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19 Marzo 2024
11:14

Per la prima volta trovate tracce di creme solari nelle nevi dell’Artico: quali sono i rischi

Lo studio dell'Università Ca' Foscari Venezia: contaminanti presenti nelle creme solari sono stati trovati nelle nevi e nei ghiacciai delle isole Svalbard, nell'Artico. Queste sostanze, arrivate grazie alla circolazione atmosferica, possono avere effetti negativi sugli organismi marini.

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Per la prima volta trovate tracce di creme solari nelle nevi dell’Artico: quali sono i rischi
creme solari artico svalbard

Uno studio condotto da ricercatori dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), in collaborazione con l’Università delle Svalbard, rivela la presenza di contaminanti riconducibili ai filtri UV delle creme solari nelle nevi e nei ghiacciai dell’arcipelago delle isole Svalbard. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science of the Total Environment: secondo le misurazioni la concentrazione più alta è stata registrata in inverno quando sull’Artico cala la notte.

Nel mirino dei ricercatori ci sono i cosiddetti Chemicals of Emerging Arctic Concern (CEAC), una lista di composti identificati da un gruppo di scienziati ambientali, che documenta la portata e gli effetti dell'inquinamento nell'Artico per informare i diversi decisori politici, noto come Arctic Monitoring and Assessment Programme.

Alcuni CEAC sono già stati trovati in Antartide e nell'Artico, in particolare nelle acque superficiali, nell'acqua di mare, nei corsi d'acqua di scarico vicino alle stazioni di ricerca e nella neve. Il problema è che si sa ancora poco sulle fonti primarie di contaminazione nelle regioni remote e sui principali processi di trasporto e molti CEAC non sono soggetti ad alcuna regolamentazione internazionale.

Cosa è emerso dallo studio

Per raccogliere ulteriori prove sulla loro distribuzione, i ricercatori hanno esaminato 13 ingredienti comuni dei prodotti per l'igiene personale, tra cui le fragranze presenti in saponi e shampoo e i filtri UV utilizzati nelle creme solari, come il benzofenone-3 (BP3).

Entrando più nel dettaglio della ricerca, nella primavera del 2021 gli scienziati hanno raccolto 25 campioni di neve da un sito di ricerca attivo appena a sud del villaggio di Ny-Ålesund e da 5 ghiacciai, distanti fino a 40 km. Alcuni campioni sono stati raccolti dallo stesso sito, ma a profondità diverse, per vedere come le concentrazioni cambiassero nel corso delle diverse stagioni.

Ebbene, tutti i ghiacciai campionati, tranne uno, presentavano concentrazioni più elevate di filtri UV nella neve depositata durante l'inverno rispetto al manto nevoso delle altre stagioni.

crema solare

Determinante in questo senso è il ruolo del trasporto atmosferico a lungo raggio. Alla fine dell’inverno, infatti, le masse d’aria provenienti dall’Eurasia raggiungono più facilmente l’Artico. L’esempio più evidente riguarda proprio alcuni filtri UV normalmente presenti nelle creme solari. L’origine delle maggiori concentrazioni invernali di questi contaminanti non può che risiedere nelle regioni continentali abitate a latitudini più basse: alle Svalbard durante la notte artica il sole non sorge e non vengono utilizzate creme solari.

Dunque, se ne deduce che la distribuzione di queste sostanze varia in base all’altitudine: la maggior parte dei composti ha concentrazioni più elevate a quote più basse, tranne l’octocrilene e il benzofenone-3, due filtri UV comunemente utilizzati nelle creme solari che al contrario sono più abbondanti sulla cima dei ghiacciai dove arrivano dalle basse latitudini trasportati dalla circolazione atmosferica

A seguito di quanto emerso da questi campionamenti, Marianna D’Amico, dottoranda in Scienze polari all’Università Ca’ Foscari Venezia e prima autrice dello studio, ha affermato:

questa è la prima volta in cui vengono identificati nella neve artica molti dei contaminanti analizzati, quali benzofenone-3, octocrilene, etilesil metossicinnamato ed etilesil salicilato.

Quali sono i rischi oggi e nel prossimo futuro?

Per quanto preoccupanti possano essere i risultati ottenuti, studi come questo saranno utili per capire con precisione dove si trovano questo tipo di contaminanti e da dove provengono, in modo da definire piani di monitoraggio nell’area, contribuendo alla protezione dell’ecosistema locale: si tratta di sostanze che hanno già dimostrato effetti negativi sugli organismi acquatici, alterando le funzionalità del sistema endocrino e ormonale. Alcuni di questi composti sono normati a livello locale in diverse isole del Pacifico e sono attualmente sotto indagine da parte dell’Unione Europea.

Un'altra priorità in tal senso sarà riuscire a quantificare i processi di re-immissione nell'ambiente di questi inquinanti durante la fase di fusione della neve, sempre nell'ottica di proteggere e presevare l'ambiente artico nel prossimo futuro.

A tal proposito, Andrea Spolaor, ricercatore presso il Cnr-Isp, ha dichiarato:

sarà fondamentale comprendere i fenomeni di trasporto e deposizione di tali contaminanti nelle aree polari, soprattutto in relazione alle variazioni delle condizioni stagionali locali. Condizioni che stanno mutando rapidamente in risposta al cambiamento climatico che nell’Artico avviene 4 volte più velocemente rispetto al resto del mondo.

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