Dopo quattordici giorni di intensi negoziati, la COP28 è giunta al termine il 13 dicembre, con l'approvazione del Global Stocktake, per certi versi storica. Al centro del dibattito, ancor più rispetto alle Conferenze precedenti, i combustibili fossili (gas, petrolio e carbone), il cui utilizzo dovrebbe essere gradualmente eliminato per contenere il riscaldamento globale sotto la soglia di +1,5 °C rispetto all'epoca preindustriale, come stabilito dall’Accordo di Parigi del 2015. Ma i negoziati non sono stati semplici e le posizioni dei Paesi partecipanti alla COP28 sono state variegate.
Gli Emirati Arabi Uniti e i Paesi del Golfo
Il Paese che ha ospitato la COP28 quest’anno, gli Emirati Arabi Uniti, e altre monarchie del Golfo rappresentano i principali esportatori di combustibili fossili, in primis di petrolio. Proprio gli Emirati Arabi Uniti, infatti, insieme all’Iraq sono tra i più importanti membri dell’OPEC (l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, fondata nel 1960). Nonostante dunque gli Emirati Arabi Uniti e il Presidente della COP28 Sultan Al Jaber si siano dichiarati orgogliosi del risultato storico raggiunto in merito ai combustibili fossili, numerosi esperti ecologisti e think-tank con focus sul cambiamento climatico hanno ritenuto deludente e inaccettabile l’accordo raggiunto.
Per esempio, nel testo finale approvato al termine della COP28 vengono citati in modo generico i «combustibili da transizione», ma non viene esplicitato quali. Secondo le voci critiche, piuttosto che eliminare i combustibili fossili gli Emirati Arabi Uniti cercherebbero soluzioni tecnologiche per limitare le emissioni di carbonio durante la produzione di idrocarburi: questo è stato uno dei principali punti di scontro con i Paesi occidentali e con l’Unione Europea durante la COP28.
Un altro punto interessante è che purtroppo non esistono sanzioni per i Paesi che non rispettano gli obiettivi fissati durante la Conferenza delle Parti. Ciò non toglie che alcuni dei Paesi del Golfo possano immaginare un futuro che vada oltre gli idrocarburi. Per esempio, l’Arabia Saudita ha annunciato mesi fa di voler costruire il più grande progetto di produzione di idrogeno verde al mondo da parte della NEOM Green Hydrogen Company, con la costruzione di una città “futuristica” alimentata interamente tramite fonti di energia rinnovabile.
Cina e Russia
Nonostante la vicinanza in numerosi dossier internazionali, sulla questione climatica Cina e Russia non sono del tutto allineate. La Cina è impegnata fortemente per combattere il cambiamento climatico, essendo insieme agli Stati Uniti tra i principali Paesi responsabili di emissioni di gas serra. Inoltre, il Paese asiatico si sta affermando come uno dei principali produttori di pannelli fotovoltaici, dunque la transizione alle fonti rinnovabili rappresenta un grande vantaggio per Pechino, che aspira a ricoprire un ruolo chiave in questo settore.
Per quanto riguarda la Russia, il Paese è uno dei principali produttori di petrolio e gas a livello mondiale e durante la COP28 ha fatto appello alla comunità scientifica per evitare un’uscita «caotica» dai combustibili fossili, in particolare per i Paesi le cui economie sono fortemente legate all’estrazione ed esportazione di idrocarburi. Le fonti energetiche alternative in numerosi Paesi, soprattutto dell’America Latina e dell’Africa, non sono infatti ancora disponibili.
Un punto spinoso alla COP28 ha riguardato il veto imposto dalla Russia sul Paese che ospiterà la COP29. In base al meccanismo della rotazione, infatti, nel 2024 la COP dovrebbe tenersi in un Paese dell’Europa orientale. La Bulgaria ha scelto di candidarsi ma ha visto l’opposizione della Russia, che a causa del conflitto in Ucraina ha sostenuto che nessun Paese dell’UE sarebbe stato imparziale. Al termine della Conferenza è stata quindi designato l’Azerbaijan come Paese in cui si terrà la COP29.
L'Unione Europea e gli Stati insulari
La COP28 si è aperta con l’approvazione di un meccanismo per mettere in atto un fondo, Loss&Damage, per compensare i danni che i Paesi più vulnerabili subiscono a causa dei cambiamenti climatici. Questo fondo, approvato inizialmente alla COP27 di Sharm el Sheik del 2022, sarà gestito all’inizio dalla Banca Mondiale. Per quanto riguarda l’Unione Europea, prima dell’approvazione del testo finale del Global Stocktrade (alla cui riunione l’Italia era assente) aveva infatti minacciato di abbandonare la COP28 se non fosse stata modificata la bozza dell’accordo. L’UE, infatti, da sempre molto attiva sul tema del cambiamento climatico, era parte di quel gruppo di Paesi che chiedevano l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, il cosiddetto phase out.
Un’altra delle cause dello scontento di molti partecipanti, tra cui l’Unione Europea, è stato rappresentato non solo dal punto sui combustibili fossili ma anche dalla mancanza di approcci differenziati alla transizione energetica per i Paesi in via di sviluppo: il passaggio alle fonti rinnovabili, infatti, ha bisogno di una fase di transizione per evitare di generare problemi a livello socio-economico nei Paesi meno sviluppati. Anche l’alleanza dei piccoli Stati insulari, formata da 39 nazioni tra le più minacciate dai cambiamenti climatici, ha espresso le proprie criticità. Nonostante la svolta storica di aver introdotto i combustibili fossili nel testo dell’accordo, secondo questi Paesi manca una strategia concreta per finanziare queste politiche nei Paesi in via di sviluppo.
Le associazioni ecologiste ritengono che questo accordo ignori i moniti della comunità scientifica e il reale problema ambientale che molti Paesi si trovano ad affrontare.