0 risultati
video suggerito
video suggerito
8 Dicembre 2025
16:30

La storia dell’isola di Tabarka in Tunisia, quando i genovesi migrarono per il corallo

Nel Cinquecento un gruppo di abitanti di Genova si trasferì sull'isola mediterranea di Tabarka, sulle coste della Tunisia, per coltivare il corallo e commerciare questo materiale. Quando il corallo esaurì, i tabarchini lasciarono l'isola e si trasferirono in Sardegna, dove fondarono la città di Carloforte.

Ti piace questo contenuto?
La storia dell’isola di Tabarka in Tunisia, quando i genovesi migrarono per il corallo
isola-tabarka-storia

A metà del Cinquecento un gruppo di genovesi si trasferì sull’isola di Tabarka, a poca distanza dalla costa della Tunisia, per coltivare il corallo e controllarne la rotta commerciale. Prima di loro, per quattrocento anni, l’isola era stata territorio dei pisani. Alla fine del Settecento, i genovesi lasciarono Tabarka perché il corallo si era esaurito e i rapporti con le popolazioni locali stavano diventando problematici: fondarono poi la città di Carloforte in Sardegna, dove ancora oggi viene parlato il “tabarchino”, idioma specifico di Tabarka.

Il nome “Tabarka” significa “buon rifugio per le navi”, proprio perché era un approdo sicuro, utilizzato fin dall’antichità grazie alla baia riparata che si apre lungo la costa nord-occidentale della Tunisia, ed esiste ancora oggi, ma non è più un’isola perché la sabbia ha ricoperto la poca distanza dal mare collegandola alla terraferma.

VueCollineTabarka
L’isola di Tabarka oggi. Credit: Citizen59, CC BY–SA 3.0, via Wikimedia Commons

L’arrivo degli italiani nell'isola di Tabarka sulla rotta del corallo

La storia che lega l’ “isola del corallo” all’Italia inizia nel 1167 quando il Bey di Tunisi – titolo nobiliare che somiglia al nostro “Signore” – Abdallah Bockora, cedette a Pisa, al tempo Repubblica Marinara, la proprietà dell’isola di Tabarka, vicina al confine con l’Algeria.

I primi connazionali a intraprendere rapporti commerciali, e di conseguenza anche culturali e sociali, con la Tunisia, furono quindi i pisani, che erano interessati proprio alla coltivazione e poi al commercio della principale risorsa del luogo, il corallo. Nasce proprio da qui il nome di “isola del corallo” con cui, ancora oggi, è conosciuta Tabarka: per quattrocento anni, Pisa mantenne il controllo sulla località e sulla rotta commerciale, interessata anche alla mediazione commerciale tra l’Italia e il nord Africa, di cui la Tunisia era uno degli ingressi.

Tabarka
Un delle piazze di Tabarka, al cui centro spicca la riproduzione di un corallo. Credit: Habib M’henni, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons

I genovesi a Tabarka: la storia

Gli assetti cambiarono nel 1542 quando il comandante ottomano Khair ed-Din Barbarossa, per bilanciare assetti politici con il corsaro Dragut, suo alleato, trasferì la proprietà di Tabarka ai Lomellini, famiglia aristocratica genovese legata ad Andrea Doria e ai Grimaldi. L’interesse commerciale dei Lomellini era, chiaramente, il corallo: per gestirne la coltivazione e gli interessi specifici in zona venne organizzato un trasferimento di massa dal quartiere genovese di Pegli all’isola di Tabarka. Per duecento anni, dal 1542 al 1738, i genovesi abitarono questo isolotto sulle coste tunisine, prendendo il nome di “tabarchini”.

I tabarchini lasciarono Tabarka perché i banchi di corallo, dopo quasi un secolo di lavorazione e sfruttamento, non erano più fertili, e la presenza della popolazione straniera sull’isola stava creando attriti con i tunisini locali.

Una piccola parte di loro rimase sull’isola, ma la stragrande maggioranza si trasferì in Sardegna, dove fondò la città di Carloforte, così chiamata in onore di Carlo Emanuele III di Savoia, che aveva promosso e agevolato il loro nuovo insediamento. Quando, poco dopo, il Bey di Tunisi invase l’isola e rese schiavi gli abitanti di Tabarka rimasti, gli ultimi genovesi rimasti chiesero il riscatto e se ne andarono. Alcuni si ricongiunsero con i connazionali tabarchini a Carloforte, altri si spostarono in Spagna, dove fondarono Nueva Tabarca, altri ancora nella zona sarda di Calasetta.

La lingua tabarchina, ancora parlata in Sardegna

I tabarchini di Carloforte e Calasetta, ancora oggi, mantengono vivo il legame con la lingua che i loro antenati parlavano due secoli fa sulle coste della Tunisia: la lingua tabarchina è un idioma ligure, contaminato dal tunisino, poi sviluppatosi in Sardegna.

Ne fanno parte infatti anche alcune parole arabe, come per esempio facussa, termine che indica un tipo di zucchina coltivata in Tunisia e importata in Sardegna, oppure la parola cascà, che significa cuscus, pronunciato alla maniera tunisina.

La legge regionale sarda n. 26 del 15 ottobre 1997 tutela la valorizzazione del patrimonio linguistico ed etnografico regionale, ma la successiva legge nazionale sulle minoranze linguistiche storiche – legge n. 482 del 15 dicembre 1999 – non riconosce il tabarchino. Nonostante questo, la lingua è conosciuta, parlata e tutelata, testimonianza di un legame e del lungo periodo di insediamento dei genovesi a Tabarka.

Sfondo autopromo
Cosa stai cercando?
api url views