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4 Settembre 2023
7:30

Perché il cielo è buio nonostante tutte le stelle presenti nell’Universo?

Se l'Universo è infinitamente grande e così in numero le stelle in esso contenute, perché il cielo notturno è buio? Questo è il paradosso di Olbers e la sua spiegazione è basata sulle conoscenze astronomiche moderne.

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Perché il cielo è buio nonostante tutte le stelle presenti nell’Universo?
cielo buio stelle
Credit: NASA.

Se l'Universo è così grande e ci sono una infinità di stelle, come mai il cielo notturno è buio? Non dovrebbe essere uniformemente illuminato da tutte le stelle presenti nell'Universo? Questo è il cosiddetto paradosso di Olbers. Vediamo più in dettaglio il suo enunciato, quali furono le prime soluzioni proposte, quale è la sua soluzione basata sulle conoscenze moderne e le condizioni che fanno si che il cielo notturno sia buio.

Il paradosso di Olbers

Il paradosso di Olbers prende il nome dall'astronomo tedesco Heinrich Wilhelm Olbers che lo descrisse nella sua formulazione moderna nel 1826. Il paradosso pone le sue basi su una serie di ipotesi, le più importanti delle quali sono legate alla concezione dell'Universo esistente nell'Ottocento, ovvero che esso fosse statico, infinito nello spazio e nel tempo e che contenesse un numero infinito di stelle. In questo contesto, il paradosso afferma che se le stelle che vediamo nel cielo notturno sono tutte simili al Sole, se sono distribuite in maniera casuale ma uniforme e se l'Universo si estende in maniera infinita, allora il cielo notturno dovrebbe essere uniformemente illuminato e brillante come il Sole in ogni suo punto, poiché, indipendentemente dalla direzione in cui si guarda, staremmo osservando direttamente una stella.

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Animazione che spiega come in un Universo infinito, statico e costituito da infinite stelle, il cielo notturno dovrebbe apparire uniformemente illuminato e non buio. Credits: Kmarinas86 (CC BY–SA 3.0).

Olbers non fu il primo a porsi questa domanda, anzi le radici dell'indagine del perché il cielo notturno sia buio risalgono addirittura al tempo dei filosofi greci. In tempi più recenti, i primi a formulare un enunciato simile al paradosso di Olbers furono il matematico Giovanni Keplero (1610) e gli astronomi Edmond Halley (1720) e Jean-Philippe de Cheseaux (1744).

Le prime soluzioni al paradosso

Prima di introdurre e spiegare quelle che sono le soluzioni al paradosso basate sulle concezioni astronomiche moderne, è interessante andare a vedere anche quali sono state le prime soluzioni proposte. Come detto, il paradosso di Olbers è più antico di Olbers stesso e già nel Seicento ci fu un primo tentativo di dare una spiegazione al perché il cielo notturno sia scuro.

Questo primo tentativo invoca la presenza di nubi interstellari di polvere che impediscono alla luce di stelle lontane di giungere fino a noi. Tale spiegazione al paradosso è errata, sebbene effettivamente esistano nubi interstellari che impediscono alla luce di certe regioni dello spazio, ad esempio il centro della Via Lattea, di essere visibili nella banda ottica.

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La regione Barnard 68 è un chiaro esempio di come la polvere interstellare può bloccare la radiazione ottica proveniente dalle stelle che vi sono dietro di essa. Credits: ESO.

L'errore di questa spiegazione risiede nel fatto che la polvere interstellare, assorbendo energia dalla radiazione stellare, si scalderebbe a tal punto da emettere essa stessa radiazione luminosa sotto forma di radiazione termica. Una seconda spiegazione proposta prevede che semplicemente l'Universo sia fatto di un numero finito di stelle. Sebbene questa seconda spiegazione sia tecnicamente corretta, ve ne sono comunque in numero sufficiente affinché, nell'ipotesi che siano uniformemente distribuite, il cielo risulti uniformemente illuminato.

Le soluzioni dell'astronomia moderna

Vediamo quali sono le soluzioni basate sulle conoscenze astronomiche moderne che risolvono in maniera definitiva il paradosso di Olbers.

La conoscenze cosmologiche moderne

A differenza delle conoscenze scientifiche dell'Ottocento, oggi sappiamo che l'Universo non è infinito nel tempo e nello spazio, ma ha avuto origine circa 13,7 miliardi di anni fa col Big Bang. Inoltre, esso non è statico, bensì in espansione, come scoperto nel 1929 dall'astronomo statunitense Edwin Hubble. Ciò comporta che la luce che giunge fino a noi, viaggiando ad una velocità finita pari a circa 300000 chilometri al secondo, sia soltanto quella dell'Universo osservabile, ovvero di quella regione sferica dell'Universo comprendente tutta la materia che può essere osservata da Terra e la cui luce ha avuto tempo di raggiungerci dall'inizio dell'espansione dell'Universo. Esistono quindi regioni dell'Universo la cui luce non ci è ancora giunta, contraddicendo l'ipotesi che in ogni direzione si guardi vi siano stelle.

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Simulazione dell’Universo osservabile, ovvero della regione dell’Universo centrata su di noi la cui luce ha avuto modo di raggiungerci. Credits: Andrew Z. Colvin (CC BY–SA 3.0).

Si potrebbe obiettare che in realtà esiste una fonte di radiazione che sia presente in ogni direzione si guardi nell'Universo, ovvero la radiazione cosmica di fondo. Essa è la radiazione residua proveniente dalle fasi iniziali della vita dell'Universo, quando esso aveva una temperatura di circa 3000 gradi. In base a questa temperatura, la radiazione cosmica di fondo dovrebbe essere visibile nella banda ottica, osservabile dai nostri occhi, ma dato che il cielo notturno è buio, questo non sembra essere il caso.

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Radiazione cosmica di fondo visibile nelle microonde e generatasi quando l’Universo aveva solo 300000 anni. Credits: NASA.

Lo spostamento verso il rosso

C'è infatti un pezzo mancante del puzzle che non è ancora stato menzionato. L'espansione dell'Universo fa si che aumenti la distanza tra gli oggetti che lo costituiscono. Immaginate infatti di prendere un telo elastico, di disegnare due punti e poi di allungare il telo. Noterete che la distanza fisica tra i due punti aumenta. Questo effetto, oltre ad aumentare la distanza fisica tra gli oggetti nel cosmo, fa si che anche la lunghezza d'onda della radiazione luminosa venga allungata, che in termini fisici si traduce in un aumento della lunghezza d'onda della radiazione. Più la sorgente è lontana, più la lunghezza d'onda aumenta e quindi si sposta verso l'infrarosso e oltre. Questo effetto viene chiamato spostamento verso il rosso cosmologico o "redshift cosmologico" in gergo.

Dal momento che la radiazione cosmica di fondo è la sorgente di radiazione più lontana osservabile, la sua distanza è tale che la radiazione luminosa, partita con lunghezze d'onda nella banda ottica 300000 anni dopo il Big Bang, è stata allungata a tal punto da finire nelle lunghezze d'onda delle microonde. Ciò fa si che essa non sia osservabile dal nostro occhio umano, ma sia estremamente visibile dai telescopi che osservano nelle microonde come il satellite Planck dell'ESA.

L'esistenza dello spostamento verso il rosso comporta quindi che una grande parte del paradosso di Olbers venga risolto considerando che più le stelle sono lontane e più la loro radiazione viene spostata verso lunghezze d'onda non visibili all'occhio umano. Se quindi anche l'Universo fosse infinito, la maggior parte della radiazione luminosa proveniente dalle stelle più lontane verrebbe spostate verso lunghezze d'onda fuori dalla banda ottica e il cielo risulterebbe ugualmente buio all'occhio umano.

La fisica stellare

A questo vanno aggiunti altri due ulteriori ingredienti. Il primo è che le stelle emettono radiazione in una ampia gamma dello spettro elettromagnetico, dall'ultravioletto all'infrarosso e non tutta la radiazione è visibile all'occhio umano. Il secondo è che le stelle hanno una vita finita per cui alcune di quelle più lontane nello spazio, e quindi nel tempo, specialmente quelle aventi una massa simile al Sole o più grande, sono nel frattempo esplose o morte, riducendo quindi il numero di stelle la cui radiazione può effettivamente giungerci.

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