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5 Giugno 2022
7:30

K-19, la storia del sottomarino nucleare sovietico e l’incidente del 4 luglio 1961

Il 4 luglio 1961 il sottomarino nucleare sovietico K-19 subì un guasto e si sfiorò l'incidente nucleare - scongiurato grazie al sacrificio dell'equipaggio.

A cura di Roberto Manzo
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K-19, la storia del sottomarino nucleare sovietico e l’incidente del 4 luglio 1961
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Nel 1961, nel pieno della guerra fredda, il lancio del primo sottomarino nucleare americano, armato di missili con testate nucleari, spinse il governo Sovietico a rispondere costruendone uno a loro volta: il famoso K-19, soprannominato anche "fabbricante di vedove". In pochi mesi il nuovissimo battello sottomarino stava già compiendo i primi collaudi. Purtroppo la fretta, assieme ad altri fattori in seno al governo sovietico, gravarono pesantemente sulla buona riuscita di questa nuova macchina bellica. Difetti di progettazione, errori di produzione e assemblaggio portarono a sfiorare l’olocausto nucleare il 4 luglio 1961, evitato grazie al coraggio di pochi marinai e al senso di sacrificio del loro capitano. La sfortunata serie di incidenti è stata anche raccontata dal film del 2002 K-19 – The Widowmaker, con protagonisti Harrison Ford e Liam Neeson.

Clima storico-politico

In piena guerra fredda, dove la deterrenza tra le due superpotenze era la costante minaccia nucleare, si combatteva anche sui primati tecnologici e scientifici. Il 21 gennaio 1954 gli Stati Uniti vararono il primo sottomarino a propulsione nucleare della storia: l’USS Nautilus. Ebbe così inizio l'era dei sottomarini nucleari.

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IL Nautilus (credit: US Navy)

I sovietici corsero ai ripari già il 9 agosto 1957 varando il loro primo sottomarino a propulsione nucleare: il Il K-3 Leninskij Komsomol.

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Il K–3 sovietico (credit: pliskin1)

Ma già nel ’59 gli USA alzarono l’asticella quando vararono il primo sottomarino nucleare lanciamissili nucleari della storia: USS George Washington (SSBN-598). Gli USA ancora una volta avevano battuto sul tempo l’acerrimo nemico con un importante innovazione militare strategica, manifestando la superiorità tecnologia ed il potere nel dominio dei mari del globo.

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Missile Polaris lanciato dall’USS George Washington (credit: US Department of the Navy)

La notizia che gli americani stessero costruendo questo tipo di arma sconvolse gli ambienti sovietici. Ai fini di ridurre questo gap, il governo dell’URSS impose la costruzione di un loro sottomarino nucleare lanciamissili in tempi strettissimi, equipaggiandolo con testate nucleari in grado di raggiungere il territorio americano.
Lanciarono con carattere di urgenza, quindi, il progetto 658, che portò alla realizzazione della classe di sottomarini chiamata Hotel, il cui primo esemplare fu proprio il K-19.

La costruzione del sottomarino nucleare K-19

Realizzato presso i cantieri di Severodvinsk il K-19 fu subito funestato, già durante la sua costruzione, da una serie di incidenti mortali tra le fila dei tecnici e degli operai che ci lavoravano: la sicurezza dei lavoratori era stata messa in secondo piano rispetto alla celere produzione. Per tutti questi motivi fu chiamato dagli addetti: “il fabbricatore di morte”.

Durante gli assemblaggi ci furono una serie di errori (che emersero già durante i collaudi) che vennero però prontamente celati dai vertici militari.
Infine, durante la cerimonia del varo, l’8 aprile 1959, la tradizionale bottiglia di inaugurazione non si ruppe quando fu lanciata contro lo scafo. Seconda la tradizione fortemente radicata in ambiente marinaio questo era sinonimo di grande sfortuna.

Le caratteristiche del K-19

Il K-19 era un sottomarino nucleare sovietico di classe Hotel. Fu il primo sottomarino nucleare sovietico equipaggiato con missili nucleari balistici. Impostato il 17 ottobre 1958, aveva un dislocamento di circa 5000 tonnellate in immersione e di circa 4000 in emersione, con una lunghezza totale di 114 m ed una larghezza di 9,2 m. La propulsione era garantita da 2 reattori VM-A (reattori nucleari ad acqua pressurizzata), che garantivano al sottomarino un’autonomia di quasi 57000 km ad una velocità di 26 nodi.

L’armamento era composto da 8 tubi lancia siluri, divisi in 2 classi, e da 3 missili nucleari balistici, i quali avevano una gittata di 650 km ed una potenza di 1,4 Mt. Il comando fu affidato al Capitano Nikolai Vladimirovich Zateyev, lo stesso comandante che fu costretto a firmare dai vertici russi il certificato di collaudo.

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Il comandate Zateyev

L’incidente del 4 luglio 1961

Il 4 luglio 1961 alle 4.15 (ora locale), mentre navigava lungo la costa sud-orientale della Groenlandia, il sottomarino subì improvvisamente un’avaria. Nel circuito di raffreddamento del reattore di dritta la pressione del refrigerante scese improvvisamente sotto la soglia di sicurezza, raggiungendo lo zero: l’effetto immediato fu un guasto delle pompe del circuito. Nonostante l’inserimento automatico dello SCRAM (l’arresto di emergenza del reattore) il nocciolo registrò un aumento incontrollato di temperatura che raggiunse gli 800°C.

Il continuo aumento della temperatura rischiava di far detonare il reattore, che avrebbe potuto coinvolgere l’altro reattore e le 3 testate dei missili. Il battello non poteva contattare Mosca e richiedere assistenza perché un incidente separato aveva danneggiato il sistema radio a lungo raggio. Inoltre nei pressi del sottomarino era presenta un’imbarcazione della US Navy (che aveva proposto il suo aiuto) e lo stesso sottomarino si trovava non lontano da una base islandese della Nato.

sottomarino k19
ניר מאור, CC BY–SA 3.0, via Wikimedia Commons

L’abbandono nave non era nella filosofia sovietica, oltre ad essere praticamente inutile ai fini della salvezza in caso di una detonazione nucleare. A questo si aggiunge il fatto che, in caso di esplosione del reattore, si sarebbe potuta coinvolgere anche l’imbarcazione americana, con possibili conseguenze catastrofiche a livello mondiale.
Il comandate ordinò di far rotta verso la penisola di Kola e prese una decisione drastica: dopo aver fatto riemergere il sottomarino e fatto aprire i portelli per areare il più possibile il battello (nel frattempo le radiazioni si stavano diffondendo in moto incontrollabile all’interno dell’imbarcazione), ordinò di costruire un sistema di refrigerazione con i sistemi presenti a bordo. Questo significava che alcuni membri del personale dovevano lavorare per tempi prolungati all’interno della camera del reattore, condannandoli a morte certa.

Fortunatamente ci riuscirono e il sottomarino, dopo un po' di tempo, raggiunse altre imbarcazioni sovietiche. Una di queste trainò il sottomarino verso la base. Dopo l’incidente, il K-19 fu riparato e rimesso in servizio fino al suo ritiro del 1991, nonostante i livelli di radiazione all’interno di esso erano tanto elevate da fargli guadagnare il nuovo soprannome di “Hiroshima”.

Le sorti dell’equipaggio

L’equipaggio era composto da 125 persone (tra ufficiali e comuni). Gli 8 uomini che lavorarono all’interno della camera del reattore morirono per le radiazioni assorbite nel giro di 3 settimane, altri 14 membri morirono entro 2 anni dall’incidente, mentre molti altri marinai sono stati trattati con il trattamento ideato dal professor Z. Volynskiy che comprendeva trapianto di midollo osseo e trasfusione di sangue.

I vertici di Mosca imposero il segreto per tutti i membri superstiti, tanto è vero che furono curati ufficialmente non per avvelenamento da radiazioni, ma per "sindrome asteno-vegetativa". Solo con la caduta dell’URSS la storia venne a galla e gli eroi del K-19, che si erano sacrificati il 4 luglio del 1961, poterono essere celebrati ufficialmente. Il 1º febbraio 2006 l'ex Presidente dell'Unione Sovietica Michail Gorbačëv propose, in una lettera al Comitato del Nobel, che l'equipaggio del K-19 venisse nominato al Nobel per la Pace.

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Monumento per i caduti del K–19 (credit: Kallinikov)
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