I futuri coloni delle basi umane sulla Luna e su Marte saranno astronauti-agricoltori, ma soprattutto vegetariani. La distanza dalla Terra e la durata delle missioni di esplorazione (circa 500 giorni per Marte) rendono l'invio di rifornimenti costanti ai coloni umani pressoché impossibile, per cui essi dovranno riutilizzare al meglio tutte le risorse e coltivare da soli il proprio cibo. È quindi fondamentale comprendere quali sono i parametri fisici e chimici che ottimizzano la crescita delle piante in un ambiente ostile come quello dello spazio.
Abbiamo intervistato a questo proposito la Prof.ssa Stefania De Pascale – autrice del libro Piantare patate su Marte. Il lungo viaggio dell'agricoltura e ordinario di Orticoltura e Floricoltura presso il Dipartimento di Agraria dell’Università “Federico II” di Napoli, che nel 2019 ha fondato il Laboratory of Crop Research for Space a Portici (Napoli), un laboratorio all'avanguardia nel mondo dedicato alla caratterizzazione delle piante per i sistemi rigenerativi di supporto alla vita nello spazio – e Antonio Pannico, ricercatore presso il Dipartimento di Agraria dell’Università “Federico II” di Napoli.
Partiamo dal titolo Piantare patate su Marte. Questo ci riporta al film The Martian con Matt Damon. Quanto c'è di veritiero in quel film? È davvero possibile coltivare patate su Marte? Dove possiamo trovare l’acqua, per esempio?
Come ogni film di fantascienza che si rispetti ci sono aspetti di finzione e aspetti di verità, data anche la presenza di uno staff di esperti che supporta la realizzazione del film. Di veritiero c'è che le varie missioni robotiche che si sono susseguite su Marte hanno acclarato che sul pianeta rosso vi è acqua, ma sotto forma di ghiaccio, e che quindi in passato vi sarebbero state le condizioni per ospitare vita microbica. Marte possiede sulla sua superficie uno strato di polvere inerte, la regolite, che potrebbe essere usata per supportare la crescita delle piante. Di contro, non possiamo immaginare di coltivare vegetali su Marte nello stesso modo in cui lo facciamo sulla Terra. Marte infatti ha una gravità ridotta, circa il 62% inferiore a quella terrestre, un campo magnetico troppo debole per impedire alle radiazioni cosmiche nocive di colpire la sua superficie, e una tenue atmosfera che, oltre ad avere una composizione chimica diversa da quella terrestre, ha anche una pressione di solo l'1% di quella della Terra. Tutti questi fattori fanno si che i vegetali, come le patate, non possono essere coltivate direttamente al suolo e irrigate come nel film, ma richiedono habitat protetti, schermati con materiali innovativi, con risorse che devono essere rigenerate, per esempio condensando l'acqua e riusandola per irrigare. Matt Damon, nel film, vive nello stesso ambiente delle piante che coltiva, ma in realtà i due habitat potranno avere una composizione dell'aria diversa, poiché le piante sopravvivono a concentrazioni di anidride carbonica più alta degli umani.
A novembre 2019 ha fondato il Laboratory of Crop Research for Space. Quali sono le principali aree di ricerca su cui si concentra il laboratorio?
Il laboratorio nasce nel 2019 grazie al finanziamento dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA) nell'ambito del programma Melissa sul supporto alla vita nello spazio attraverso sistemi di rigenerazione biologici. Il fulcro del laboratorio è la Plant Characterisation Unit, una camera di crescita di ultima generazione in cui monitoriamo e modifichiamo i parametri di crescita della parte aerea e radicale delle piante. L'attività di ricerca del laboratorio si concentra sull'individuazione dei parametri fisici e colturali ottimali per la crescita delle piante e per farle svolgere il ruolo di supporto alla vita, come la quantità di luce, di anidride carbonica o di nutrienti assorbiti.
Come si coltivano le piante nello spazio e quali sono le principali difficoltà?
Coltivare piante nello spazio rappresenta una grandissima sfida e viene fatto in modi diversi a seconda dell'ambiente spaziale. Nel caso della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) si utilizzano sistemi definiti "fuori suolo". Le piante vengono coltivate in piccole camere di crescita note come salad machines, in cui vengono fatte crescere specie di piccola taglia che possono essere prodotte e raccolte dall'equipaggio per integrare la dieta con prodotti freschi. Qui la sfida maggiore è rappresentata dalle condizioni di microgravità, che portano l'acqua a formare goccioline che rendono impossibile i metodi tradizionali di coltivazione al suolo, e l'ottimizzazione dell'illuminazione artificiale, che viene effettuata attraverso luce LED scegliendo il mix ottimale di lunghezze d'onda necessarie alla fotosintesi. Inoltre la ISS è a soli 400 km di quota e gli astronauti vengono riforniti ogni 6 mesi di tutto il materiale necessario alla loro sopravvivenza.
Diverso è il discorso per Luna e Marte, in cui tutto dovrà essere riutilizzato data l'impossibilità di rifornimenti e la lunga durata delle missioni (500 giorni per Marte). Su questi corpi la gravità, seppure inferiore a quella terrestre, è presente, per cui le piante potranno essere coltivate anche su substrati inerti dal punto di vista chimico, come la regolite. Tuttavia, le piante dovranno comunque essere cresciute in habitat protetti per poter controllare l'illuminazione e per altre due cause. La prima è la presenza delle radiazioni cosmiche, che né la Luna né Marte sono in grado di schermare a causa dei loro debolissimi campi magnetici. La seconda è il controllo dell'atmosfera, poiché le piante possono vivere in ambienti ad alta anidride carbonica in cui la crescita è accelerata. Verranno quindi utilizzati materiali schermanti in grado di ridurre la quantità di radiazione assorbita e atmosfere controllate. Verosimilmente l'habitat delle piante sarà separato da quello degli umani a causa della diversa tolleranza alle radiazioni e alle concentrazioni di anidride carbonica.
Una delle sfide principali nell’agricoltura spaziale riguarda l’assenza di gravità. Quali soluzioni state sviluppando per coltivare piante in microgravità?
Sulla ISS vi sono condizioni di microgravità, di conseguenza l'acqua non si comporta come sulla Terra, ma forma delle goccioline che rendono impossibile la coltivazione al suolo. Vengono quindi sfruttati altri metodi, come la microcapillarità, dove le piante vengono nutrite sfruttando la tensione superficiale dell'acqua che si deposita su substrati porosi come tappetini o tubi porosi. L'esperimento Veggie della NASA sulla ISS funziona per esempio collegano i semi a dei cuscinetti fatti di gomma arabica in cui gli astronauti iniettano acqua e sostanze nutritive attraverso una siringa.
Come funzionano le "Plant characterisation units" presenti nel Laboratory of Crop Research for Space?
Le "Plant characterisation units" permettono lo studio accurato delle condizioni fisico-chimiche che ottimizzano la crescita delle piante. Il sistema consente di effettuare dei bilanci precisi che permettono di stabilire quanti metri quadri devono essere coltivati per astronauta a seconda della specie di pianta. Il cuore delle "Plant characterisation units" è la camera di crescita, un camera unica nel suo genere in acciaio dotata di pannelli LED, telecamere ad alta definizione ed infrarosse, con requisiti estremi di tenuta per evitare fughe d'aria e permettere bilanci fini di anidride carbonica ed acqua in entrata e in uscita. L'ambiente chiuso, immodificabile in volume, viene mantenuto a pressione superiore a quella dell'ambiente esterno per evitare entrata d'aria attraverso un sistema di compensazione costituito da un compressore. La coltivazione è di tipo idroponico, cioè non vi è un substrato, ma le piante crescono immergendo le radici in una sorta di vasca contenente una soluzione nutritiva in un riciclo continuo che mantiene la soluzione microbiologicamente stabile. Durante il riciclo, un sistema controlla la composizione della soluzione, monitorando il ph e il consumo di sali ed elementi nutritivi, integrando potassio, fosforo o azoto quando necessario. Anche la composizione dell'aria viene continuamente monitorata grazie a flussometri di massa e gas analysers che consentono di conoscere quanta anidride carbonica la pianta consuma e quanto ossigeno produce. I pannelli LED regolano la composizione in lunghezza d'onda della luce, modificando all'occorrenza il rapporto tra luce blu e rosse, le due utilizzate dalle piante per la fotosintesi. La luce verde infatti viene riflessa dalle piante, cosa che le dona il caratteristico colore verde.
Come funziona esattamente un sistema biorigenerativo di supporto alla vita nello spazio, e in che modo le piante giocano un ruolo cruciale in questi sistemi?
I sistemi biorigenerativi sono sistemi che realizzano i processi fondamentali al sostentamento alla vita dell'essere umano nello spazio, come produzione di ossigeno, rimozione di anidride carbonica o depurazione dell'acqua. Le piante giocano un ruolo chiave in questi sistemi per una varietà di fattori. In primo luogo, sono un ottimo strumento per assorbire l'anidride carbonica ed emettere ossigeno attraverso la fotosintesi, purificare l'acqua rendendola potabile mediante la traspirazione e riciclare i prodotti di scarto dell'equipaggio come le feci e le urine utilizzandoli come compost. In aggiunta, le piante rappresentano una fonte di cibo fresco per integrare la dieta degli astronauti e la loro presenza aiuta a mitigare lo stress legato alla permanenza nello spazio.
Quali sono gli esperimenti di agricoltura spaziale attualmente condotti in orbita e in che modo saranno utili per le future missioni su Marte e oltre?
Quando la ISS fu costruita la domanda fondamentale a cui si cercava di dare una risposta era cosa sarebbe successo agli organismi biologici nello spazio e se fossero stati in grado di vivere e riprodursi come sulla Terra. Oggi che sappiamo che ciò è possibile, la ricerca si è spostata sul comprendere cosa succede nello spazio al tropismo delle piante, cioè le forze che ne direzionano la crescita, e a come ottimizzarne la produzione per dare agli astronauti una integrazione consistente alla loro dieta. Riguardo il primo aspetto, grazie agli esperimenti condotti dall'astronauta italiano Paolo Nespoli, oggi sappiamo che, in condizioni di microgravità, le piante sostituiscono il gravitropismo, cioè la tendenza delle radici a svilupparsi verso il basso, con altri tropismi, come quelli dipendenti dalla concentrazione d'acqua. Questi esperimenti sono possibili solo sulla ISS, poiché sulla Terra tutti gli altri tropismi sono mascherati da quello dominante del gravitropismo. Riguardo il secondo aspetto, gli esperimenti sulla ISS oggi si concentrano sulla produzione di micro-ortaggi, che hanno una quantità di composti bioattivi maggiori delle piante adulte, fornendo agli astronauti nutrienti essenziali come la vitamina C. Inoltre, si sta lavorando alla produzione di ortaggi che forniscono un maggior numero di calorie per grammo, come le patate, essenziali nei viaggi di lunga durata sulla Luna o su Marte dove non si può fare affidamento sull'apporto costante di materiale da Terra.
Prof.ssa De Pascale, le ha dedicato più di 25 anni allo studio della coltivazione delle pianete per supportare l'esplorazione umana nello spazio. Quali sono le sue prospettive per il futuro delle sue ricerche e di questo campo?
Con l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e l'ESA stiamo guardando con sempre maggiore interesse alla Luna, realizzando sottosistemi importanti per supportare la colonizzazione umana del nostro satellite naturale che sfruttano le conoscenze e le tecnologie su cui lavoriamo ormai da decenni. Siamo inoltre sempre più concentrati sulle applicazioni terrestri delle nostre ricerche e sulla divulgazione e formazione delle nuove generazioni. Vogliamo infatti sensibilizzarli sulla sostenibilità e far comprendere che Marte non è un pianeta B, poiché non esiste nulla come la Terra e dobbiamo fare di tutto per preservarla. Nel Laboratory of Crop Research for Space abbiamo creato un gruppo di giovani ricercatori entusiasti, come il Dr. Pannico, che lavorano su temi all'avanguardia della agricoltura spaziale.
Dr. Pannico, su cosa si concentra la sua ricerca nel Laboratory of Crop Research for Space?
Collaboro da più di 10 anni con la Prof.ssa De Pascale, dividendomi tra Portici (sede del Laboratory of Crop Research for Space) e l'Università Autonoma di Barcellona (UAB). Il mio ambito di ricerca consiste nella produzione di piante in sistemi di coltivazione chiusi che simulano gli ambienti estremi dello spazio. Utilizzo le Plant Characterisation Unit del Laboratory of Crop Research for Space per ottimizzare le condizioni fisico-chimiche in cui far crescere le piante. Questa ricerca di base condotta a Portici viene poi trasferita su larga scala a Barcellona, dove si trova l'impianto pilota del sistema biorigenerativo di supporto alla vita nello spazio del programma Melissa. Qui mi occupo di ottimizzare il compartimento piante dell'UAB utilizzando le conoscenze acquisite in Italia, che si rivelano fondamentali dato che il compartimento dell'UAB è meno accurato di quello presente al Laboratory of Crop Research for Space. La ricerca condotta a Barcellona mi permette anche di studiare come il compartimento piante interagisce con gli altri sistemi di supporto vitale, come il bioreattore, i compartimenti di degradazione organica e il compartimento di simulazione dell'equipaggio costituito da una colonia di 60 ratti.
Le sue ricerche hanno implicazioni anche per promuovere pratiche agricole più sostenibili sulla Terra. Quali lezioni tratte dall'agricoltura spaziale potrebbero essere applicate all'agricoltura terrestre, per esempio per renderla più efficiente e rispettosa dell'ambiente?
Le conoscenze e le tecnologie che stiamo acquisendo e sviluppando per coltivare piante nello spazio hanno importanti ricadute per la coltivazione in ambienti estremi, come i deserti, l'Antartide o le grandi megalopoli, dove esistono già delle vertical farm, ovvero dei sistemi di coltivazione in verticale che sono nati dalle ricerche pionieristiche di agricoltura spaziale. Se inizialmente infatti è stata l'agricoltura spaziale a trarre ispirazione da quella terrestre, oggi è vero il contrario. Stiamo infatti imparando come ottimizzare al massimo l'uso e il riciclo delle risorse naturali, quali parametri chimico-fisici massimizzano la crescita delle piante e quali miglioramenti genetici possono essere apportati per coltivare le piante in ambienti estremi.
Che risponderebbe a coloro che affermano che i soldi per la ricerca spaziale andrebbero spesi per applicazioni immediate qui sulla Terra e non per fantasiosi progetti di colonizzazione dello spazio?
La ricerca di base non è mai inutile, men che meno quella che coinvolge l'esplorazione spaziale. Quest'ultima ha portato tantissimi benefici che sono sotto gli occhi di tutti, come le comunicazioni satellitari, i sistemi GPS, i progressi in campo medico e le previsioni meteorologiche. Investire nella ricerca spaziale ha importanti ricadute nelle applicazioni terrestri e non toglie nulla, ma anzi aggiunge alle ricerche che vengono condotte sulla Terra. Inoltre al giorni d'oggi, almeno per ciò che concerne lo spazio, gli investimenti in ricerca spaziale sono in minima parte provenienti da finanziamenti pubblici, ma per lo più appannaggio delle aziende private. Inoltre la ricerca spinge all'innovazione e genera grande interesse nel pubblico generalista, specialmente nelle nuove generazioni come fate voi ragazzi di Geopop. È anche un modo per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza dell'agricoltura e della sostenibilità, fondamentale in un'epoca come questa caratterizzata da cambiamenti climatici e sfruttamento estremo delle risorse naturali.