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Nel corso della loro storia lunga quasi 250 anni, gli Stati Uniti d'America sono passati attraverso due guerre civili: la prima, combattuta tra il 1775 e il 1783, coincise con la Guerra d'Indipendenza Americana; la seconda, nota come Guerra di Secessione, fu combattuta tra il 1861 e il 1865 tra gli unionisti (detti anche “nordisti”) e i confederati (detti anche “sudisti”). Attualmente, dopo decenni di profonde divisioni politiche, sociali e culturali, stanno emergendo preoccupanti segnali di polarizzazione e radicalizzazione politica, oltre a numerosi cambiamenti demografici, che alimentano il timore di un possibile nuovo conflitto interno. In centinaia di città degli Stati Uniti si sono tenute manifestazioni contro l'amministrazione del Presidente Donald Trump lo scorso 14 giugno, tutte riunite sotto il motto No Kings ("No ai re").
La società americana sta cambiando: i trend demografici
La moderna società americana, nata grazie alla colonizzazione e all'immigrazione da oltre oceano, viene spesso considerata il prototipo del fenomeno del cosiddetto “melting pot”, ossia un insieme di individui delle origini più disparate che convivono nello stesso territorio, formando una società multietnica la quale però coesiste da sempre col fenomeno del “razzismo” che si è manifestato con diversi gradi di intensità lungo tutta la storia americana.
Dal punto di vista demografico, razziale e sociologico-culturale, il pilastro portante del sistema-paese americano sono i cosiddetti “bianchi non ispanici” (“Non-Hispanic Whites”, in lingua inglese) i quali hanno sempre costituito la maggioranza assoluta della popolazione se comparati con gli afroamericani, i nativi, gli asiatici e, più recentemente, gli ispanici (i cosiddetti “latinos”).
Tuttavia i cambiamenti nei flussi migratori e nei tassi di fertilità hanno nel tempo eroso quella che una volta era la granitica superiorità numerica dei “bianchi” che, se nel 1940 erano l'89,8% della popolazione americana, nel 2020 pur essendo ovviamente cresciuti in numeri assoluti, erano calati al 57,8% (32 punti percentuali in meno).

Questa trasformazione epocale non va sottovalutata, perché la storia insegna che nessuna entità geopolitica del passato è mai sopravvissuta nella sua forma originaria una volta avvenuto quello che gli anglosassoni chiamano “demographic and cultural shift”, cioè il cambiamento del paradigma demografico e culturale di una paese. L'esempio temporalmente più vicino a noi in questo senso è costituito dal crollo del sistema sovietico nel triennio 1989-1991. Secondo i dati dell'ultimo censimento sovietico datato 1989 infatti, i “russi etnici” ossia la nazionalità attorno alla quale era stato costruito “l'impero” si erano ridotti al 50,8-51,4% del totale, quindi erano sulla soglia di perdere la maggioranza assoluta.
La polarizzazione politica negli USA
I cambiamenti a livello demografico provocano irrimediabilmente dei feroci dibattiti quando non veri e propri tumulti destabilizzanti. Esattamente come nell'Unione Sovietica le dinamiche demografiche, mutate nel corso degli anni '80 del XX secolo, furono il catalizzatore degli scontri interetnici e della “Perestroika” di Gorbachëv, così negli Stati Uniti i cambiamenti demografici, assieme alle cosiddette “guerre culturali”, stanno contribuendo al processo di polarizzazione in ambito politico, spingendo le persone ad allinearsi sempre più rigidamente a una parte (per esempio, progressisti vs conservatori), aumentando la distanza tra i due poli politici e riducendo l’area del confronto civile o del compromesso.
Anche il fenomeno della polarizzazione politica e culturale negli Stati Uniti si è sviluppato nel corso di un lungo arco temporale. Le sue radici più profonde possono essere rintracciate negli anni ’70, quando si manifestò una contro-cultura conservatrice in reazione ai profondi cambiamenti sociali e valoriali introdotti dal Movimento del '68 e dal fenomeno dei "Figli dei Fiori". Questa reazione prese forma come una risposta a ciò che veniva percepito da una parte della società americana come un eccesso di liberalismo, permissivismo e rottura con i valori tradizionali.
A ogni modo, secondo l'autorevole Pew Research Center, nel 2022 i membri dei due principali partiti politici americani (Democratici e Repubblicani) che hanno una visione negativa delle loro controparti sono più che raddoppiati rispetto al 1994, mentre un sondaggio del 2017 di Facebook affermava che gli internauti appartenenti agli opposti schieramenti politici non avessero ormai più alcun tipo di interesse comune.

L'aspetto più pericoloso di questo fenomeno è stato evidenziato da un altro sondaggio, questa volta della Gallup, datato 2025 che ha certificato la progressiva sparizione dell'elemento moderato, una volta perfettamente trasversale e dominante tra i due schieramenti politici. Tra gli elettori democratici infatti, il 55% si identificava “liberale”, il 34% “moderato” e il 9% “conservatore” mentre tra gli elettori repubblicani, il 4% si identificava come “liberale”, il 18% “moderato” e ben il 77% “conservatore”. In tutto solamente il 34% degli americani si percepivano come “politicamente moderati”, il valore più basso di sempre da quando esistono le rilevazioni statistiche.
Questi sono indici pericolosi perché certificano che la “polarizzazione” pura e semplice ha ceduto il passo alla “radicalizzazione”, e secondo alcune interpretazioni, quando una società si radicalizza rischia di avviarsi verso forme di frammentazione o disgregazione sociale, anche se gli esiti non sono necessariamente predeterminati e possono variare in base al contesto e agli strumenti di gestione del conflitto.
L'ipoteca “trumpiana” sul futuro
La nuova elezione alla Casa Bianca del presidente Trump difficilmente porterà a un'inversione di tendenza: egli si è guadagnato la fedeltà quasi messianica degli elementi più estremisti tra i conservatori del Partito Repubblicano. Tanto le sue politiche quanto le sue semplici dichiarazioni, sempre rigorosamente improntate al più estremo stile populista, specialmente in tema di immigrazione e di denuncia dei propri “rivali politici” non sono in grado di creare dei punti di connessione tra gli estremi di una società come quella americana.
Un motivo di preoccupazione per molti, soprattutto tra i progressisti americani, è il timore che Trump voglia abolire il limite dei due mandati presidenziali per restare al potere a vita. In parallelo, si teme che possa seguire le proposte del “Project 2025” di “The Heritage Foundation”, piano che punta a concentrare ancora di più i poteri del presidente, mettendo a rischio il sistema di “pesi e contrappesi” su cui si basa la Costituzione degli Stati Uniti. Considerando la forte tradizione libertaria della società americana e il clima di crescente radicalizzazione, appare difficile immaginare che questa deriva autoritaria venga accettata senza opposizione.