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28 Gennaio 2024
14:07

Il disastro dello Space Shuttle Challenger: cosa accadde il 28 gennaio 1986

Il 28 gennaio 1986 una combinazione letale di eventi distrusse lo Space Shuttle Challenger dopo appena 73 secondi di volo: morirono 7 persone.

A cura di Roberto Manzo
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Il disastro dello Space Shuttle Challenger: cosa accadde il 28 gennaio 1986
disastro shuttle challenger nasa

Il disastro dello Space Shuttle Challenger è stato uno degli incidenti più tragici nella storia dell'esplorazione spaziale. La mattina del 28 gennaio 1986 lo Shuttle Challenger si disintegrò 73 secondi dopo il decollo dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral, in Florida, a oltre 14.000 metri di quota. Il completo cedimento strutturale del Challenger fu causato da un errore di progettazione dei booster e delle particolari condizioni metereologiche. L'incidente causò la morte delle 7 persone a bordo, tra cui una maestra elementare. In seguito a questa tragedia i voli nello spazio con equipaggio furono sospesi per oltre due anni e mezzo.

Questo disastro è uno dei tre disastri della cosiddetta black week” della NASA, avvenuti in date molto ravvicinate anche se in anni diversi, insieme al disastro di Apollo 1 il 27 gennaio 1967 e al disastro dello Shuttle Columbia il 1° febbraio 2003.

Lo Shuttle Challenger e la missione STS-51-L

Lo Space Shuttle Challenger fu il secondo Shuttle a essere consegnato alla NASA dopo il Columbia. La costruzione della navicella iniziò nel luglio del 1972 e decollò per la prima volta nello spazio il 4 aprile 1983. Prima del disastro, il Challenger aveva svolto con successo un totale di 9 missioni percorrendo più di 41 milioni di km, circa 995 orbite intorno alla Terra in quasi 1500 ore di volo.

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Il Challenger in orbita. Credits: NASA.

Per la decima missione del Challenger, chiamata STS-51-L, era stato selezionato un team di 6 esperti aviatori ed ingegneri, alcuni di essi già con missioni nello spazio: Dick Scobee (comandante di missione), Ronald McNair, Ellison Onizuka, Gregory Jarvis, Judith Resnik e Michael John Smith. Oltre ai 6 astronauti era presente anche un passeggero: la maestra elementare Christa McAuliffe, per il progetto Insegnante nello Spazio, avrebbe dovuto svolgere alcune lezioni con un collegamento a terra mentre era in quota.

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Equipaggio del Challenger: Ellison Onizuka, Christa McAuliffe, Gregory Jarvis, Judith Resnik, Michael John Smith, Dick Scobee, Ronald McNair. Credits: NASA.

L'incidente dello Shuttle Challenger

Il lancio della missione era previsto inizialmente per il 22 gennaio 1986, ma, per una serie di eventi ed inconvenienti, fu posticipato di giorno in giorno fino al 28 gennaio. In quella settimana, inoltre, Cape Canaveral (e tutta la Florida in generale) fu investita da condizioni meteorologiche particolari per quelle latitudini, con temperature intorno agli 0 °C e una massiccia coltre di ghiaccio che aveva ricoperto la zona. Questa era sicuramente una condizione di lancio anomala per la NASA: fino a quel momento gli Shuttle erano stati lanciati a temperature di oltre 10 °C. Infine, quella mattina un aereo di linea, che sorvolava la zona, aveva segnalato forti raffiche di vento ad alta quota.

Alle 11:38 (ora locale) si avviarono i motori per il decollo. Lo Shuttle Challenger prese il volo regolarmente e dopo 73 secondi, a più di 14.000 metri di quota, si disintegrò per via dell'enorme stress aerodinamico a cui la struttura era sottoposta.

L'esplosione dello Shuttle Challenger
La distruzione dello Shuttle Challenger. Credits: NASA.

Le cause del disastro

Lo Space Shuttle era formato dalla navicella vera e propria (simile a un aereo), da un enorme serbatoio centrale (contenete idrogeno e ossigeno liquido) a cui sono collegati due booster, cioè razzi a propellente solido. La causa dell'incidente fu proprio uno dei booster, in particolare quello destro.

I booster sono formati da sette segmenti assemblati e saldati sul posto: all'avvio dei motori la pressione all'interno aumenta andando a sollecitare strutturalmente le saldature e, nel caso una saldatura cedesse, i sistemi di sicurezza prevedono che una guarnizione (in gergo O-ring) si espanda per chiudere la falla.

Quella mattina, nel booster destro, verso la zona poppiera, la saldatura cedette e il ghiaccio compromise le proprietà elastiche dell'O-ring, che non andò quindi a coprire la falla creatasi. Gli ossidi d'alluminio prodotti dalla combustione del carburante avevano creato un sigillo provvisorio, spazzato però via dai forti venti in quota. Ecco che, senza più un sigillo, il fuoco uscì dal booster che colpì il serbatoio centrale. Questo iniziò a cedere strutturalmente. Con la struttura indebolita, le potenti forze aerodinamiche ad alta quota fecero disintegrare lo Shuttle.

L'inchiesta sull'incidente

La commissione d'inchiesta successiva non fu in grado di stabilire con certezza le cause della morte dell'equipaggio. Le uniche certezze sono che la cabina resistette al disastro, che tre su sette respiratori ausiliari furono attivati dall'equipaggio immediatamente dopo l'incidente, a dimostrazione che qualcuno era ancora vivo. La cabina, cadendo in caduta libera, urtò l'acqua dell'Oceano Atlantico a una velocità superiore i 300 km/h, per cui non ci furono speranze di sopravvivenza.

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Christa McAuliffe durante l’addestramento. Credits: NASA.
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