Sabato 2 ottobre in California un oleodotto di collegamento tra la terraferma e la piattaforma di estrazione petrolifera "Elly", ubicata dal marzo 1980 nell'oceano Pacifico a pochi chilometri al largo della costa a sud di Los Angeles, ha cominciato a perdere greggio.
Non appena si è compresa l'entità dell'incidente, le autorità delle città di Huntington Beach e Newport Beach e la società di gestione, la Beta Offshore, sono immediatamente intervenute per correre ai ripari e contenere la perdita ma, prima che il problema rientrasse, oltre 500mila litri di petrolio (equivalenti a poco più di 3100 barili) sono finiti in mare e sono diventati una minaccia per l'ecosistema e il turismo locale.
Ad oggi, 4 ottobre, benché le cause del guasto non siano ancora del tutto chiare, la fuoriuscita di greggio è stata fermata. Tuttavia, nel frattempo, la marea nera che si è generata si è allargata fino a raggiungere una superficie di oltre 30 km2, toccando la costa e impattando purtroppo inevitabilmente sulla fauna marina locale.
Chiaramente si tratta di un incidente dalle pesanti ricadute ecologiche, considerando anche le già fragili condizioni degli oceani e altri incidenti petroliferi avvenuti nell'area in passato (tragicamente noto è quello verificatosi nel 1969 vicino a Santa Barbara, quando finirono in acqua tra gli 80mila e i 100mila barili di petrolio). Tuttavia, nella disgrazia, oggi si può parlare per fortuna di un incidente molto più contenuto. Per fare un esempio con un caso che quasi tutti ricorderanno – il disastro della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico accaduto nel 2010 – oggi in California si parla di un quantitativo di greggio finito in mare pari a poco più di 3100 barili contro i circa 3,2 milioni sversati allora: un volume, cioè, di 1000 volte inferiore.