È talvolta soprannominata “la donna senza paura”: la paziente S.M., descritta per la prima volta nel 1994, è una donna americana affetta da una rara patologia di origine genetica, la sindrome di Urbach-Wiethe. Questa malattia colpisce in particolare l'amigdala, una struttura cerebrale che ha un ruolo cruciale nelle emozioni, in particolar modo nella paura. Questa condizioni le impediva di provare questa emozione primaria in situazioni che stimolano paura nella maggior parte degli individui (per esempio la visione di serpenti o di film horror). Anche di fronte a eventi traumatici che hanno messo a rischio la sua vita, S.M. non ha mostrato segni di paura o disperazione. Gli studi su S.M. hanno permesso di comprendere meglio il ruolo dell'amigdala, evidenziando l'importanza della paura per la sopravvivenza e i rischi associati alla sua assenza, ma anche una resistenza allo stress post-traumatico.
Cos'è la sindrome di Urbach-Wiethe: il caso di S.M.
La sindrome di Urbach-Wiethe colpisce gli autosomi (cioè i cromosomi non sessuali) e impedisce la produzione di una proteina che va a comporre la matrice extracellulare. Spesso ha sintomi dermatologici ma colpisce anche il tessuto cerebrale, in genere con l'indurimento o addirittura la calcificazione del tessuto neurale. Nel caso più unico che raro della paziente S.M., la calcificazione ha riguardato l’amigdala di entrambi gli emisferi, e una piccola porzione della corteccia entorinale adiacente, con un decorso progressivo a partire dai 10 anni d’età. L’amigdala è una struttura cerebrale che ha un ruolo cruciale nelle emozioni, in particolar modo nella paura. Le conseguenze della malattia sulla paziente S.M. hanno determinato una totale distruzione selettiva delle attività elettrochimiche dell’amigdala, mentre le altre aree del cervello si presentano, alla risonanza magnetica, intatte e funzionalmente nella norma.
Quali sono i sintomi causati dalla sindrome di Urbach-Wiethe
La distruzione delle funzionalità dell’amigdala ha determinato, nella donna, una quasi totale incapacità di provare paura. L’esempio della paziente S.M., relativamente recente e ben documentato, ci evidenzia come l’emozione della paura, sebbene spesso rifuggita, sia essenziale per la sopravvivenza. Feinstein, Adolph, Damasio e Tranel, i principali studiosi del caso S.M., in uno studio del 2011 pubblicato su Current Biology hanno riportato l’assenza di una reazione di paura della paziente anche quando esposta a serpenti, ragni, film horror e simili, nonostante la stessa paziente abbia affermato per molti anni di odiare ragni e serpenti e di cercare di evitarli.
Durante la sua vita, S.M. è stata spesso messa alla prova, sia a causa di esperienze personali, sia per essere studiata in maniera approfondita. In una giornata di ricerca fuori dal laboratorio, quindi accompagnata nel negozio di animali esotici dove i ricercatori avevano intenzione di studiarne le reazioni, S.M. si è dimostrata curiosa verso le teche dei serpenti, e all’invito del proprietario di tenerne uno in mano, S.M. accettò di buon grado la proposta, manipolando il rettile per tre minuti, e attuando anche una serie di comportamenti esplorativi tipici di chi sperimenta curiosità: ha toccato spontaneamente la lingua del serpente e accarezzato le sue squame mentre esprimeva il suo totale entusiasmo. Dopo averci preso gusto, S.M. si dimostrò addirittura proattiva, a tal punto da dover essere smorzata nella curiosità dallo stesso proprietario del negozio, che le vietò di toccare i serpenti più velenosi, e la fermò nel suo tentativo di allungare la mano verso una tarantola che avrebbe potuto morderla.
Con la stessa curiosità e divertimento fanciullesco, S.M. ha affrontato un secondo tentativo degli sperimentatori messo in atto per terrorizzarla: una spettrale messa in scena horror nell’ex sanatorio di Waverly Hills. In questa occasione, S.M. si è nominata “capo esploratrice”, reagiva con divertimento alle interazioni più spaventose e tentava di ingaggiare un dialogo con gli attori in costume. Esponendola poi a film di paura, gli sperimentatori hanno rilevato in S.M. un’intatta capacità di provare disgusto, rabbia, tristezza e sorpresa, ma il feedback finale era sempre il solito: un gran divertimento ed una candida eccitazione.
Com'è una vita senza paura: la storia di S.M.
Uno degli episodi più noti riguarda l’aggressione subita da S.M. quando aveva 30 anni. Verso le dieci di sera, quando l'oscurità aveva già avvolto ogni cosa, S.M. stava tornando a casa da sola. Mentre camminava, un uomo si rivolse a lei e le fece segno di avvicinarsi. La donna, ingenuamente e senza timore, si avvicinò ma, non appena fu a portata di mano, l'uomo si alzò bruscamente, l’afferrò per la camicia, le puntò un coltello alla gola e urlò: "Ti taglierò!", seguito da un insulto per rincarare la minaccia. La donna rimase calma. Nel frattempo, in una chiesa lì vicino, si levava il canto di un coro. S.M. guardò l'uomo negli occhi e con voce ferma disse: "Se vuoi uccidermi, dovrai prima affrontare gli angeli del mio Dio". Improvvisamente, l'uomo la lasciò andare. S.M. racconterà ai ricercatori di essere tornata a casa camminando, e che il giorno seguente era passata di nuovo davanti allo stesso parco nei pressi del quale era stata minacciata di morte.
Un’altra caratteristica di S.M. è quella di non riconoscere la paura nei volti delle persone. Ciò però non sembra causato dall’incapacità di capire il concetto di paura o riconoscerlo in toto, ma piuttosto in una scarsa capacità di dirigere lo sguardo verso gli occhi del volto osservato, elemento del volto maggiormente informativo rispetto alla paura. Osservando invece la bocca o ascoltando il tono di voce, S.M. presentava una buona capacità di attribuire uno stato di paura all’altro.
Perché gli studi sulla paziente S.M. sono importanti
Quella di S.M. è una storia che attira l’attenzione tanto dei profani quanto degli esperti. Poter studiare un caso di così ben delineata disattivazione dell’amigdala è stata, per la ricerca, una reale spinta nella definizione certosina di quali compiti funzionali l’amigdala svolge nel processamento delle emozioni e non solo. Una condizione che sicuramente mette a rischio la vita della paziente, la quale difficilmente riesce a captare i pericoli ed evitarli, dimostrando troppa propensione alla fiducia nel prossimo sconosciuto, testimoniata dai numerosi crimini della quale S.M. è stata vittima. Se questo è lo scotto da pagare, sull’altro lato della medaglia S.M. pare sia risultata pressoché immune ad alcune conseguenze nefaste degli eventi traumatici, come lo stress post-traumatico. Una condizione di refrattarietà che sembra trovare conferma in recenti studi su veterani di guerra con lesioni all’amigdala.