Da qualche anno in Svezia è nata la moda di farsi impiantare un microchip sottopelle.
L’obiettivo è non rischiare di dimenticare portafoglio, carta di credito, carta d’identità oppure chiavi elettroniche, riducendo tutte queste cose a un piccolo circuito integrato impiantato tra l’indice e il pollice della loro mano. È indiscutibile che questa tecnologia porti con sé rischi sulla sicurezza e sulla privacy.
Ma come funziona? E cosa comporta? E soprattutto, è legale?
Cos’è un microchip?
Un microchip – semplificando – è un dispositivo elettronico. Nello specifico è un circuito elettronico reso estremamente piccolo (di solito nell’ordine dei nanometri), costituito da una serie di semiconduttori.
Ogni chip è composto infatti da una piastrina in silicio che contiene gli elementi necessari per costituire il circuito. Tra questi elementi ci sono i transistor che si comportano come dei “piccoli interruttori” che regolano il passaggio di corrente.
Ci sono due grandi tipologie di microchip:
- i memory chip che immagazzinano informazioni;
- i logic chip che processano informazioni per completare un compito.
Tutti questi dispositivi hanno il vantaggio di essere economici e a bassa potenza, ma allo stesso tempo raggiungono elevate prestazioni e, ovviamente, il loro essere “micro” li rende perfetti per minimizzare lo spazio occupato.
Come si innesta un microchip sottocutaneo?
Il processo di inserimento di questi dispositivi è piuttosto semplice: un operatore prende e tira verso l’alto la pelle tra indice e pollice (come un pizzicotto), e con una sorta di siringa innesta il microchip.
Ma chi sono questi operatori? Si tratta spesso dei cosiddetti biohackers ovvero dei biologi amatoriali che conducono esperimenti di biomedicina all’esterno delle istituzioni tradizionali come le università, ospedali o luoghi sottoposti a controlli di tipo scientifico.
Al momento non abbiamo leggi per normare un fenomeno come il biohacking, quindi le attività connesse – pur non avendo l’approvazione della Food and Drug Administration – non sono né legali, né illegali.
Il caso della Svezia
Sono migliaia le persone che già dal 2015 in Svezia hanno scelto di inserire sotto la pelle uno di questi microchip per una serie di svariati usi, tutti atti a velocizzare la routine quotidiana: fare la spesa senza carte o contanti, avere i biglietti dei mezzi di trasporto letteralmente a portata di mano o la tessera sanitaria con tutta la storia clinica sempre con sé.
In questo caso i chip funzionano con la NFC (Near Field Communication ovvero la comunicazione a corto raggio) e mandano informazioni dal chip al lettore che deve essere a una distanza massima di 4 cm. Inoltre, stando proprio a questa distanza, è possibile creare una rete detta “peer-to-peer” in grado di far comunicare anche due microchip tra loro.
Il predecessore della NFC è il sistema RFID (Radio Frequency Identification cioè l’identificazione a radiofrequenza) che già permetteva il passaggio di dati dal chip al lettore grazie al riconoscimento delle onde radio.
Sembra che l’impianto di microchip sia stato per un certo periodo una vera e propria moda in Svezia tanto che il biohacker Hannes Sjoblad è riuscito a organizzare degli “implant party”. Si tratta di feste in cui alcuni volontari potevano recarsi per ricevere l’inserimento del chip.
Sono infatti diffuse in tutto il mondo linee di pensiero, come quella transumanista, che vedono innesti di questo genere come un vero e proprio passo avanti per l'intera umanità. L’uomo sarebbe destinato a fondersi con la tecnologia e a superare se stesso, diventando un essere vivente di un nuovo tipo.
L’uomo con 32 impianti
Il suo nome è Patrick Paumen, olandese di 37 anni con una carriera nell’ambito dell’informatica.
Ha deciso di inserire nel suo corpo ben 32 dispositivi di cui 21 sono microchip del tipo RIFD e gli altri 11 sono impianti magnetici a base di neodimio. Questi ultimi sarebbero necessari ad aumentare la percezione di campi magnetici e quindi attrarre piccoli oggetti in metallo.
Dichiaratamente transumanista, Patrick – durante un’intervista della BBC – dice che non vorrebbe assolutamente vivere senza questi strumenti e sostiene che le reazioni ottenute da chi sta alle casse quando paga la spesa con la sua mano per lui non hanno prezzo.
Quanto sono pericolosi?
La più grande preoccupazione, come segnalato dal CSIS (Center for Strategic & International Studies), è relativa al fatto che la tecnologia NFC permetterebbe a terze parti di registrare informazioni presenti sul microchip o danneggiare dei dati o ancora alterare e manipolare dei contenuti durante il passaggio da un device all’altro.
Insomma, è un problema di sicurezza e di privacy che come per tutti i dispositivi può essere violata, ma che in questi casi comporta una mole di dati molto più grande (il microchip è comunque sempre con te).
Non è al momento chiaro l’impatto sulla salute fisica del corpo umano di un impianto con microchip, specie quello a lungo termine che può essere studiato solo a partire dai microchip impiantati negli animali.
Sappiamo però che sono in atto ricerche e test che si concentrano sugli effetti di queste componenti elettroniche con dispositivi medici quali defibrillatori e pacemakers.