La guerra del Kosovo è stata combattuta tra il febbraio 1998 e il giugno 1999 dalle forze della NATO e dalla Federazione Jugoslava nell'ambito delle guerre jugoslave. Le ragioni principali sono da rintracciare nelle tensioni etniche presenti nella regione dei Balcani. Il Kosovo è infatti abitato da una maggioranza albanese e da una minoranza serba. Per molti anni ha fatto parte del territorio della Serbia. Negli anni ’90, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, le tensioni tra i kosovari di etnia serba e i kosovari di etnia albanese provocarono scontri armati e massacri. Alle brutalità dell’UCK, l’Esercito di liberazione del Kosovo, che rappresentava la popolazione albanese, le truppe serbe, inviate da Belgrado, risposero con atrocità ancora più gravi. Nel 1999 intervennero gli Stati Uniti, interessati a estendere la propria influenza nell’Europa centro-orientale, e attraverso una campagna di bombardamenti condotta insieme agli alleati della NATO costrinsero i serbi alla ritirata. Il conflitto aprì le porte all’indipendenza del Kosovo, proclamata nel 2008 ma non universalmente riconosciuta.
Cos’è il Kosovo
Il Kosovo è uno Stato a riconoscimento limitato situato nei Balcani, grande poco più di 10.000 km2 (all’incirca quanto l’Abruzzo), abitato da una maggioranza di etnia albanese e da una minoranza serba. Ha fatto parte a lungo della Serbia, che a sua volta fino al 1991 faceva parte della Jugoslavia (composta da sei repubbliche: Serbia, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia). Fino agli anni ’80 il Kosovo godeva di una speciale autonomia. I serbi, però, lo hanno sempre considerato parte integrante del loro Paese, anche perché era stato teatro di una battaglia storica, quella della Piana dei Merli (Kosovo Polje) del 1389 contro gli ottomani, che ha un ruolo importante nell’identità nazionale della Serbia.
All’inizio degli anni ’90 nei Balcani iniziarono le guerre che, nel volgere di alcuni anni, portarono le repubbliche jugoslave all’indipendenza. Il Kosovo non era una delle repubbliche della Jugoslavia, ma un “pezzo” della Serbia. Ciò nonostante, si svilupparono ugualmente pulsioni autonomiste e indipendentiste, soprattutto perché Slobodan Milosevic, il leader della Serbia, aveva sottratto al territorio l’autonomia.
Le tensioni in Kosovo e le relazioni internazionali negli anni ’90
All’inizio degli anni ’90 l’Assemblea del Kosovo, una sorta di Parlamento locale, proclamò la nascita della Repubblica, uno Stato autonomo del quale era leader Ibrahim Rugova. Quest’ultimo seguiva un approccio non violento, basato sulla resistenza passiva, e dichiarava di voler proteggere i diritti della minoranza serba. Tra i kosovari nacque però anche un’organizzazione armata, l’UCK (Esercito di liberazione del Kosovo), che, al contrario di Rugova, si rese responsabile di violenze e atrocità contro i cittadini serbi. Nel 1998 il conflitto si intensificò, l’UCK occupò ampi territori e Milosevic fece intervenire l’esercito serbo, che reagì con estrema durezza. Da entrambe le parti furono compiute atrocità e stragi.
La questione si intrecciò con le dinamiche geopolitiche internazionali. Gli anni ’90 furono il periodo nel quale gli Stati Uniti, risultati vincitori della Guerra Fredda, erano l’unica superpotenza esistente ed esercitavano un’influenza pressoché globale. La Russia, dopo la dissoluzione dell’URSS, era in crisi e la Cina non era ancora emersa come potenza. Gli Stati Uniti potevano perciò agire senza curarsi delle loro reazioni e decisero di sostenere la causa del Kosovo, allo scopo di indebolire la Serbia (alleata storica della Russia) ed estendere la propria influenza nei Balcani, garantendosi l’alleanza di un altro territorio.
L’attacco NATO alla Serbia: le operazioni militari della guerra del Kosovo
Nel 1999 la situazione precipitò. L’esercito serbo si rese responsabile di massacri e atrocità contro la popolazione kosovara di etnia albanese, parte della quale fu costretta a fuggire, e gli Stati Uniti, guidati dal presidente Bill Clinton, decisero di intervenire militarmente. Insieme agli alleati della NATO, diedero avvio a una campagna di bombardamenti aerei, giustificandola come reazione alle atrocità compiute dai serbi, ma effettuata anche al fine di sottrarre un altro territorio alla sfera di influenza della Russia. La stessa Italia partecipò alle operazioni, sia pure in maniera parziale: consentì che gli aerei della NATO decollassero dalle basi nel proprio territorio, ma non inviò le proprie forze a combattere. Sul piano internazionale, l’attacco provocò dure proteste della Russia e della Cina, che però non erano in condizioni di reagire.
I bombardamenti, noti come Operazione Allied Force, durarono dal 24 marzo all’11 giugno 1999. La NATO impiegò circa 1000 aerei, che effettuarono oltre 38.000 missioni, bombardando sia le installazioni militari serbe (in Serbia, in Kosovo e in Montenegro, allora ancora unito alla Serbia), sia le unità sul terreno (carri armati e altri mezzi militari). I bombardamenti provocarono un incidente diplomatico quando colpirono l’ambasciata della Cina a Belgrado: l’amministrazione americana dichiarò che l’attacco era avvenuto per errore e presentò le sue scuse, ma la spiegazione non convinse i cinesi. La NATO, però, non intervenne con truppe di terra, lasciando che sul terreno combattesse l’UCK.
La fine della guerra e l’accordo di pace
La Serbia non poteva resistere all’attacco della NATO e all’inizio di giugno del 1999 il presidente Milosevic fu costretto ad accettare un accordo di pace, che prevedeva il ritiro completo delle truppe serbe dal Kosovo e l’ingresso di una forza multinazionale, la KFOR. Il Kosovo divenne così una sorta di protettorato della NATO, di fatto indipendente dalla Serbia.
Le vittime della guerra del Kosovo
Le vittime della guerra del Kosovo furono numerose. I serbi persero circa 1000 soldati e un numero di civili stimato tra 1600 e 2500. Circa 230.000 kosovari di etnia serba o rom furono costretti a fuggire. I kosovari albanesi persero 1500-2000 combattenti e circa 8000 civili: oltre 800.000 abitanti dovettero lasciare, temporaneamente, le proprie case. La NATO non subì vittime in combattimento.
I danni materiali patiti dalla Serbia e dal Kosovo furono ingenti, anche a causa dell’uso di proiettili all’uranio impoverito da parte delle truppe statunitensi.
Le conseguenze di lungo periodo della Guerra del Kosovo
Nel 2008 il Kosovo ha proclamato l’indipendenza, ma gode di riconoscimento solo parziale: è riconosciuto, con poche eccezioni, dai Paesi dell’Occidente, ma non dalla Serbia, dalla Russia, dalla Cina e da altri Stati. Inoltre, non sono venute meno le tensioni interetniche e la minoranza serba del Paese, presente soprattutto nel Nord, ritiene di essere discriminata dalla maggioranza di etnia albanese.