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28 Agosto 2025
17:45

Perché nella maggior parte delle lingue straniere non esistono le bestemmie?

A differenza di altre lingue, l’italiano conserva un rapporto diretto con la bestemmia, legato a secoli di religione, anticlericalismo e dinamiche sociali. In molte culture le imprecazioni colpiscono il corpo o il sesso, mentre in Italia resta vivo il legame con il sacro.

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Perché nella maggior parte delle lingue straniere non esistono le bestemmie?
targhetta bestemmia
Credits: Syrio, CC BY–SA 4.0 via Wikimedia Commons

La bestemmia è un caso unico nella geografia linguistica, un caso tutto italiano. Non è solo una parolaccia: è un gesto verbale potentissimo, capace di rompere le regole della convivenza, di scandalizzare, di far ridere, di far infuriare. Eppure, fuori dall’Italia, quasi nessuno bestemmia nel nostro stesso modo: nelle altre lingue, infatti, le imprecazioni si sono spostate su sesso e corpo, solo in italiano il legame con la religione è rimasto forte, per storia, cultura e ribellione contro il sacro. In Francia, ad esempio, le imprecazioni religiose sono ormai sbiadite, ridotte a echi ironici di parole antiche; in Québec, si usano parole come “tabernak” o “osti”, ma spesso vengono modificate o travestite, e hanno perso buona parte della loro forza originaria; in Spagna o Romania ci sono frasi che coinvolgono la divinità, ma non sono parte della lingua quotidiana come da noi. La bestemmia, nella nostra cultura, non è solo un’espressione volgare: è una tradizione linguistica radicata, che affonda le sue origini in secoli di religione, potere e ribellione. Ed è proprio questa combinazione unica a renderla così diffusa, così esplosiva, così… italiana.

L’Italia è stata per secoli al centro del potere religioso, ma questo ha spesso generato un sentimento opposto: un anticlericalismo diffuso, specialmente in certe regioni. In Toscana o in Veneto, per esempio, l’irriverenza verso il sacro è diventata parte del modo di parlare, un tratto identitario, una forma di resistenza. La bestemmia è entrata nel lessico quotidiano come sfogo, ma anche come gesto di sfida, come modo per mettere in discussione l’autorità. In secondo luogo, la bestemmia ha avuto in Italia una funzione sociale molto precisa. Dire certe parole significava rompere le regole, ma anche marcare un’identità. Il sottoposto che impreca contro il Cielo può sentirsi, per un attimo, libero; il superiore che lo fa, può mostrarsi al di sopra delle convenzioni. In entrambi i casi, la bestemmia diventa un codice, una forma di potere, una maschera linguistica che dice molto più di quel che sembra.

illustrazione profezia Daniele
Illustrazione della profezia di Daniele e delle visioni apocalittiche di Giovanni (1840); credits: Internet Archive Book Images, No restrictions, via Wikimedia Commons

Poi c’è l’aspetto linguistico. In italiano, la bestemmia è duttile: si trasforma, si abbrevia, si traveste, si maschera da eufemismo, ma resta riconoscibile. È un’espressione che può essere urlata, sussurrata, nascosta dietro un “porco due” o un “ziopera”, ma il suo effetto è sempre potente. Proprio perché è un tabù, ha una forza comunicativa fuori dal comune: amplifica le emozioni, colpisce l’ascoltatore, lascia il segno. E la sua carica espressiva si moltiplica, tanto che a volte diventa persino oggetto di gioco linguistico, come nelle filastrocche goliardiche o nei meme dei social. Al contrario, in molte altre lingue le parolacce si sono progressivamente allontanate dalla sfera religiosa. In Francia, le imprecazioni di un tempo sono diventate quasi delle caricature. In Québec, i sacres hanno seguito un percorso tutto loro, trasformandosi in parole semi-nuove. In Spagna o in America Latina, dove pure esistono espressioni legate al divino, l’uso è più limitato e meno centrale.

targa bestemmia spagna
Una targa spagnola che recita "La bestemmia ti disonora", presso Cantonigros (Spagna); credits: Kippelboy, CC0, via Wikimedia Commons

Infine, c’è una questione di memoria collettiva. In Italia, la bestemmia è passata di bocca in bocca per secoli: è arrivata nei mercati, nei campi, nei cantieri, e poi nei bar, nelle curve degli stadi, nei social; ha resistito alla censura, ai processi, alle multe. Ha attraversato la letteratura, il cinema, persino la musica. È diventata parte della lingua. E come ogni elemento vivo della lingua, si adatta, cambia, resiste. Dunque no, non in tutte le lingue si bestemmia. O, almeno, non come noi. In altri Paesi, il legame con la religione si è affievolito, le parole si sono addolcite, la rabbia si è spostata altrove, ma in Italia, la bestemmia resta un fenomeno linguistico e sociale complesso.

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