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Il suffragio universale è il principio secondo il quale tutti i cittadini di un Paese, indipendentemente da reddito, genere, etnia, orientamento sessuale, ecc., possono esercitare il diritto al voto e grazie a cui tutti i voti hanno lo stesso peso. Gli unici cittadini non ammessi a votare sono quelli che non hanno raggiunto la maggiore età, stabilita dalla legge in ogni Paese. In genere chi detiene i diritti elettorali attivi (possibilità di votare) ha anche quelli passivi (possibilità di essere eletto), ma non sempre i due gruppi di persone coincidono perfettamente.
Il suffragio universale è stato introdotto su larga scala solo nel Novecento. In precedenza i limiti maggiori posti al diritto al voto erano dovuti al censo, cioè al reddito, perché votavano solo i più ricchi, oppure al genere, perché le donne erano escluse. In alcuni Paesi multietnici vigeva anche una discriminazione in base all’etnia, perché in alcuni casi votavano solo i bianchi. In questo articolo scopriamo il processo storico che ha portato al suffragio universale.
Il suffragio universale maschile
Quando furono costituiti i primi sistemi politici liberali e introdotte le prime assemblee elettive (per lo più nell’800, ma non senza casi precedenti in alcuni Paesi) il voto, oltre a essere riservato ai maschi, era "censitario": votava solo chi superava una determinata soglia di reddito.
Il suffragio universale maschile, salvo alcuni casi particolari, fu introdotto per la prima volta in Francia nel 1793, nel pieno della Rivoluzione francese, ma non fu mai applicato perché la legge fu quasi subito abrogata. Dopo alcune altre esperienze (Costituzione spagnola del 1812 e greca del 1844), il suffragio universale maschile divenne un tema all’attenzione delle classi dirigenti con le rivoluzioni avvenute in Europa nel 1848, nel corso delle quali fu introdotto in Francia.

Negli anni successivi fu adottato in altri Paesi, tra i quali gli Stati Uniti (ma solo per i bianchi) nel 1856 e la Germania nel 1871. Per molti altri Stati bisognerà attendere il Novecento: per esempio, il Regno Unito lo ha introdotto nel 1918 e gli Stati Uniti, per tutte le etnie (e per entrambi i sessi), solo nel 1965.
Effetti del suffragio universale
In teoria, il suffragio universale dovrebbe favorire i ceti più umili, perché essi, essendo rappresentati negli organi elettivi, hanno la possibilità di far valere le proprie esigenze. In parte questo effettivamente avviene. Per esempio nella seconda metà dell’Ottocento anche grazie al suffragio universale maschile molti Paesi introdussero leggi sociali che alleviavano le condizioni, assai disagiate, dei ceti meno abbienti.
Tuttavia, il suffragio universale ebbe (e ha tuttora) un impatto meno significativo sulle condizioni della popolazione di quanto ci si potrebbe attendere. La volontà popolare, infatti, è facilmente influenzabile, in particolare nei contesti, come nell’Europa dell’Ottocento, nei quali il tasso di analfabetismo è molto diffuso. Vari leader politici, come Napoleone III in Francia e Otto von Bismarck in Germania, impararono a usare a loro vantaggio il suffragio universale.

La conquista del suffragio femminile
Nell’Ottocento il diritto delle donne a votare ed essere elette non era riconosciuto perché, sulla base di una mentalità tradizionalista e retrograda, si riteneva che la politica riguardasse solo i maschi. I primi tentativi di introdurre il suffragio femminile erano avvenuti nel Settecento, ma si era trattato di esperimenti senza sviluppo. Nel secolo successivo in alcuni Paesi si diffusero i movimenti delle “suffragette”, che si battevano per il voto alle donne, e gradualmente esso fu effettivamente concesso.

Il primo Paese a introdurre in maniera “definitiva” il suffragio femminile fu la Nuova Zelanda nel 1893, alla quale fecero seguito l’Australia nel 1902 e alcuni Paesi del Nord Europa (Finlandia nel 1906, Norvegia nel 1913, nel Danimarca 1915). Negli Stati Uniti, che pure erano stati la patria del movimento delle suffragette, il diritto delle donne a votare sarà garantito a livello federale solo nel 1920, sebbene molti Stati lo avessero già introdotto precedentemente. Altri Paesi, come la Francia, introdurranno il suffragio femminile solo dopo la Seconda Guerra Mondiale.
E l’Italia?
L’Italia non è stata tra i pionieri né del suffragio universale maschile né di quello femminile. Dopo la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861, infatti, fu scelto un sistema censitario che, oltre a escludere le donne, richiedeva un reddito molto elevato per poter votare, tanto che gli elettori erano solo il 2,2% della popolazione. Una riforma del 1882 abbassò la soglia di reddito e ammise al voto chiunque avesse frequentato le scuole elementari, facendo aumentare la quota di cittadini elettori al 6,9% della popolazione.
Il suffragio universale maschile fu introdotto solo nel 1912 e applicato per la prima volta nel 1913, ma prevedeva ancora alcuni limiti: chi era analfabeta, infatti, poteva votare solo dopo aver compiuto 30 anni, mentre per gli altri la maggiore età era a 21 anni. Per gli uomini questi limiti furono superati per la prima volta solo alle elezioni del 1919. Il suffragio femminile, invece, fu introdotto con una legge del 1945 e le donne votarono per la prima volta solo nel 1946.

Definire il corpo elettorale
Oggi il sistema censitario è stato abolito pressoché ovunque e, nei Paesi dove si vota, lo si fa con il suffragio universale. Restano, però, alcuni problemi nella definizione del corpo elettorale, cioè l’insieme dei cittadini che hanno diritto il voto. Una delle questione principali è quella dei cittadini emigrati: è necessario stabilire se hanno diritto al voto i cittadini che si sono trasferiti all’estero ed, eventualmente, anche i loro discendenti. In molti Paesi gli emigrati perdono il diritto al voto dopo un numero di anni dal trasferimento o possono esercitarlo solo tornando nel Paese di origine. Altri Paesi, come l’Italia, consentono di votare sia agli emigrati sia ai loro discendenti, permettendo anche di farlo dall’estero.
Un’altra questione, speculare a quella precedente, riguarda gli immigrati: chi si è trasferito in un altro Paese, e quindi contribuisce al suo progresso perché lavora e paga le tasse, può votare? In molti casi gli immigrati non possono votare per le elezioni nazionali fino a quando non ottengono la cittadinanza, ma talvolta possono partecipare alle elezioni locali.

I limiti del suffragio universale
Il suffragio universale non è sufficiente a far sì che un Paese sia democratico. Anzitutto, non basta riconoscere il diritto al voto a tutti i cittadini per poter garantire elezioni libere, ma devono verificarsi altre condizioni. Le più importanti sono:
- La libertà e la correttezza dell’informazione, cioè garantire a tutti il diritto di accedere alle informazioni in maniera libera e lasciare circolare liberamente tutte le notizie (contrastando solo le fake news). Inoltre, è necessario anche che tutte le opinioni politiche trovino spazio sui media principali;
- L’assenza di condizionamenti nell’espressione del voto. Gli elettori devono poter votare senza che le loro scelte siano condizionate da fattori esterni (necessità di trovare lavoro, paura di fare torto a qualche notabile, ecc.).

Inoltre, anche quando ci sono elezioni libere, possono esserci dei limiti all’esercizio della democrazia. Per esempio, può avvenire che esistano assemblee legislative elette a suffragio universale e con elezioni libere, ma che le decisioni più importanti per la collettività siano prese da altri organi, non elettivi. In sintesi, il suffragio universale è condizione necessaria, ma non sufficiente, perché un Paese possa dirsi democratico.