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4 Maggio 2023
12:30

Come le impronte digitali sono diventate strumenti per risolvere casi di cronaca nera?

A fine Ottocento, un omicidio fu risolto per la prima volta grazie all’analisi delle impronte digitali. Cosa sono questi solchi sui polpastrelli e come fanno a lasciare delle tracce?

A cura di Frida Bonatti
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Come le impronte digitali sono diventate strumenti per risolvere casi di cronaca nera?
impronte digitali

Argentina, 1892. Nella piccola cittadina di Necochea, una giovane donna, Francisca, chiama d’urgenza la polizia. I suoi due bambini sono stati brutalmente assassinati.
La donna accusa il suo vicino di casa, che però ha un alibi di ferro. La polizia si mette quindi sulle tracce del fidanzato, finché una macchia di sangue, con impressa un'impronta digitale, permette di individuare inequivocabilmente l’assassino: è stata proprio Francisca a commettere l’efferato omicidio. Il caso, risolto dall’investigatore Juan Vucetich, ha visto per la prima volta l'utilizzo delle impronte digitali per identificare il colpevole.

Prima di ripercorrere le tappe storiche che hanno portato al loro utilizzo in ambito investigativo, vediamo cosa sono e come si formano questi caratteristici solchi delle dita.

Le impronte digitali: informazioni scolpite sui polpastrelli

Le impronte digitali sono le tracce lasciate dai solchi presenti sui polpastrelli e vengono utilizzate per identificare in maniera univoca una persona.

Questi intricati disegni sulle dita, composti da linee dritte e curve, hanno infatti due caratteristiche principali: sono pressoché immutabili e uniche per ogni individuo.

impronte digitali

Il pattern di linee non cambia tendenzialmente mai nel corso della vita di una persona e la loro formazione avviene già intorno alla decima settimana di gestazione, in corrispondenza dello strato più interno dell’epidermide, chiamato strato basale. Gli strati superiori dell’epidermide proteggono quindi questi solchi da graffi superficiali e abrasioni, ma non da danneggiamenti più gravi, come forti ustioni o l'esposizione a certi prodotti chimici.

Qual è la funzione dei solchi sui polpastrelli?

I solchi, che formano le impronte digitali, hanno due compiti principali.

Da una parte, hanno una funzione antiscivolo: come i battistrada degli pneumatici sulla strada, che non sono mai del tutto lisci, anche le creste dei polpastrelli migliorano il grip a contatto con oggetti e superfici.

La seconda funzione è di migliorare la sensibilità tattile delle dita. Immaginate di dover distinguere, ad occhi chiusi solo tramite il tatto, un oggetto in vetro da uno in tessuto. Sicuramente non avreste difficoltà a identificare i diversi materiali.
Questa abilità tattile delle nostre dita è possibile grazie ai corpuscoli lamellari, dei piccoli recettori posti appena sotto i solchi dei polpastrelli. Quello che accade quando tocchiamo un oggetto è che i solchi, irregolari e prominenti, vibrano leggermente, stimolando ulteriormente i corpuscoli lamellari.

Le “ditate”: un inchiostro invisibile sulle superfici

Ma come fanno le nostre dita a lasciare tracce sulle superfici con cui entrano in contatto?

Il merito è delle secrezioni cutanee, che fuoriescono dai pori dei polpastrelli. Per ogni millimetro quadrato di secrezione sono contenuti i seguenti elementi: cloruri (>10microgrammi), amminoacidi (10-100 microgrammi), urea (1 microgrammo), ammoniaca (<0.5 microgrammi) e sebo (5-100 microgrammi).

impronte digitali

Superfici lisce e poco porose sono ideali per imprimere impronte digitali e quindi anche per permetterne la rivelazione, che può avvenire anche a distanza di anni. Ma è possibile rilevare “ditate” perfino su vestiti e tessuti.

Spirali, ovali, linee parallele, biforcazioni: i disegni unici 

Se i disegni intricati fatti di linee dritte e curve che formano le impronte digitali sembrano, ad un occhio poco esperto, pressoché simili, gli scienziati forensi, che si occupano della loro analisi per la risoluzione di indagini, hanno categorizzato una serie di pattern ricorrenti in impronte diverse.

Generalmente, è possibile individuare, al centro del polpastrello, tre tipi di forme: una ad ovale allungato, presente nel 65 percento della popolazione, una forma a spirale, per il 30 percento degli individui ed un minoritario 5 percento con i solchi che formano degli archi.

impronte digitali
Impronte digitali dalle diverse forme

Al di là di queste categorizzazioni, una comparazione dettagliata delle impronte prevede lo studio di ogni singola linea e diramazione, ogni biforcazione e incrocio delle linee: si tratta di piccoli dettagli che rendono l’impronta digitale unica.

Ad oggi, esistono dei sistemi di analisi automatizzati, che riescono a confrontare le impronte digitali nel giro di poche ore. Questi software vanno proprio a controllare i dettagli, alla ricerca di corrispondenze nel disegno. Oggi le polizie di tutto il mondo possiedono archivi con milioni di impronte digitali catalogate da confrontare con quelle trovate sulla scena del crimine.

E allora quando due impronte si definiscono uguali? In Italia, l’identificazione è ritenuta sicura qualora si riscontrino almeno 17 punti di corrispondenza, anche in una singola porzione d’impronta.

Esistono persone con impronte digitali uguali?

Risalgono al primo Novecento, quando si accese l’interesse scientifico in merito, i primi modelli probabilistici sulla possibilità di condividere la stessa impronta con altri individui. Secondo il modello statistico del medico Victor Balthazard (1872-1950) ci sarebbe una possibilità su “dieci alla sessanta” (cioè un 1 seguito da 60 zeri) che due individui abbiano la stessa impronta digitale.

Di fatto dunque le impronte digitali, con i loro disegni così intricati, rappresentano una carta d’identità attendibile e certa anche se, secondo uno studio del 2017 dell’Associazione Americana per l’avanzamento delle scienze(Aaas), è impossibile dimostrare con certezza che non esistano persone con impronte identiche.

Le impronte digitali sono simili a quelle dei genitori?

Sono pressoché uniche per ogni essere umano, questo è appurato. Ma le impronte digitali sono ereditarie? È possibile averle almeno simili a quelle dei genitori?

dna

Secondo gli studi dello scienziato forense Glenn Langenburg, pubblicati sulla rivista Scientific American, i tre disegni caratteristici, ad ovale, spirale o arco, sarebbero ereditari.
Ma ciò che fa la differenza, i dettagli e la disposizione delle creste, sono del tutto casuali e dipenderebbero perfino dalle superfici con cui il feto entra in contatto durante la gestazione e dalla velocità di crescita dei diversi strati dell'epidermide, che determinano la formazione delle creste.

Cenni di storia: dai calchi della mano del 220 a.C. a

Sebbene la scienza forense, ovvero l’applicazione di tecniche scientifiche per la risoluzione di casi, abbia fatto passi avanti a partire da metà dell’Ottocento, ci sono testimonianze antichissime della conoscenza delle impronte digitali.

Risalgono alla dinastia cinese Qin, tra il 221 e il 206 a.C. i primi calchi di mano su argilla usati per confrontare l’orma di un sospettato con quella rinvenuta sul luogo del crimine.

Di impronte digitali si parla nel tomo persiano di inizio ‘300, Kami’ al-tawarikh, scritto dallo storico e medico Rashid-al-Din Hamadan, che paventa la possibilità di identificare le persone proprio tramite le impronte.

Uscirono poi diversi studi e documenti tra il 1600 e 1700 sull'analisi dei solchi sulle dita, tra cui De externo tactus organo anatomica observatio di Marcello Malpighi, celebre anatomista e fisiologo italiano.

polizia scientifica

Ma fu poi Sir Wiliam Herschel, magistrato in India, a proporre, nel 1858, l’utilizzo delle impronte digitali e del palmo della mano per dare valore legale ai contratti. La tecnica non entrò però mai veramente una pratica d’uso.

Il pioniere nello studio delle impronte digitali è considerato il chirurgo scozzese Henry Faulds, direttore dell’ospedale giapponese Tsukiji Hospital di Tokyo.
A lui si deve il primo studio completo, pubblicato su Nature nel 1880, sull’identificazione delle persone tramite le impronte ed un primo sistema per classificarle.

Ed ecco che ci riallacciamo al caso di cronaca del 1892 citato all’inizio dell’articolo, considerato per l’appunto il primo crimine risolto grazie le impronte digitali.

Le impronte digitali diventarono da allora uno strumento imprescindibile per la risoluzione dei casi. Nel 1900 lo studio approfondito dell’inglese Edward Henry The classification and use of fingerprints fu utilizzato in pianta stabile dalla polizia di Scotland Yard.

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Frida Bonatti
Redattrice
Dopo la laurea in Lettere, ho lavorato nel campo del restauro cinematografico per istituzioni culturali in Olanda, Svezia e Italia. Nel frattempo, ho coltivato l'interesse per la produzione di video online e podcast, che ha preso il sopravvento su quello per il cinema. Ho frequentato un corso di Content Management e Copywriting allo IED e sono entrata in Geopop, dove mi occupo della stesura di contenuti branded e editoriali. Sono una grande fan dei Beatles.
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