Quando pensate alla moda cosa vi viene in mente? Forse i jeans strappati o le sneaker di marca, l'iconico tubino nero di Coco Chanel o la giacca di pelle di James Dean. Ecco, se ci pensate, tutti questi esempi non sono solo capi di abbigliamento, ma simboli che possono comunicare ribellione, appartenenza a una specifica cultura o sottocultura oppure magari a uno status economico. Gli studi sociologici aiutano a esplorare come la moda non abbia solamente una dimensione estetica, ma sia anche un potente strumento di comunicazione sociale e identitaria che ha il potere di integrarci nella nostra comunità sociale di riferimento e allo stesso tempo distinguerci in base alla nostra identità personale specifica. Quando scegliamo un indumento, infatti, in qualche modo raccontiamo chi siamo. Ma come funziona la moda e chi detta le nuove tendenze?
A cosa serve la moda?
Secondo l’antropologa Mary Douglas, la moda è un sistema simbolico: le persone la utilizzano per comunicare e rafforzare le strutture sociali di cui fanno parte. In altri termini, indossare un tipo di abbigliamento piuttosto che un altro segnala la differenza tra classi sociali, generi e professioni, stabilendo così delle regole di comportamento appropriate. Ecco un paio di esempi:
- indossare un abito elegante per una cerimonia o una divisa scolastica non è una scelta casuale o solamente estetica, ma serve a indicare un certo tipo di appartenenza e di ruolo
- un vestito da sposa non è solo un abito bianco, ma simboleggia nella nostra cultura purezza e tradizione
Ci sono poi degli studiosi che colgono altre sfumature del fenomeno della moda. Il più celebre è il sociologo tedesco Georg Simmel: nel famoso saggio La moda del 1895, considera la spinta a seguire o a non seguire la moda come un modo per gli individui di esprimere la propria individualità, all’interno di un gruppo sociale più o meno omogeneo.
Quanto conta l'abbigliamento per sentirsi parte di un gruppo?
La moda, quindi, sarebbe uno spazio di azione che consentirebbe di bilanciare due tendenze: il nostro bisogno di conformarci agli altri e il nostro desiderio di distinguerci dagli altri. Quando adottiamo certe tendenze della moda, indossando precisi capi d'abbigliamento, possiamo quindi sia mostrare appartenenza a un certo gruppo sociale, ma allo stesso tempo distinguerci come individui all'interno di esso. Pensiamo agli adolescenti che indossano magliette di band musicali famose: questa scelta comunica la loro appartenenza a una subcultura musicale, ma ogni maglietta specifica esprime anche una preferenza personale.
Il gusto estetico è determinato dalla nostra classe sociale?
Un sociologo più recente, il francese Pierre Bourdieu, si è interessato in particolar modo alla questione del “gusto estetico”: secondo lui ciò che ci piace non è un fattore casuale ma è socialmente determinato. Questo significa che ciò che è considerato di buon gusto o appropriato deriva dal modo con cui siamo educati, ma, soprattutto, dipende dalle posizioni sociali che ricopriamo e dalla nostra cultura di riferimento.
Il gusto pertanto è una “bussola sociale” e anche un’“arma”. Le classi "superiori" cercano infatti di differenziarsi dalle classi "inferiori" le quali spesso provano a imitare chi è più in alto nella scala sociale. Con la democratizzazione dei consumi, d'altro canto, anche le classi "inferiori” possono accedere a beni o servizi prima esclusivi, azzerando (almeno apparentemente) le distinzioni di classe. Le classi superiori a questo punto si rivolgono a un’altra moda per differenziarsi nuovamente dando vita a un circolo infinito.
Come si trasmette la moda?
Per un altro autore, Douglas, la trasmissione della moda avviene attraverso riti e tradizioni che vengono insegnati e appresi nel corso del tempo all'interno dei gruppi sociali. Ogni gruppo stabilisce cosa è accettabile indossare in diverse circostanze: pensiamo ai codici di abbigliamento all'interno delle aziende, ad esempio.
Per Simmel, le tendenze della moda nascono soprattutto dalle “élite” per poi essere imitate da tutti gli altri: pensiamo alla moda lanciata dagli influencer sui social media, soprattutto per chi appartiene alla Gen Z.
Perché le mode ritornano: il fascino del vintage
Sempre Simmel vede l'evoluzione della moda come un ciclo infinito di adozione e abbandono di certe tendenze e di certi stili. Le mode emergono, vengono adottate da una maggioranza e poi sono abbandonate quando perdono il loro potere di differenziazione. Questo ciclo dipende dal nostro desiderio di novità e dalla già citata dinamica di imitazione e distinzione. Ad esempio, i jeans a vita bassa erano molto popolari negli anni '90, ma sono stati poi sostituiti dai jeans a vita alta negli anni 2000. Questo continuo cambiamento è alimentato dal desiderio umano di novità.
Tradizionalmente, si pensa che la moda passi dalle classi più agiate a quelle meno agiate in un processo noto come trickle down ("cascata"). Tuttavia, Bourdieu riconosce anche il fenomeno opposto, il trickle up, in cui certe tendenze emergono dalle classi più basse o da gruppi subculturali e vengono adottate dalle classi più abbienti. Un esempio emblematico è l'influenza delle subculture giovanili sulla moda. Lo stile "punk", ad esempio, originariamente associato a gruppi “ai margini”, è stato progressivamente reso innocuo e commercializzato anche dall'industria del lusso. Il trickle up dimostra come la moda non sia un fenomeno unidirezionale ma piuttosto dinamico in cui diverse classi sociali si influenzano reciprocamente.