
In Groenlandia è stato costruito un bunker sotto al ghiaccio alimentato da un reattore nucleare che, dopo il suo abbandono, è stato riempito di rifiuti tossici e radioattivi. Questa è la storia di Camp Century, base realizzata dagli USA con l'obiettivo di lanciare missili verso l’URSS in caso di conflitto durante la guerra fredda. Oggi però, incredibilmente, da eccellenza militare si è trasformata in una discarica di rifiuti tossici e radioattivi.
La costruzione della base
Anno 1959. Siamo nel bel mezzo della Guerra Fredda. La rivalità tra Unione Sovietica e Stati Uniti spinse queste due superpotenze a puntare gli occhi verso il circolo polare artico che, fino a quel momento, era una zona “cuscinetto” tra le due superpotenze. Una zona pronta ad essere conquistata per ottenere vantaggi strategici. Come è facile immaginare, alcuni Paesi, come la Groenlandia dovettero decidere da che parte stare. Per questo nel 1951 venne firmato un accordo tra USA e Danimarca che aveva il duplice scopo di difendere il territorio Danese (quindi inclusa la Groenlandia) e di fornire agli USA un punto di appoggio per lanciare missili in Unione Sovietica, nel caso in cui la Guerra Fredda avesse preso una brutta piega.
Questo rientrava all’interno di un progetto top-secret degli stati uniti chiamato Progetto Iceworm. La copertura “pubblica” di questo programma fu proprio una base nei ghiacci della Groenlandia, il Camp Century: formalmente si trattava di un centro di ricerca – e lo era in realtà – ma l’obiettivo segreto di base lancia-missili venne rivelato solo molti anni più tardi.
Il sito, la cui costruzione fu affidata alla U. S. Army Polar Research and Development Center, sarebbe sorto nella porzione nord-occidentale dell’isola, a circa 120 km dalla costa, e a differenza di altre basi militari nella zona, non sarebbe stata realizzata sopra alla superficie, ma sotto: si sarebbe quindi trattato di un bunker scavato nel ghiaccio!
Come era fatto Camp Century
Se prendiamo i documenti ufficiali e guardiamo i tunnel in pianta, possiamo vedere come ci sia una galleria centrale, più sottile, e pensata per il passaggio dei veicoli, e poi tutta una serie di tunnel laterali che ospitavano i vari edifici per il personale.

Ogni edificio in realtà non era altro che un prefabbricato, pensato per essere assemblato direttamente all’interno del bunker al di sopra di una piattaforma, con fondazioni conficcate direttamente nel ghiaccio: questa sospensione rispetto al livello del suolo permetteva di sfruttare l’aria tra il tunnel e le pareti esterne come isolante termico, minimizzando l’energia necessaria per il riscaldamento.
All’interno di questi prefabbricati si trovavano tutti gli organi vitali: c’era il quartier generale, il reparto ricerca e sviluppo, gli uffici, la dispensa, la cucina e gli alloggi, ma anche aree dedicate al tempo libero, come una piccola chiesa, il cinema, aree relax e la biblioteca. Per quanto riguarda invece l’approvvigionamento di acqua potabile – che è un problema non da poco in quel tipo di ambiente – si pensò di scavare un pozzo verticale all’interno del ghiaccio e di far fondere la base con getti di vapore: a quella profondità il ghiaccio aveva una densità tale da essere sostanzialmente impermeabile all’acqua, creando quindi un serbatoio naturale.
E i missili invece? La base serviva a questo no? Beh in realtà l’obiettivo principale era quello di studiare la fattibilità di una struttura di questo tipo, ma di fatto il governo Danese non diede mai il via libera agli USA per l’importazione di missili, e quindi la base non fu mai armata. Di fatto era più che altro una struttura dedicata alla ricerca.
Tra l’altro, uno tra i principali fronti della ricerca era quello legato all’approvvigionamento energetico… cioè, in una base di questo tipo, da dove la si prende l’energia necessaria per farla funzionare?
Il reattore nucleare di Camp Century
Come prima opzione si pensò di utilizzare dei generatori a gasolio o kerosene, ma ci si rese conto che era troppo difficile garantire rifornimenti continuativi in un luogo così remoto. Si pensò quindi alle rinnovabili, ma l’idroelettrico non era fattibile, il solare non era utilizzabile durante le notti artiche e l’eolico era troppo incostante per essere affidabile.
Restò quindi un’unica soluzione, cioè la realizzazione di un reattore nucleare. Nello specifico si optò per un PM-2A, cioè un reattore nucleare prefabbricato: si scelse questa opzione per permettere una maggiore facilità di installazione e messa in opera in un ambiente così ostile.
Gli elementi di combustibile erano in piastre di biossido di uranio (UO2) e la cosa interessante è che oltre a produrre energia elettrica, essenziale sia per avere corrente sia per il riscaldamento, era possibile sfruttare uno scambiatore di calore per ottenere vapore caldo da utilizzare per fondere il ghiaccio e ottenere acqua potabile. Non a caso i due impianti, quello idrico e quello energetico, si trovavano in posizioni adiacenti all’interno del bunker.

Oltre a questo in realtà era presente anche un generatore a gasolio, utilizzato solamente durante la manutenzione periodica del reattore.
Come sono stati scavati i tunnel nel ghiaccio
La scelta di scavare tunnel nel ghiaccio portava con sé diversi vantaggi, come ad esempio una minor esposizione delle strutture al clima estremo della Groenlandia, una temperatura quasi costante tutto l’anno e, soprattutto, era molto più nascosta agli occhi del nemico.
Allo stesso tempo però costruire un bunker di questo tipo era molto complesso dal punto di vista tecnico, e una delle principali difficoltà era quella di scavare i tunnel in modo efficiente. Dopo vari test, si decise di utilizzare un particolare macchinario utilizzato all’epoca in Svizzera, la Peter snow miller. Questo mezzo permetteva di scavare trincee nella neve in modo rapido ed efficiente, con un tasso di scavo di circa 600 metri cubi all’ora. Fatto questo, venivano inseriti dei supporti metallici e ricoperti nuovamente con neve compattata.
Con questa tecnica si scavarono complessivamente 4 km di gallerie, la cui altezza variava tra i 4 e i 7 metri e la cui profondità media rispetto al piano campagna era di circa 8 metri.
La base abbandonata
La base venne abbandonata nel 1967: il ghiaccio stava diventando instabile e le gallerie non erano più così sicure… in fondo il progetto aveva una vita prevista di soli 10 anni, quindi, una volta terminati gli studi in corso, il bunker nel ghiaccio venne abbandonato. Il problema è che la dismissione dell’impianto fu gestita in modo… parziale, mi verrebbe da dire. Nel senso che ad oggi non è ancora chiaro esattamente quali accordi ci furono all’epoca tra USA e Danimarca in merito, ma fatto sta che all’interno della base sono presenti ancora grandi quantità di rifiuti.
Come confermato da uno studio pubblicato nel 2016, al suo interno sono presenti 9000 tonnellate di rifiuti fisici, come resti di edifici e di rotaie, 200 mila litri di gasolio e 24 milioni di litri di acque reflue. A tutto questo si aggiunge anche una quantità non conosciuta di rifiuti radioattivi derivanti dal fluido rigenerante del reattore.
Insomma, si tratta di una situazione non certo trascurabile, soprattutto considerando il fatto che la fusione dei ghiacci è sempre più rapida, e si teme che tra meno di un secolo questi rifiuti possano disperdersi in ambiente, causando disastri negli ecosistemi dell’area. E di chi è l’onere di evitare tutto questo?
Come dicevamo, gli accordi presi tra USA e Danimarca negli anni ‘60 in merito non sono chiarissimi, e dunque vedremo nei prossimi decenni quale dei due Paesi deciderà di prendersi la responsabilità.