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Da qualche decennio, l’oro ha iniziato a mostrarsi in una veste diversa da metallo nobile e prezioso: è usato come componente attivo di farmaci contro l'artrite reumatoide e un possibile farmaco anti-tumorale. L'oro agisce da vera e propria molecola, aprendo ai ricercatori un nuovo “mondo” da esplorare in lungo e in largo: i composti di oro, infatti, trovano numerose applicazioni in diversi campi scientifici, tra cui quello medico-biologico. Primo tra tutti troviamo l’Auranofin, noto farmaco antiartritico che ha attirato l’attenzione della comunità scientifica per il suo sorprendente potenziale terapeutico, non solo nei confronti dell’artrite reumatoide, ma anche nel trattamento di alcune forme di cancro. Proprio dall’Auranofin il mondo scientifico ha iniziato a intravedere le potenzialità dei composti di oro come agenti antitumorali.La strada è ancora lunga per l'approvazione come farmaco antitumorale ed è ostacolata soprattutto dalla mancanza di fondi per la ricerca.
Farmaci a base di oro contro l’artrite reumatoide, il cancro e non solo
L'oro, considerato un vero e proprio bene rifugio, è uno dei metalli più costosi e ricercati grazie alle sue spettacolari caratteristiche: è inerte, non si ossida facilmente e non reagisce con l’aria né con l’acqua. È così stabile che in natura, come nei famosi lingotti, lo troviamo “in solitaria” come oro atomico, e non legato ad altri atomi in una molecola, come succede con altri metalli, ma la scoperta delle proprietà delle proprietà antitumorali dell'Auranofin ha aperto nuove strade di ricerca per i composti di oro.
L’Auranofin è stato approvato negli anni ’80 per trattare l’artrite reumatoide, ma il suo utilizzo si è ridotto nel tempo, soprattutto con l’arrivo di terapie più moderne e meglio tollerate. Tuttavia, recenti studi hanno riacceso l’interesse per questo composto, dimostrando che l’Auranofin possiede attività molto più ampie, in particolare contro cellule tumorali resistenti a trattamenti tradizionali. Questo “ripescaggio” di un vecchio farmaco per nuovi usi si chiama drug repurposing, ossia "riposizionamento dei farmaci", ed è un’area in forte crescita nella ricerca farmacologica che offre numerosi vantaggi. Si tratta di farmaci già approvati, di cui si conoscono effetti collaterali, metabolismo e sicurezza d’uso: ripensarne l’impiego per nuovi bersagli farmacologici consente di accelerare i tempi della ricerca clinica.

L’Auranofin è uno di questi farmaci "riposizionati" e ha mostrato una sorprendente versatilità. Oltre all’attività antitumorale, è stato studiato contro infezioni batteriche, parassiti (come il Plasmodium falciparum, responsabile della malaria) e perfino virus. In oncologia, si è distinto in particolare nel trattamento del mieloma multiplo, un tipo di tumore del sangue molto aggressivo. In laboratorio, l’Auranofin ha ridotto significativamente la vitalità delle cellule di mieloma, inducendo apoptosi cellulare (la morte programmata delle cellule tumorali) e sembra essere anche abbastanza selettivo verso le cellule malate rispetto a quelle sane. Si sta rivelando un farmaco multitasking, capace di colpire diversi bersagli biologici ed è la dimostrazione che a volte non bisogna inventarsi tutto da zero: può bastare osservare con occhi nuovi ciò che già esiste per trovare soluzioni inaspettate.
L’oro e la sua capacità di inibire l’enzima Tioredossina Reduttasi
Uno dei meccanismi d’azione più studiati per l'attività antitumorale dell’Auranofin e dei composti di oro sviluppati successivamente, riguarda la sua capacità di inibire un enzima chiamato Tioredossina Reduttasi (TrxR). Per spiegare cosa fa questo enzima, immaginiamo che ogni cellula sia come una piccola città: al suo interno c’è un continuo traffico di reazioni chimiche, alcune delle quali producono sostanze “di scarto” potenzialmente pericolose, come i radicali liberi (ROS). L’equilibrio tra produzione e smaltimento di queste sostanze si chiama equilibrio redox.
La TrxR è una sorta di “centralina antiossidante”: aiuta la cellula a proteggersi dai danni ossidativi, causati per esempio dai radicali liberi. Le cellule tumorali hanno un metabolismo accelerato e producono molti più ROS del normale, quindi la protezione data da questa "centralina antiossidante" è fondamentale. Inibendo l’enzima TrxR, i composti antitumorali di oro disattivano il sistema di difesa della cellula tumorale, lasciandola esposta a un accumulo tossico di specie ossidanti. Questo porta a una situazione definita “stress ossidativo”, che sfocia nella morte della cellula tumorale.
Oro e medicina: luci e ombre
I risultati finora ottenuti sono affascinanti e promettenti. Però, come spesso accade nella ricerca scientifica, non tutto è semplice e immediato. Nonostante l’Auranofin sia già stato approvato da decenni per l’artrite, il suo utilizzo come farmaco antitumorale non è ancora autorizzato in via definitiva. Servono studi clinici approfonditi, prove su larga scala e test di sicurezza in nuovi contesti terapeutici.
E qui emerge un grande paradosso su cui la comunità scientifica dovrebbe riflettere: se persino un farmaco già noto e testato come l’Auranofin incontra ostacoli nel suo “cambio di carriera”, quanto tempo, soldi e volontà saranno necessari per portare sul mercato nuovi farmaci a base di oro ancora del tutto sperimentali? Il cammino dalla scoperta di una molecola al farmaco finito è lungo e costoso, e richiede il coinvolgimento di industrie farmaceutiche disposte a investire su molecole “non convenzionali”.
La chimica dell’oro ha acceso una scintilla di speranza, ma perché possa davvero brillare nelle terapie oncologiche, serve il coraggio di investire e credere in un qualcosa che potrebbe salvare vite umane.