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8 Aprile 2022
7:30

Turbolenza aerea: cos’è e come si forma

Le turbolenze sono gli scossoni a cui è soggetto un aereo in volo. Sono causate dall'incontro tra il velivolo e correnti d'aria ascendenti e discendenti.

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Turbolenza aerea: cos’è e come si forma
turbolenza aereo

Chi viaggia spesso in aereo lo sa bene: le turbolenze possono essere molto fastidiose. Ma cosa sono esattamente? Si tratta di scossoni causati principalmente da correnti d'aria ascendenti o discendenti che coinvolgono l'aeroplano – è per colpa loro se mentre viaggiamo avvertiamo dei "sobbalzi"! Ma come si formano esattamente? E quali sono le tipologie principali?

Cosa sono le turbolenze?

L’Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile (ICAO) definisce la turbolenza come l’insieme di scossoni cui è soggetto un aereo in volo quando incontra correnti d’aria ascendenti o discendenti. Queste correnti, infatti, sono responsabili di una variazione repentina della portanza, causando i famosi sobbalzi avvertiti dai passeggeri. A seconda dell’intensità di questi scossoni, l’ICAO classifica la turbolenza in: leggera, moderata, forte ed estrema.
Abbiamo detto quindi che il fenomeno fisico alla base della turbolenza è rappresentato dalle correnti d’aria ascendenti o discendenti; ma da cosa sono causate, a loro volta, queste correnti?
Da molti fattori diversi, variabili fra loro a seconda della quota e delle condizioni climatiche.

Turbolenze a bassa quota

Per quanto riguarda il volo a bassa quota, i tipi di turbolenza sono principalmente tre.
Il primo è quello delle turbolenze termiche dovute ai moti convettivi: il sole scalda il terreno, che a sua volta riscalda l’aria circostante che diventa così meno densa (dilatandosi occupa maggior volume) e si “stacca” da terra sotto forma di "bolle" che causano delle correnti ascensionali.
Immaginatevi invece un flusso d’aria uniforme che incontra un ostacolo: non potendo passarci attraverso, lo scavalcherà e formerà dei vortici a valle. È il caso della turbolenza orografica o, se l’ostacolo è una catena montuosa, delle onde di montagna. Se l’aria è sufficientemente umida, queste sono individuabili grazie alla formazioni di nubi a forma di lente vicino alle creste, da cui il nome nubi lenticolari.

nube lenticolare monte
Nube lenticolare

Anche ai temporali sono associate forti correnti ascendenti e discendenti. Quando ciò avviene nei pressi di un aeroporto, ci troviamo di fronte al “Low Level Wind Shear” (LLWS), potenzialmente insidioso durante la fase di atterraggio, poiché rende difficile il mantenimento del corretto assetto e velocità da parte del pilota. Ultimamente, sono stati ideati dispositivi elettronici con sensori sparsi sull’intera area aeroportuale in grado di percepire le diverse variazioni del vento e dare così un avviso importante in caso di wind shear, come il TDWR (“Terminal Doppler Weather Radar”) e il LLWAS (“Low Level Wind Shear Alert System”).

Turbolenze ad alta quota

Ci sono poi le turbolenze che un aereo può trovare a livelli più alti di volo.
Anche in questo caso, tra i principali responsabili troviamo i temporali che, fortunatamente, sono facilmente individuabili sia ad occhio nudo che grazie ai radar meteo presenti a bordo. Non sempre però le turbolenze sono associate al maltempo, come accade per le turbolenze in aria chiara, in gergo CAT (“Clean Air Turbulence”). Queste si verificano ad un’altitudine che va dai 7000 ai 12000 metri e sono causate dall’incontro di grandi masse d’aria che si muovono a velocità molto diverse tra loro. Per questo motivo, la CAT è quasi sempre riscontrata nelle regioni delle correnti a getto, dei “fiumi di aria” creati dall’incontro di fronti a temperature diverse che scorrono principalmente da ovest verso est in entrambi gli emisferi per diverse migliaia di chilometri, con una velocità che va dai 150 fino agli oltre 450 km/h.

sezione verticale corrente a getto
Sezione verticale di una corrente a getto (credit: NOAA).

Un fatto interessante è che i piloti, volando da ovest verso est, quando la situazione lo consente, vanno a ricercare questi getti nelle carte meteo in modo da avere tutti quei km/h in coda e impiegare parecchio tempo in meno, rendendo felici passeggeri (fatto salvo per il volo più “ballerino”) e ambiente, dal momento che si possono risparmiare svariate tonnellate di combustibile. Questo tipo di turbolenza è quasi impossibile da identificare ad occhio nudo ed è quindi molto difficile da evitare. Esistono tuttavia strumenti che possono aiutare a questo scopo, come ad esempio il LIDAR (“Light Detection And Ranging”). Ad ogni modo, le zone di CAT più severa vengono segnalate al traffico aereo dai piloti che le percorrono, per dare la possibilità ad altri di evitarle.

Turbolenza di scia

Un aereo per volare deve essere in grado di generare sufficiente portanza (ne abbiamo parlato in un altro articolo). Un effetto secondario di questa generazione di portanza sono i vortici d’estremità d’ala, responsabili della turbolenza di scia, capaci di resistere in aria anche per qualche minuto. Dal momento che per far volare un aereo pesante è necessaria maggior portanza rispetto ad un aereo più leggero, è chiaro che un aereo pesante produrrà maggior turbolenza di scia. Per questa ragione, sono state stabilite delle categorie di peso per gli aerei in base alle quali i controllori sono tenuti a separarli opportunamente, in particolare durante le fasi di decollo e atterraggio.

turbolenza scia

Le turbolenze sono pericolose?

Nonostante le turbolenze possano essere fenomeni potenzialmente pericolosi, lo sviluppo delle tecniche di progetto degli aerei ha permesso di trasformarli in qualcosa di simile all'ordinario. Viene ad esempio studiato il comportamento “vibrante” di tutta la struttura  (in particolare delle ali) tramite simulazioni al computer o su modelli in scala ridotta per verificarne la tenuta e, per lo stesso motivo, vengono calcolati i fattori di carico, ovvero le accelerazioni, causati dalla turbolenza per quote e velocità diverse.

Chiaramente, esisteranno sempre fenomeni atmosferici (come tifoni o uragani) per i quali non c’è dimensionamento che tenga: vanno evitati e basta. Nella pratica infatti, si dimensiona sulla base degli eventi in cui verosimilmente potrà imbattersi un aereo nel corso della sua vita, con l’obiettivo di avere meno di un evento catastrofico ogni miliardo di ore di volo (pari a circa 114000 anni) per velivolo. L’ultimo riguardante una turbolenza risale a più di 40 anni fa (1981), con un Fokker F28 (volo NLM431) precipitato dopo essere passato all’interno di una tromba d’aria.
Questo dovrebbe rassicurare anche il passeggero più impressionabile. Se ancora non fosse così, ecco un ultimo dato: ogni anno in tutto il mondo si contano circa 35000 vittime causate dai cani.

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