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14 Maggio 2024
15:31

Che fine ha fatto Hong Kong? È vero che ormai fa parte della Cina al 100%?

Un tempo considerata una delle economie più libere del mondo, Hong Kong vive da anni una deriva autoritaria sempre più forte. Il Paese, regione amministrativa speciale appartenente alla Cina, lotta da anni per suffragio universale e libere elezioni, ma una nuova legge sulla sicurezza nazionale del governo cinese frena il dissenso.

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Ex colonia britannica passata poi alla Cina il 1° luglio 1997, attualmente Hong Kong è sotto il governo di Pechino in quello che è chiamato il modello “Un Paese, due sistemi”. Il sistema dovrebbe presupporre una maggiore libertà e autonomia per la città, ma negli ultimi anni la Cina ha sempre più integrato Hong Kong nelle dinamiche autoritarie del resto del Paese, nonostante numerose proteste nate a partire dal 2014 e la richiesta di elezioni democratiche.

Attualmente Hong Kong risulta come un territorio autonomo con status di regione amministrativa speciale della Cina: è formato dall’isola di Hong Kong che si trova nel Mar Cinese meridionale, dalla penisola di Kowloon e da più di 200 piccole isole, chiamate New Territories.  È una delle regioni più densamente popolate al mondo, visto che è abitata da più di 7 milioni di abitanti racchiusi in una superficie di 2.754 km2. Il nome Hong Kong significa “porto profumato d’incenso” e infatti la città è denominata anche “porto profumato”. Approfondiamo la storia recente del territorio e la situazione attuale.

Il dominio inglese su Honh Kong e il passaggio alla Cina

Hong Kong fu occupata dagli inglesi durante la Guerra dell’oppio, nel 1840-42, e fu ceduta dal governo cinese al Regno Unito nel 1842 con il Trattato di Nanchino. In seguito furono annessi i territori di Kowloon e le oltre 200 piccole isole disabitate che formano i New Territories.

Con la nascita della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 i rapporti tra il governo di Pechino e il Regno Unito favorirono lo sviluppo economico di Hong Kong, famosa soprattutto per la fiorente economia marittima e il proprio porto commerciale. La città fu anche rifugio per tantissimi cittadini cinesi in fuga dalla guerra civile.

Fu solo il 1 luglio 1997, con un accordo tra Regno Unito e Cina, che l’intero territorio di Hong Kong tornò formalmente sotto il dominio cinese, con lo status di regione amministrativa speciale. Applicando il cosiddetto modello “un Paese, due sistemi”, il governo di Pechino cercava di concedere ad Hong Kong, almeno fino al 2047, alcuni elementi democratici che non sono presenti nel resto della Cina continentale, occupandosi principalmente di politica estera e di difesa.

Il passaggio sotto il controllo cinese, però, ha portato all'applicazione di emendamenti alla Costituzione che di fatto hanno ristretto le libertà civili e politiche di Hong Kong: restrizioni al suffragio universale, divieto di manifestazione con pene severissime e carcere per oppositori e attivisti politici. Nel 2004 il governo di Pechino ha perfino introdotto una legge secondo la quale non potevano essere messe in atto riforme politiche o elettorali senza l'approvazione del governo centrale, compresa dunque la possibilità di nomina diretta del capo del governo.

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Le proteste del 2014

A fronte di queste restrizioni delle libertà civili e politiche, ad Hong Kong nel 2014 sono iniziate numerose proteste, tra cui la famosa “rivoluzione degli ombrelli”, durata 76 giorni, in cui veniva messo in discussione il Trattato tra Cina e Regno Unito del 1997 e con cui si chiedeva la possibilità di ottenere il suffragio universale per avere elezioni democratiche. Le proteste sono continuate anche negli anni successivi: sia nel 2017 che nel 2019 sono iniziate a crescere sempre di più le fazioni anti-establishment cinese, soprattutto in seguito a violente repressioni delle forze dell’ordine e ad un progetto di legge del governo cinese sulla sicurezza nazionale. Quest'ultimo consentirebbe l’estradizione in Cina per alcuni reati tra cui quelli legati all’opposizione politica, che dunque mettono a tacere qualsiasi tipo di dissenso, accentuando un governo di tipo autoritario che non tiene conto delle istanze autonomistiche dei cittadini di Hong Kong.

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Proteste per il suffragio universale, 2014 (credits: Thomas Au)

La situazione attuale a Hong Kong

Nel marzo 2024 a Hong Kong è stata approvata un’ordinanza sulla sicurezza nazionale, il cosiddetto Articolo 23 della Legge Fondamentale (Basic Law), ossia la carta costituzionale dell’isola. Il nome deriva appunto dall’articolo 23 della stessa e aumenta i poteri repressivi da parte della polizia su tutte le azioni che possono rappresentare una minaccia alla sicurezza nazionale. Ad esempio consente processi chiusi, arresti discrezionali per reati che possano minacciare la stabilità interna, divieto di attività politiche nel territorio. Questo emendamento ha solo acuito il clima di tensioni interne che era iniziato negli ultimi dieci anni, facendo anche diminuire l’interesse di aziende estere nei confronti di Hong Kong, che di fatto sta perdendo la centralità economica che aveva negli anni scorsi. Attualmente dunque, sebbene il governo di Pechino abbia dichiarato il modello “Un Paese, due sistemi” la repressione e la deriva autoritaria minano le basi della democrazia del territorio, facendo dipendere politicamente Hong Kong sempre più dal governo centrale cinese e allontanando le aspirazioni democratiche dell’isola che di fatto è sotto il controllo di Pechino.

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