;Resize,width=638;)
Arsenio Lupin, il “ladro gentiluomo” ideato dallo scrittore Maurice Leblanc, è il protagonista di numerosi romanzi del romanziere francese, il cui primo (L'arresto di Arsenio Lupin) venne pubblicato nel 1905 sulla rivista Je Sais Tout. Sebbene tutti conoscano Lupin, non tutti sanno che potrebbe essere ispirato a un ladro francese realmente esistito, il francese Alexandre Marius Jacob. L'autore ha sempre negato che ci fosse un collegamento, ma le somiglianze tra Jacob e Lupin sono molte: il rubare per riportare la giustizia, i colpi di classe, i travestimenti, la scelta della non violenza, l’attacco al potere. Jacob, nato nel 1879, di estrazione anarchica, ha compiuto oltre 100 furti spettacolari, per poi essere arrestato e condannato a scontare una lunga pena: negli ultimi anni della sua vita mantenne le sue posizioni, fino poi a suicidarsi nel 1958.
Alexandre Marius Jacob, ladro buono che ha ispirato Maurice Leblanc
La storia di Alexandre Marius Jacob può vagamente ricordare quella di Renato Rinino, il "Lupin della Rivera", ma Jacob è stato un vero e proprio contemporaneo del "vero" Arsenio Lupin. Nasce a Marsiglia, nel sud della Francia, il 29 settembre 1879, figlio di un marinaio. A 13 anni, si imbarca come mozzo su una nave che lo porta fino in Australia. Qui si imbarca di nuovo per tornare a casa, ma scopre di essere salito a bordo di una nave pirata, che compie saccheggi e nefandezze: tornato, racconta di essere stato inorridito da ciò che ha visto, e pronuncia la frase “ho visto il mondo, non è bello”.
La lunga permanenza in mare lo ha debilitato, Jacob deve stare a letto, e così inizia a leggere testi anarchici. Autori come Sante Caserio e Bakunin sono per lui illuminanti, forse anche per ciò che ha vissuto in mare: Alexandre Marius Jacob inizia a pensare di fabbricare una bomba per sovvertire il potere, ma viene scoperto e arrestato. Sconta sei mesi di carcere, e qui decide che vuole diventare un professionista delle “giustizia”, ma inteso come un professionista che fa giustizia: e quindi, ruba, se necessario, ma mai senza violenza né crudeltà.
Uscito dal carcere, la polizia francese vorrebbe assumerlo come spia: ma Jacob prosegue nel suo intento e fonda la sua banda di collaboratori, Les travailleurs de la nuit – I lavoratori della notte, un gruppo di anarchici che, in pochi anni, compie oltre 100 furti. Tra le sue “vittime”, commercianti disonesti, una ricchissima contessa, il Casinò di Montecarlo. Jacob e i suoi colpiscono solo dove la ricchezza è troppa, o ingiusta: come Robin Hood e come sarà Lupin.
Abilissimo nei travestimenti, Jacob viene arrestato diverse volte ma riesce sempre a evadere. Durante il processo che lo vede imputato nel 1905 insieme alla sua banda, accusato della morte di un poliziotto avvenuta durante la fuga dopo un suo furto, passa alla storia la sua dichiarazione e contro il potere, i magistrati, il clero, e chi usurpa la libertà:
“Ogni uomo ha il diritto di godere della vita. Il diritto a vivere non si mendica, si prende… Comprendo che avreste preferito che fossi sottomesso alle vostre leggi, che operaio docile avessi creato ricchezze in cambio di un salario miserabile. E che, il corpo sfruttato e il cervello abbrutito, mi fossi lasciato crepare all’angolo di una strada. In quel caso non mi avreste chiamato “bandito cinico” ma “onesto operaio”… Vi ringrazio molto di tanta bontà, di tanta gratitudine, Signori! Preferisco essere un cinico cosciente dei suoi diritti piuttosto che un automa… La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà a tutti”.
Marius Jacob: l’ergastolo e il ritorno in Francia
Viene condannato all’ergastolo, ma tenta di evadere e viene mandato nella Guyana Francese in penitenziario. Successivamente viene collocato, sempre in carcere, alle Îles du Salut dove sconta una pena di 23 anni, durante i quali tenta di fuggire 17 volte.
Jacob torna in Francia nel 1928: la sua storica compagna, Rose, è morta. Lui inizia a lavorare come venditore ambulante e, si reca in Spagna durante la Guerra Civile e durante la Seconda Guerra Mondiale, dà rifugio ai partigiani. Si risposa e, nel 1958, decide di mettere fine alla propria vita – e a quella del suo anzianissimo cane – con una dose letale di morfina, lasciando una lettera:
“Mi considero soddisfatto del mio destino. Dunque, voglio andarmene senza disperazione, il sorriso sulle labbra e la pace nel cuore. Ho vissuto. Adesso posso morire. PS: Vi lascio qui due litri di vino rosato. Brindate alla vostra salute”.