
Le alluvioni avvenute in Emilia-Romagna nel 2023 e 2024 sono il risultato della combinazione tra la particolare conformazione del territorio e condizioni meteorologiche estreme sempre più diffuse a causa del cambiamento climatico. Il fenomeno, chiamato “effetto cul-de-sac”, è stato analizzato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) in un nuovo studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports. Consiste nell’intrappolamento da parte di Alpi e Appennini, per alcuni giorni consecutivi, di aria umida proveniente dall’Adriatico: il risultato è che sull’area interessata si verificano precipitazioni intense e molto prolungate. Alla base del fenomeno c’è anche il fatto che il Mediterraneo si sta riscaldando molto più di altre aree del pianeta, quindi anche altre zone costiere che si affacciano su questo mare sono a rischio di gravi alluvioni. L’obiettivo di questi studi è riuscire a contribuire allo sviluppo di sistemi di allerta più efficaci nei confronti di eventi di tale portata, destinati a diventare sempre più frequenti.
L’effetto cul-de-sac alla base delle alluvioni dell’Emilia-Romagna nel 2023 e 2024
L’alluvione del 2023 in Emilia-Romagna è stata causata da precipitazioni persistenti, di lunga durata, che hanno causato inondazioni gravi. Si tratta di eventi che in passato si ripetevano ogni 500 anni circa, mentre oggi sono sempre più frequenti (un evento simile ha colpito la stessa area nel 2024). Queste precipitazioni sono state alimentate da una perturbazione ciclonica stazionaria che ha persistito sull’Italia per diversi giorni. Il Mar Mediterraneo è uno dei mari del pianeta che risentono maggiormente del riscaldamento globale, con un aumento della temperatura delle acque superiore alla media. Ciò comporta una maggiore evaporazione e una maggiore quantità di vapore acqueo nell’aria sovrastante, che essendo più calda può contenerne di più. Quest’aria umida alimenta i cicloni, associati a intense precipitazioni. Nel caso dell’Emilia-Romagna, l’alluvione non può essere attribuita soltanto alla maggiore quantità di vapore acqueo nell’aria perché non è stata causata da forti piogge di breve durata, ma molto prolungate. Un ruolo fondamentale è stato quello della conformazione geografica del territorio, delimitato da catene montuose che hanno trattenuto l’aria umida proveniente dall’Adriatico, amplificando e prolungando le precipitazioni. Condizioni simili si sono verificate in Emilia-Romagna anche nel 2024. Il fenomeno è stato definito “effetto cul-de-sac”, un’espressione che descrive bene il “vicolo cieco” in cui è stata convogliata l’aria umida.

L’utilità dello studio nelle previsioni future
Nell’ambito dello studio i ricercatori hanno sviluppato un indicatore, il Cyclone Density Persistence (Cdp), che tiene conto del numero di cicloni che avvengono in un anno in una determinata area e di quanto sostano su di essa. Se il valore dell’indicatore è alto significa che è alta anche la probabilità che avvenga un’alluvione di una certa gravità. Grazie al Cdp, si potrebbero sviluppare sistemi di allerta più efficaci. Un monitoraggio più attento dei cicloni che stazionano su una determinata area potrebbe consentire di elaborare previsioni più accurate degli eventi estremi. In questo modo si potrebbero arginare le conseguenze di un’alluvione come quella del 2023, che ha causato lo sfollamento di migliaia di persone e ha provocato enormi danni all’economia e alle infrastrutture. Un monitoraggio dei cicloni è indispensabile non solo per l’Italia, ma anche per altre zone costiere che si affacciano sul Mediterraneo e che presentano una conformazione geografica simile. Dallo studio emerge anche la necessità di ulteriori ricerche per individuare altre condizioni critiche che possono influenzare il rischio di alluvioni, tra cui l’umidità del suolo, l’uso del suolo e lo stato delle infrastrutture di tipo idraulico.
