«Non ci sono evidenze scientifiche né scenari secondo cui la dismissione dei combustibili fossili è necessaria per raggiungere l'obiettivo di +1,5 °C». Questa è l'ultima affermazione che ci si aspetterebbe di sentire dal presidente della COP28, la Conferenza delle Parti sul clima organizzata all'ONU in corso a Dubai dal 30 novembre. Eppure a proncunciarla è stato Sultan Al Jaber, che oltre a essere presidente della COP28 designato dagli Emirati Arabi Uniti è anche amministratore delegato di ADNOC (Abu Dhabi National Oil Company), una delle maggiori compagnie petrolifere al mondo nonché la più grande azienda statale degli Emirati Arabi Uniti.
Al Jaber avrebbe anche suggerito che non ci sarebbe «una strategia per la dismissione dei combustibili fossili compatibile con uno sviluppo socioeconomico sostenibile». Ovviamente non si sono fatte attendere le reazioni di molte personalità di spicco sul tema climatico. Ma andiamo con ordine e facciamo chiarezza su queste affermazioni considerate al limite del negazionismo climatico e i possibili conflitti di interessi in gioco nella COP28 di Dubai.
Le affermazioni “incriminate” di Al Jaber
Durante un evento online tenutosi il 21 novembre (qualche giorno prima dell'inizio del vertice), organizzato da She Changes Climate, una campagna globale che promuove l'azione delle donne per contrastare la crisi climatica, Al Jaber è intervenuto telefonicamente per rispondere ad alcune domande. Conversando con Mary Robinson, ex inviata dell'ONU per il cambiamento climatico, il presidente della COP28 ha affermato che «non ci sono evidenze scientifiche né scenari secondo cui la dismissione dei combustibili fossili è necessaria per raggiungere l'obiettivo di +1,5 °C».
Questa affermazione è in controtendenza rispetto alla letteratura scientifica climatologica e alle varie meta-analisi, tra cui spicca l'ultimo report dell'IPCC (International Panel on Climate Change), secondo cui una netta riduzione delle emissioni dovute ai combustibili fossili è indicata come necessaria per limitare il riscaldamento globale sotto la soglia di sicurezza di +1,5 °C rispetto all'epoca preindustriale. Questo è stato confermato anche dal Segretario delle Nazioni Unite António Guterres ai delegati della COP28: «La scienza è chiara: il limite di +1,5 °C è possibile soltanto se smettiamo di bruciare combustibili fossili. Non diminuire, non abbattere: cessare completamente, con un orizzonte temporale ben definito».
Alle obiezioni di Robinson («Leggo che la tua compagnia sta investendo sempre di più nei combustibili fossili»), Al Jaber ha quindi risposto: «Mostrami una tabella di marcia per la dismissione dei combustibili fossili che permetta uno sviluppo sostenibile, a meno che tu non voglia che il mondo torni all'epoca delle caverne».
Anche questa affermazione è decisamente controversa. Come anche confermato da Bill Hare, amministratore delegato di Climate Analytics, esistono già tabelle di marcia di questo tipo. Per esempio, l'Agenzia Internazionale per l'Energia (International Energy Agency, IEA) ha sviluppato il Net Zero Emission by 2050 Scenario, una roadmap normativa per rimanere sotto la soglia di +1,5 °C entro il 2100 tramite la cessazione completa delle emissioni globali di CO2 in modo compatibile con gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals) riguardanti l'accesso all'energia e il miglioramento della qualità dell'aria.
I dubbi sui conflitti di interessi
Lo scopo delle Conferenze delle Parti è trovare tra i circa 200 Paesi partecipanti accordi diplomatici utili a contrastare la crisi climatica. Rispetto alle Conferenze precedenti, la COP28 è particolarmente importante e delicata perché sarà la prima occasione di bilancio internazionale rispetto agli obiettivi fissati nel 2015 con l'Accordo di Parigi, in cui si stabilì di limitare il riscaldamento globale a +2,0 °C (ma preferibilmente a +1,5 °C) rispetto all'epoca preindustriale.
Ciò nonostante, la COP28 è nell'occhio del mirino in quanto molti hanno giudicato problematico il fatto che fosse tenuta negli Emirati Arabi Uniti, uno dei maggiori espotratori di petrolio al mondo. Il fatto poi che la stessa persona sia chiamata a ricoprire il duplice ruolo di presidente della COP28 e amministratore delegato di una grande compagnia petrolifera ha destato sin da subito preoccupazioni sui possibili conflitti di interessi in grado di spostare gli equilibri diplomatici all'interno della COP28.
Durante il suo dibattito con Mary Robinson, Al Jaber ha anche dichiarato che un phase down (“diminuzione”) e un phase out (“cessazione”) dei combustibili fossili è «inevitabile», e che la sua era un'esortazione a essere «seri e pragmatici», posizione ribadita in una recente conferenza stampa, ma ormai il danno era stato fatto e le reazioni alle affermazioni di Al Jaber sono state molto compatte. David King, a capo del Climate Crisis Advisory Group, ha riassunto bene il sentire comune: «È estremamente preoccupante e sorprendente sentire il presidente della COP28 difendere l'uso dei combustibili fossili».
La questione appare ancora più importante alla luce di alcune indiscrezioni diffuse poco prima dell'inizio della COP28, secondo cui gli Emirati Arabi Uniti avrebbero avuto intenzione di sfruttare gli incontri sul clima per proporre affari legati a petrolio e gas. Ai leak è poi seguita una smentita da parte di Al Jaber. Precedentemente era emerso inoltre che la ADNOC avesse accesso alle email della COP28, fatto che giustamente è stato definito «uno scandalo».
Questi dibattiti stanno mettendo sempre più pressione su Al Jaber per ottenere accordi risolutivi nel corso della COP28, soprattutto in seguito alla parziale delusione della COP26 di Glasgow del 2021, che vide un accordo sul phase out del carbone trasformarsi all'ultimo minuto in un phase down. Come affermato da Friederike Otto, dell'Imperial College of London: «Un fallimento nel phase out dei combustibili fossili alla COP28 metterà a rischio altre milioni di persone vulnerabili. Questo sarebbe un terribile lascito da parte della COP28».