Negli ultimi 40 anni, numerosi scienziati e ricercatori hanno messo in guardia i governi e i cittadini di tutto il mondo sulla preoccupante e progressiva perdita di biodiversità su scala globale, tanto che da decenni si parla di sesta estinzione di massa o estinzione dell'Olocene. Non parliamo di congetture o previsioni nefaste sul futuro, ma di studi e dati certi. La drastica riduzione del numero di specie animali e vegetali sul nostro Pianeta rappresenta un’evidenza preoccupante, nei confronti della quale sarebbe importante prendere seri provvedimenti. Dal 2014, dopo l’uscita del saggio La sesta estinzione: una storia innaturale della giornalista scientifica statunitense Elizabeth Kolbert, ci si è tornati a chiedere se non sia il caso di chiamare questa drastica riduzione di specie come una vera e propria estinzione di massa. La sesta, nello specifico. Purtroppo, secondo la comunità scientifica, sarebbe proprio così.
Cosa significa “sesta estinzione di massa”
Prendiamoci un secondo per ricordare cos’è un’estinzione di massa. Con questo termine, infatti, si è soliti indicare la perdita di almeno il 75% delle specie viventi in un lasso di tempo molto breve. Sulla Terra, di estinzioni di massa, ne contiamo ben cinque, l’ultima delle quali, 66 milioni di anni fa, viene spesso ricordata per aver spazzato via gran parte della vita sul nostro pianeta, compresi i dinosauri. Oggi, tuttavia, non sembrano esserci asteroidi in collisione o pericoli tanto grandi da farci addirittura pensare di star attraversando la sesta estinzione. Eppure, siamo proprio noi, gli esseri umani, a rappresentare una minaccia enorme per il futuro della vita sulla Terra.
Già nel 1995 il celebre paleontologo Richard Leakey scrisse che «sebbene tutte le specie sulla Terra abbiano un’origine e una fine, Homo sapiens è in grado di distruggere intere specie in brevissimo tempo, innescando così la sesta estinzione di massa». Il punto è proprio questo: all’espansione della nostra specie sul pianeta corrisponde una riduzione della biodiversità su scala locale, prima, e globale, dopo. L’inizio delle tre fasi della sesta estinzione di massa, infatti, coinciderebbe con tre momenti fondamentali per lo sviluppo umano. Vediamole insieme. Innanzitutto, c’è l’espansione di Homo sapiens fuori dai confini africani (200-45 milioni di anni fa), poi la rivoluzione neolitica che portò al miglioramento delle condizioni di vita dato dall’agricoltura e dalla stanzialità delle popolazioni e, infine, le rivoluzioni industriali che, dalla fine del ‘700 a oggi, hanno causato l’esplosione demografica e l’inizio dei sistemi economici e sociali che continuano, inesorabili, ancora oggi e che hanno cambiato (e stanno cambiando) in maniera importante e irreversibile i territori naturali, gli equilibri degli ecosistemi e il clima del pianeta Terra.
I numeri della sesta estinzione di massa
A raccontarci di più, c’è uno studio condotto da un team di biologi dell’Università delle Hawaii e del Muséum national d'Histoire naturelle di Parigi. Dal 1500 al 2022 la percentuale di specie scomparse sarebbe tra il 7,5 e il 13%. Questo vuol dire che in poco più di 500 anni (in termini geologici sono pochissimi) su 2 milioni di specie conosciute, tra le 150.000 e le 260.000 sono già estinte. Allo stato attuale, dunque, noi Homo sapiens non abbiamo ancora causato l’estinzione del 75% delle specie viventi ma lo faremo presto, se continuiamo ad agire e vivere come stiamo già facendo. Non è possibile prevedere se e quando avremo ufficialmente una sesta estinzione di massa di origine antropica, ma se procederemo al ritmo attuale il fatidico 75% potrebbe venir raggiunto addirittura in “appena” 3 o 4 secoli.
Le specie interessate dalla sesta estinzione
Considerando il fatto che sono pochissimi, i luoghi non ancora colonizzati da Homo sapiens (e questo non esclude che risentano, seppur da lontano, degli effetti nefasti dei nostri comportamenti) tutte le specie viventi sono in potenziale pericolo. Detto questo, ci sono gruppi di organismi viventi più soggetti all’estinzione di natura antropica di altri. È il caso dei vertebrati, ad esempio. Secondo le stime dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), il 41% degli anfibi, il 26% dei mammiferi, il 37% delle specie di squali e razze, sono a rischio di estinzione.
Non solo. A pagare il prezzo delle nostre azioni ci sono anche tutte quelle specie che per diversi motivi studiamo e conosciamo meno. Le piante e gli invertebrati, ad esempio. Sempre secondo IUCN, il 70% delle piante appartenenti all’ordine Cycadales, diffuse fin dalla fine del Carbonifero, 280 milioni di anni fa, oggi sarebbe in serio rischio di scomparire per sempre. Allo stesso modo, il 36% dei coralli e il 28% dei crostacei soffrirebbe lo stesso destino.
Cosa stiamo facendo per arrestare la sesta estinzione di massa
Poco. Molto poco. Le azioni di conservazione messe in campo dalla ricerca scientifica, dai Parchi Nazionali e dalle riserve sono utili ma non sufficienti, perché spesso riguardano la protezione di una singola specie o di poche specie, di grande valore ecologico o culturale. Inoltre, l’arresto di un fenomeno di tali proporzioni è impossibile da realizzare senza l’impegno congiunto di tutti, cittadini, imprese e governi. Siamo tutti responsabili, come specie, di ciò che sta accadendo e che continuerà ad accadere agli organismi viventi che condividono con noi il Pianeta. Secondo la comunità scientifica, uno dei rimedi più efficaci resta sempre la conoscenza, la sensibilizzazione continua che si traduce, nelle persone, nella volontà di andare a fondo, di comprendere il problema, sapere che c’è, che esiste, e sentire la necessità di dover agire di conseguenza.