tuttavia, proviene dall’analisi microscopica e, in particolare, dal ritrovamento di shock minerals, ossia minerali che presentano strutture di deformazione da shock. Si tratta di grani di quarzo e feldspato la cui struttura interna è stata modificata a seguito della rapida esposizione a pressioni estremamente elevate, come quelle generate da un impatto meteorico estremamente veloce. Al microscopio, questi minerali mostrano lamelle da shock e altre caratteristiche tipiche del metamorfismo da impatto.

“Siamo stati abbastanza fortunati a trovarli” ha dichiarato Uisdean Nicholson, professore associato all’Università Heriot-Watt di Edimburgo e autore principale dello studio. “Queste evidenze confermano senza ombra di dubbio l’ipotesi del cratere da impatto, poiché mostrano una struttura che può originarsi solo in condizioni di shock estremo”.
Infine, attraverso le modellazioni numeriche, gli scienziati sono riusciti a ricostruire le condizioni dell’impatto. Il cratere sarebbe stato generato da un asteroide dal diametro di circa 160 m, in viaggio a una velocità di 15 km/s. L’impatto avrebbe provocato l’espulsione di ingenti volumi di detrito e acqua marina nell’atmosfera, dando origine a una colonna alta fino a 1,5 km. Questo materiale sarebbe stato successivamente rimaneggiato dalle onde di tsunami. Successivamente, il cratere sarebbe stato sommerso ad una profondità di circa 100 m.
Le analisi biostratigrafiche hanno infine permesso di datare l’evento tra 43 e 46 milioni di anni fa, nel periodo geologico noto come Eocene medio.