La navicella Orion della NASA, partita il 16 novembre da Cape Canaveral, ha fatto rientro sul pianeta Terra concludendo così il proprio viaggio. La fase finale di Artemis 1 era forse la più critica e delicata dell'intera missione: la manovra di rientro non era mai stata testata per una navicella di questo tipo e molte cose potevano andare storte. Un fallimento nel rientro avrebbe comportato il fallimento dell'intera missione, dal momento che il compito principale della capsula consiste proprio nel proteggere gli astronauti durante le future missioni lunari.
Per questa prima missione Artemis la capsula ha viaggiato senza equipaggio, ma il rientro è andato a buon fine e più in generale l'intera missione si è dimostrata un enorme successo, performando anche al di là delle aspettative stesse dell'agenzia spaziale americana.
Il rientro di Orion sulla Terra
Siamo ormai abituati a vedere sonde, capsule e navicelle di ogni tipo rientrare a terra dopo essere state nello spazio, tipicamente verso la Stazione Spaziale Internazionale. Perché dunque dovrebbe stupirci il successo del rientro di Orion? Che cosa c'è di diverso?
Innanzitutto, le navicelle che rientrano a Terra lo fanno dall'orbita bassa terrestre: la Stazione Spaziale Internazionale, per esempio, orbita a circa 400 km di altezza; anche gli Space Shuttle rientravano da quote non molto differenti. Orion invece è rientrata da una traiettoria molto più alta, che veniva direttamente dalla Luna, quindi lo ha fatto a una velocità decisamente più elevata: circa 40.000 km/h nel momento dell'ingresso atmosferico, contro i circa 27.000 km/h tipici dei rientri dall'orbita bassa.
Più è alta la velocità, più è elevato l'attrito con l'atmosfera, e dunque le temperature e le sollecitazioni diventano più severe. Un numero su tutti: lo scudo termico di Orion ha dovuto sopportare temperature fino a 2800 °C! Questo componente è dunque di cruciale importanza, perché impedirà ai futuri astronauti Artemis di cuocere (letteralmente) durante il rientro: ecco perché il test di rientro in condizioni reali era così importante per il successo della missione!
Lo scudo termico è stato esposto per la prima volta dall'inizio della missione 40 minuti prima dell'ammaraggio, verso le ore 18:00 italiane, con la separazione del modulo abitativo di Orion (cioè la capsula vera e propria, dove stanno gli astronauti) dal modulo europeo di servizio (dove sono montati i pannelli solari, i sistemi di supporto vitale e i propulsori).
Il modulo di servizio, non dotato di un sistema di protezione termica, si è poi disintegrato per via delle altissime temperature dovute all'attrito atmosferico.
La manovra della navicella
Un'altro fattore di complessità del rientro di Orion è stata la particolare manovra di rientro scelta dalla NASA. In gergo tecnico prende il nome di skip re-entry e consiste sostanzialmente nel dividere la caduta in due fasi, separate da un “rimbalzo” in alta atmosfera. Praticamente, a una quota di circa 60 km dal suolo la capsula ha usato la propria velocità per comprimere l'aria sotto di sé e sfruttare la sua portanza per ricevere una spinta verso l'alto dall'aria stessa, perdendo così buona parte della sua velocità. Dopo essere tornata temporaneamente fuori dai confini dell'atmosfera, Orion è ridiscesa questa volta con velocità più bassa.
Questo tipo di manovra ha due grandi vantaggi:
- permette di ridurre la decelerazione percepita dagli astronauti (circa 4g, contro i circa 7-8g per i rientri del programma Apollo), consentendo quindi un rientro molto più confortevole;
- permette di stabilire preventivamente la traiettoria esatta di discesa e dunque il punto esatto di ammaraggio (contrariamente alle capsule Apollo che rientravano in modo soltanto parzialmente controllato), in modo da diminuire significativamente lo sforzo logistico (e con esso i tempi) per il recupero degli astronauti.
Non è la prima volta in assoluto che si effettua questa manovra, ma è la prima volta che viene compiuta da una navicella in grado di trasportare esseri umani!
L'ammaraggio della capsula Orion
L'intera manovra è durata in tutto circa 20 minuti, quindi dalle 18:20 alle 18:40 italiane. Nell'ultima fase, quando ormai la capsula si trovava nella bassa atmosfera, Orion ha dispiegato tre tornate di paracadute per rallentare ulteriormente fino a raggiungere una velocità finale di 32 km/h, con cui è infine ammarata. I paracadute erano tutti molto simili come design a quelli del programma Apollo, ma più grandi visti le velocità più alte in gioco: i paracadute principali avevano un diametro di ben 35 metri!
Il tutto è andato perfettamente, con Orion ammarata esattamente nel punto prestabilito (circa 550 km a sud di San Diego) e precisamente nel momento prestabilito. Insomma, un grande successo non solo per il buon esito in sé del rientro, ma anche perché per certi versi si è trattata di una prima volta!
Nelle ore successive allo splashdown sono iniziate le operazioni di recupero. Orion impiegherà qualche giorno per tornare alla terraferma, dove verrà analizzata meticolosamente nei prossimi mesi. La mole di dati raccolti dalla navicella durante i suoi 25 giorni di viaggio saranno fondamentali per progettare nel dettaglio le future missioni Artemis. La prossima è prevista nel 2024 e sarà la prima con esseri umani a bordo!