Uno degli scopi dell'astrofisica, e in particolare della cosmologia, è comprendere come l'universo si è evoluto fino a diventare quello che possiamo osservare oggi. Un compito tutt'altro che semplice, ma che fortunatamente sta diventando sempre più alla nostra portata.
È quello che hanno tentato di fare oltre 150 ricercatori dell'Università di Chicago e del Fermi National Accelerator Laboratory (anche noto come Fermilab), usando i dati provenienti da due enormi campagne osservative: la Dark Energy Survey e il South Pole Telescope. Il frutto di questo immenso lavoro è una delle mappe più precise e dettagliate della distribuzione di materia nel cosmo. Una mappa che tiene conto non solo della distribuzione della materia ordinaria ma anche della misteriosa ed enigmatica materia oscura.
Il risultato? L'universo non è “granuloso” come ci aspettavamo sulla base degli attuali modelli di evoluzione cosmica. Significa che forse c'è qualche tassello mancante nella nostra comprensione del cosmo. Qualcosa che, una volta svelato, potrebbe aiutarci a comprendere meglio la dinamica dell'evoluzione cosmica.
L'attuale modello dell'universo “grumoso”
Stando all'attuale modello di evoluzione del cosmo, l'universo primordiale era estremamente omogeneo e uniforme. Con il tempo, l'azione della gravità ha amplificato lentamente delle minuscole perturbazioni di densità primordiali, che gradualmente sono cresciute fino a diventare le mastodontiche strutture che oggi possiamo osservare nel nostro universo: stelle, galassie e ammassi di galassie.
Come esattamente questo processo sia avvenuto è tuttora oggetto di studio. Fortunatamente possiamo contare su una delle caratteristiche più basilari e al contempo più stupefacenti del nostro universo: osservare lontano significa osservare nel passato. Questo perché la luce degli oggetti celesti distanti impiega molto tempo per arrivare a noi, mostrandoci quindi quegli oggetti non per come sono “ora” ma per com'erano quando la luce che oggi riceviamo fu emessa.
Ecco perché osservare come evolve la distribuzione di materia nell'universo man mano che si prendono in considerazione oggetti sempre più distanti significa anche osservare l'evoluzione delle strutture cosmiche nel tempo!
Per avere un'idea precisa il primo passo è realizzare una mappa quanto più completa e accurata possibile di come la materia nell'universo è distribuita. Ed è qui che entrano in gioco la Dark Energy Survey e il South Pole Telescope.
Il ruolo dei telescopi nella mappatura dell'universo
La Dark Energy Survey è un progetto internazionale di osservazione del cielo che dal 2013 al 2019 ha sfruttato il telescopio il Victor M. Blanco a Cerro Tololo, in Cile, per mappare circa 1/8 del cielo in luce visibile e in luce infrarossa.
Il South Pole Telescope, come suggerisce il nome stesso, si trova in Antartide, per la precisione nella base Amundsen-Scott. È un radiotelescopio che cerca ammassi di galassie analizzando la radiazione cosmica di fondo. Combinare i dati di queste due immense survey che spaziano tra diverse bande elettromagnetiche permette all'una di “confermare” i dati dell'altra, e quindi ridurre al minimo gli errori di misurazione complessivi.
Come i telescopi hanno mappato il cosmo?
I due telescopi, inoltre, riescono a mappare il cielo sfruttando il fenomeno del lensing gravitazionale. Questo è un effetto della relatività generale di Einstein: la traiettoria della luce devia quando attraversa una regione di grande massa. Questo provoca una distorsione delle immagini delle galassie lontane che si trovano dietro a grandi ammassi di galassie. Misurando l'entità di queste distorsioni gli astronomi sono in grado di determinare la quantità di massa attraversata dalla luce delle galassie osservate.
Questo permette non solo una mappa estremamente precisa della distribuzione di massa nel cosmo, ma ci assicura anche che la massa mappata contempli anche la materia oscura e non solamente la materia ordinaria.
Quest'ultima è, per intenderci, quella di cui siamo costituiti noi, i pianeti, le stelle e e tutte le sorgenti luminose che possiamo osservare con i nostri telescopi. La materia oscura invece è una forma di materia sostanzialmente diversa da quella ordinaria, che non interagisce con essa se non gravitazionalmente e pertanto non emette alcuna luce. Non la possiamo osservare, ma possiamo comunque mapparla proprio grazie al lensing gravitazionale, che naturalmente non fa distinzione sulla natura della massa che lo provoca.
La nuova mappa dell'Universo
Le mappe prodotte dalle due campagne osservative sposano molto bene, sotto molti aspetti, il nostro attuale modello cosmologico. Tranne per una bizzarra ma interessante anomalia: l'universo locale (cioè la porzione di universo più vicina a noi) presenta meno fluttuazioni di densità rispetto a quanto ci saremmo aspettati.
In altre parole, l'universo oggi è meno “grumoso” di quanto predicono i modelli di evoluzione delle strutture cosmiche. Gli agglomerati di materia sembrano insomma addensati in particolari regioni del cielo piuttosto che distribuiti pressoché uniformemente in ogni direzione. Il che è un problema, perché va a scuotere il pilastro fondante su cui si regge l'intero impianto della cosmologia moderna: il cosiddetto principio cosmologico, secondo cui l'universo visto su scala sufficientemente grande ha sostanzialmente le stesse proprietà ovunque.
È troppo presto per annunciare la crisi, però. Il risultato ottenuto dalla Dark Energy Survey e dal South Pole Telescope dovrà essere confermato da ulteriori studi prima di essere preso per buono. Ma è interessante perché potrebbe suggerire una via per “correggere il tiro” dei nostri attuali modelli cosmologici e, di conseguenza, aiutarci a delineare più accuratamente la storia più lunga e meravigliosa di tutte: quella del nostro stesso universo.