Negli USA potrebbe essere stato scoperto il più grande deposito di litio mai individuato fino a oggi: si troverebbe al confine tra Nevada e Oregon, nella Caldera McDermitt, una delle caldere del supervulcano di Yellowstone. La scoperta risale ad alcuni anni fa, ma un nuovo studio spiega l’origine e conferma le potenzialità del deposito, che potrebbe contenere addirittura tra i 20 e i 40 milioni di tonnellate di litio (e quindi superare quello della Bolivia, considerato il maggiore sul pianeta con 23 milioni di tonnellate di litio). Come mai una simile quantità di litio si è formata proprio qui e quali conseguenze potrebbe avere la sua estrazione?
L’origine della Caldera McDermitt
La Caldera McDermitt è la più antica delle caldere che costituiscono il supervulcano di Yellowstone. Si tratta di una depressione di forma ovale, lunga 45 km e larga 35 km. Questa struttura si è formata 16 milioni di anni fa, in seguito al collasso di un vulcano causato da una violentissima eruzione. Durante l’eruzione furono espulsi circa 1000 km3 di prodotti vulcanici, in particolare magma riolitico, ricco di sodio, potassio e, appunto, litio. Il magma si accumulò in parte all’interno della caldera, dove solidificò formando uno spesso strato di roccia.
La formazione del deposito di litio
Nel tempo la caldera fu riempita da un lago, le cui acque asportarono dalle rocce vulcaniche circostanti una grande quantità di particelle. Per centinaia di migliaia di anni queste particelle si depositarono sul fondo del lago formando uno strato di sedimenti argillosi ricchi di litio, spesso oltre 200 metri. Intorno a 15,7 milioni di anni fa, ricominciò un’attività vulcanica più debole, che fece sollevare la caldera: i suoi bordi non riuscirono più a trattenere l’acqua e il lago si svuotò, scoprendo i depositi argillosi.
I sedimenti sul fondo del lago, come abbiamo detto, contenevano litio, ma in quantità molto inferiori rispetto a quelle che sono state ritrovate dai ricercatori nella caldera. In un recente studio, pubblicato sulla rivista Science Advances, un team di geologi e vulcanologi spiega come mai.
Nel corso dell’attività vulcanica che fece sollevare la caldera, fluidi caldi ricchi di litio risalirono verso la superficie attraverso le fratture delle rocce. Durante questo processo una parte della smectite, il minerale argilloso che prevaleva nei sedimenti lacustri, si trasformò in illite, un altro minerale argilloso più raro e ricco in litio.
Caratteristiche del deposito di litio scoperto negli USA
I depositi di illite si trovano lungo il bordo meridionale della caldera, dove costituiscono uno strato spesso circa 40 metri. I ricercatori hanno analizzato la loro composizione: è risultato che contengono una percentuale di litio compresa tra l’1,3% e il 2,4%, circa il doppio rispetto a quella che caratterizza la smectite. In totale, il deposito conterrebbe fino a 40 milioni di tonnellate di litio.
In realtà, alte concentrazioni di litio nei sedimenti lacustri erano state individuate già negli anni '70. Nel 2017 i ricercatori capirono che la parte meridionale della caldera avrebbe potuto costituire un’enorme fonte di litio. Quindi, in quest’area la società canadese Lithium Americas fu autorizzata ad avviare il progetto minerario di Thacker Pass. I nuovi studi, tuttavia, erano necessari per avere un quadro più preciso della situazione e, in particolare, per capire esattamente dove trovare le maggiori concentrazioni di litio.
Le conseguenze dell’estrazione
Oggi il litio è una delle materie prime più richieste, vista la sua importanza nella produzione delle batterie ricaricabili (come quelle delle auto elettriche, dei computer e degli smartphone) e nell’immagazzinamento dell’energia generata da fonti rinnovabili. La richiesta di litio è destinata ad aumentare, ma ci sono preoccupazioni circa il suo esaurimento. Attualmente, quasi tutta la produzione di litio è concentrata in Australia (47%), Cile (30%), Cina (15%) e Argentina (5%). La Caldera McDermitt renderebbe gli Stati Uniti indipendenti per l’approvvigionamento di questo materiale strategico. La scoperta, secondo il geologo Anouk Borst, «potrebbe cambiare le dinamiche legate a tale elemento a livello mondiale in termini di prezzo, sicurezza dell’approvvigionamento e geopolitica».
Non mancano però i risvolti ambientali negativi. I preziosi ecosistemi del territorio della Caldera potrebbero subire le conseguenze di una eventuale attività estrattiva. L’area è anche un territorio sacro per le tribù indigene, che qui praticano caccia e agricoltura. Inoltre, l’estrazione comporta un enorme consumo di acqua, impattando sul livello delle falde idriche locali.