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23 Novembre 2025
8:00

Perché il concetto di tempo libero è diventato una sfida: da privilegio a pressione sociale

Il tempo libero, nato come privilegio dei pochi nella Grecia antica, diventa diritto collettivo con l'industrializzazione e le otto ore lavorative. Oggi, con il lavoro instabile e i social, rischia di trasformarsi in obbligo di auto-realizzazione, perdendo la sua funzione originaria di riposo e libertà.

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Perché il concetto di tempo libero è diventato una sfida: da privilegio a pressione sociale
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Il tempo libero è spesso celebrato come conquista della modernità, il momento in cui ci è permesso smettere di produrre e dedicarci a noi stessi. Ma in una società che misura il valore personale sulla produttività, rischia di diventare un ulteriore obbligo, da riempire e ottimizzare. Dalla scholé greca, privilegio degli uomini liberi dedicato alla contemplazione, al tempo cronometrato della fabbrica e alle lotte operaie per il weekend e le ferie, il tempo libero si è trasformato da privilegio a diritto collettivo. Oggi il lavoro non definisce più chi siamo: è spesso instabile e precario. Così il tempo libero diventa una nuova arena di pressione, trasformandosi in obbligo di produttività e auto-realizzazione, invece che in vero riposo. Tuttavia, per essere davvero libero, il tempo libero deve smettere di servire a dimostrare qualcosa e tornare a essere semplicemente nostro.

Dalla scholé greca al tempo cronometrato della fabbrica

Nella Grecia Antica non esisteva il "tempo libero" nel senso moderno, esisteva una parola simile ma dal significato profondamente elitario: la scholē.

Il termine scholē indicava infatti il tempo dedicato allo studio, al pensiero, alla conversazione: era considerato il tempo più "alto", quello che permetteva all'essere umano di svilupparsi. Anche gli stessi Aristotele e Platone ritenevano che la vita pienamente umana coincidesse con questa "attività contemplativa".

Tuttavia, come osserva Hannah Arendt in "The Human Condition", ciò che oggi chiamiamo tempo libero nasce in un contesto in cui la vita era dominata dalla necessità di lavorare per sopravvivere. Solo pochi privilegiati potevano dedicarsi ad attività che non fossero legate al bisogno materiale, come la riflessione, lo studio o la partecipazione politica. Schiavi, lavoratori manuali e donne erano invece completamente assorbiti dal lavoro quotidiano. In questo senso, il tempo libero nasceva come un privilegio.

Con la Rivoluzione Industriale, però, le cose cominciarono a cambiare: il lavoro divenne misurabile e scandito dall’orologio, e ciò che restava era tempo per riposarsi, ricrearsi e, lentamente, rivendicare un diritto collettivo al recupero delle proprie energie.

La Rivoluzione Industriale e il tempo libero come diritto politico

Con la Rivoluzione Industriale, il ritmo della vita cambiò profondamente: il lavoro salariato occupava gran parte della giornata e ciò che restava non era più un lusso, ma uno spazio necessario per recuperare le energie necessarie al lavoro. Quel tempo, prima appannaggio di pochi, divenne una conquista da difendere per tutti. Le lotte operaie del XIX e XX secolo, come documentato dallo storico Thompson nel suo studio sul tempo disciplinato, "Time, Work-Discipline, and Industrial Capitalism" pubblicato nel 1967, trasformano il tempo libero in un diritto collettivo: nascono il weekend, le ferie pagate, le otto ore lavorative.

Ma nello stesso periodo si afferma l'industria del divertimento: vacanze organizzate, villaggi turistici, programmi ricreativi di massa.

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Fantozzi nel film Fantozzi del 1975 mentre gioca una partita a biliardo.

In questo contesto emerge la figura di Fantozzi, simbolo di un tempo libero che sembra essere un altro incarico da svolgere: le pause diventano obblighi mascherati, tra viaggi aziendali, gite forzate e tornei sportivi organizzati dall’ufficio. Il riposo, così, non è più uno spazio personale, ma si trasforma in una continuazione del controllo e della disciplina della vita lavorativa, dove persino il divertimento deve essere produttivo e condiviso secondo le regole imposte dall’azienda.

Tempo libero tra identità lavorativa e realizzazione personale

Per gran parte del Novecento italiano, il lavoro stabile, il celebre “posto fisso”, non era solo un contratto: era la spina dorsale dell’identità personale. Possedere un lavoro sicuro significava sentirsi riconosciuti, radicati nella società, e avere un ruolo definito nel mondo. Come ironicamente raccontato da Checco Zalone, il posto fisso prometteva più della sicurezza economica: garantiva dignità, appartenenza e la rassicurante sensazione di essere qualcuno, perché, in quegli anni, il valore di una persona sembrava misurarsi soprattutto attraverso ciò che faceva per vivere.

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Checco Zalone nel film "Quo Vado?" in cui tratta il tema del posto fisso come spina dorsale dell’identità personale.

Oggi questa promessa sembra essersi spezzata. Il lavoro è spesso intermittente, mutevole, incerto e quel modello di sicurezza e di occupazione non è più garantito, si cambia spesso lavoro, si vive di contratti brevi, o si lavora a distanza.

E dunque se il lavoro non definisce più chi siamo, iniziamo a cercare noi stessi proprio nel tempo libero. Questo automaticamente genera un nuovo tipo di pressione: sembra che questo tempo libero debba essere automaticamente rioccupato nella lettura, nei viaggi, negli allenamenti in preparazione di maratone etc. Il riposo diventa così un percorso di auto-realizzazione in cui non c'è spazio per il riposo, un tentativo di dimostrare qualcosa (agli altri e a noi stessi).

La Gen Z e la rivoluzione moderna

La Generazione Z cresce in questo contesto, cercando di liberarsi dall’idea di vivere solo per lavorare, preferendo modalità più flessibili, spesso online, e puntando a vivere con il necessario. Cerca equilibrio, rifiuta l’eroismo degli straordinari e rinegozia il valore del sacrificio. Tuttavia, vive in un mondo dove ogni momento può essere mostrato e giudicato: il tempo libero non è più solo esperienza, ma narrazione continua sui social: non basta stare bene, bisogna anche farlo vedere. E quando il riposo diventa rappresentazione, perde di spontaneità.

Magari oggi il problema non è avere poco tempo libero, ma investirci troppe aspettative: si cerca di sentirsi sempre produttivi, realizzati, speciali. Per tornare a goderne, bisognerebbe ridargli un significato più semplice, uno spazio in cui riposare, senza dover dimostrare nulla.

Il tempo libero, per essere davvero tale, è un tempo senza scopo. Un tempo che non serve a recuperare energie per tornare produttivi. Solo allora, il tempo libero smette di essere una parentesi e torna a essere libertà.

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