Gli ebrei sono un gruppo etno-religioso: si distinguono dagli altri popoli sia per ragioni etniche (discendono da altri ebrei e hanno una cultura almeno in parte comune), sia religiose (professano la religione ebraica). L’origine del popolo ebraico risale alla fine del II millennio a. C. Nel corso dei secoli gli ebrei si sono dispersi pressoché in tutto il mondo, ma hanno conservato sempre una loro identità, basata non solo sulla religione, ma anche sull’appartenenza etnica. Nell’Ottocento ebbe inizio l’emigrazione ebraica in Palestina, incentivata dal movimento sionista, e nel 1948 nacque lo Stato di Israele, primo Stato ebraico da oltre duemila anni.
Oggi gli ebrei sono circa 14 milioni, meno della metà dei quali vive in Israele. Nonostante tra loro vi siano divisioni geografiche, politiche, religiose ed etniche, gli ebrei possiedono una identità comune.
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Chi sono gli ebrei
Come già detto, gli ebrei sono definiti da ragioni etniche e religiose. Nazionalità e religione non sono separabili, sebbene esistano ebrei laici (o persino atei), che si considerano membri del popolo ebraico solo per la loro origine, ed ebrei per i quali la componente più importante dell’identità è la religione.
Non esiste, però, un sistema univoco per definire chi è ebreo. Secondo l’interpretazione religiosa, è ebreo chi nasce da madre ebrea o chi si converte volontariamente alla religione ebraica. Tra i laici prevalgono interpretazioni meno restrittive, che considerano ebreo anche chi ha un solo nonno ebreo.
Quanti sono gli ebrei
Poiché non esiste un modo univoco per definire chi è ebreo, non è possibile fornire dati precisi sul loro numero complessivo. Secondo uno studio del 2020, la popolazione prettamente ebraica (Core Jewish Population), che include tutti coloro che considerano l’appartenenza al popolo ebraico come elemento fondante della loro identità (anche se non sono religiosi) è composta da 14.700.000 persone. La popolazione ebraica allargata (Enalrged Jewish Population), che include anche coloro che hanno antenati ebrei ma considerano poco importante l’appartenenza al popolo ebraico, ammonta a 21.005.000 unità.
Gli ebrei sono sparsi in tutto il mondo, ma la maggioranza (considerando la Core Jewish Population) vive in due Paesi:
- Israele: 6.700.000, pari al 45,8% della popolazione ebraica totale.
- Stati Uniti: 5.700.000, pari al 38,5% del totale.
Comunità ebraiche numerose si trovano inoltre in Francia (458.000 persone), Canada (393.000), Regno Unito (292.000). Anche in Italia esiste una minoranza di ebrei, composta da circa 27.000 persone.
Israele è però l’unico Paese dove gli ebrei sono maggioritari, rappresentando circa il 75% della popolazione totale (il resto è composto soprattutto da cittadini di origine araba).
Divisioni del popolo ebraico
La differenza “etnica” principale all’interno del popolo ebraico è quella tra gli ebrei di origine europea, detti askenaziti, e quelli dei Paesi mediorientali, noti come sefarditi.
Gli askenaziti (da Askenaz, che in ebraico indicava una parte della Germania) vivevano in larga parte nell’Europa orientale, soprattutto in Polonia e in Russia. Sei milioni furono sterminati durante l’Olocausto, molti altri sono emigrati in Israele e in America.
I sefarditi (da Sefarad, nome della Spagna in ebraico), risiedevano nella Penisola iberica fino al 1492, quando furono espulsi e si rifugiarono in Nord Africa e in Medioriente, dove già vivevano altri ebrei, noti come mizrahim. Oggi sefarditi e mizrahim tendono a confondersi.
Askenaziti e sefarditi seguono riti liturgici diversi, ma nel corso dei secoli vi sono state contaminazioni e influenze reciproche.
Esistono inoltre classificazioni degli ebrei in base all’appartenenza religiosa (ortodossi, conservatori e riformati).
Ma da dove hanno origine la dispersione e le divisioni del popolo ebraico?
Le origini del popolo ebraico e la Diaspora
Il popolo ebraico si è formato nell’attuale Palestina verso la fine del II millennio a.C. Gradualmente sviluppò una sua religione, basata sul principio dell’unicità di Dio, e per alcuni secoli governò un suo territorio, pur dovendo fronteggiare divisioni interne e guerre con gli altri popoli. Alcuni ebrei emigrarono fuori dalla Palestina già nel I millennio a. C.
Nel I secolo a. C. il territorio palestinese entrò nella sfera di influenza di Roma. Gli ebrei si ribellarono più volte contro i romani e, in diverse fasi tra il I e l II secolo d. C., furono costretti a emigrare, disperdendosi in tutto l’impero. Solo una minoranza restò in Palestina.
Da allora gli ebrei vivono in tutto il mondo. Nel corso degli anni le comunità ebraiche sono state spesso vittime di discriminazioni e, in casi non rari, di espulsioni di massa e stragi. Tuttavia, nonostante le mescolanze con le popolazioni locali, hanno sempre conservato una propria identità.
Il sionismo, la Shoah e la nascita di Israele
Alla fine dell’Ottocento, nel contesto della crescita dell’antisemitismo, in Europa nacque il sionismo, un movimento che mirava a fondare uno Stato ebraico nella terra delle origini, la Palestina, dove però già viveva una popolazione araba. Nei primi anni solo una minoranza di ebrei seguiva il sionismo, ma gradualmente il movimento guadagnò maggiori consensi e l’emigrazione verso la Palestina aumentò.
Negli anni ’40 ebbero luogo due eventi fondamentali per la storia del popolo ebraico: l’Olocausto, che non provocò solo una drastica riduzione degli ebrei europei, ma segnò profondamente i sopravvissuti e fece crescere il desiderio di emigrare; la nascita dello Stato di Israele, istituito nel 1948 dagli ebrei residenti in Palestina.
Due anni più tardi, il governo israeliano emanò la Legge del ritorno, in base alla quale ciascun ebreo ha il diritto di emigrare in Israele e ottenere la cittadinanza (in base a un emendamento del 1970, la legge considera ebreo chi ha almeno un nonno ebreo e non professa altre religioni).
L’emigrazione in Israele e l’ebraismo contemporaneo
Nei primi anni dopo la fondazione di Israele, la grande maggioranza degli ebrei residenti nei Paesi arabi si trasferì nel nuovo Stato, spesso per fuggire dalle aggressioni e dalle discriminazioni che subivano in seguito alla prima guerra arabo-israeliana (1948-49). La loro integrazione in Israele non fu semplice, perché talvolta erano guardati con disprezzo dagli askenaziti già presenti nel territorio, ma gradualmente guadagnarono il loro posto nella società israeliana. Nello stesso periodo, giunse in Israele una parte degli ebrei dell’Europa orientale sopravvissuti alla Shoah. Da allora l’emigrazione verso lo Stato ebraico non si è mai interrotta e negli anni ’90, dopo il crollo dell’Urss e dei regimi socialisti, ha avuto luogo un’altra grande ondata di arrivi dall’Europa orientale.
Israele esercita attrattiva sugli ebrei non solo in quanto Stato ebraico, ma soprattutto perché è un Paese opulento e può garantire elevati standard di vita. Per tale ragione, non ha mai attirato la maggior parte degli ebrei statunitensi, che vivono in condizioni agiate già nel loro Paese. Israele, però, è diventato il principale collante identitario degli ebrei, compresi quelli che risiedono altrove: sono tutti potenzialmente cittadini dello Stato ebraico e, in larga maggioranza, sono suoi strenui sostenitori.