
I dazi doganali sono tariffe che si pagano per vendere merci in un Paese diverso da quello nel quale sono state prodotte. In questi giorni sono sulla bocca di tutti per via delle tariffe annunciate dal Presidente degli USA Donald Trump durante il cosiddetto “Liberation Day” del 2 aprile 2025. I dazi sono una delle principali misure del protezionismo, perché servono a “proteggere” le industrie nazionali dalla concorrenza straniera. I loro effetti, però, sono eterogenei e, in alcuni casi, hanno provocato più danni che benefici. I dazi esistono sin dal mondo antico. Nel corso dei secoli, si sono alternati periodi nei quali ha prevalso il protezionismo e periodi nei quali è stato più diffuso il libero scambio. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i Paesi occidentali sono andati incontro a una progressiva riduzione dei dazi doganali, che però in alcuni momenti è stata interrotta a causa di crisi economiche o interessi politici.
Cosa sono i dazi doganali
I dazi doganali sono tasse che si pagano per importare merci in un determinato Paese. Facciamo un esempio. Sono un commerciante e voglio importare nel mio Paese delle magliette, che acquisto all’estero al costo di 10 euro l’una. Nel mio Paese si producono magliette a 18 euro. Quindi, se metto sul mercato le magliette che ho acquistato con un prezzo, per esempio, di 15 euro (calcolando le spese di trasporto, il mio profitto, ecc. oltre ai 10 euro dell’acquisto), saranno attrattive per i consumatori. Ammettiamo però che il mio Paese adotti tariffe doganali del 50%. In questo caso dovrò pagare 5 euro per ogni maglietta che importo e, naturalmente, dovrò scaricare il costo sul consumatore. Con il dazio, perciò, dovrei vendere le magliette a 20 euro: 10 euro del costo di acquisto, 5 per spese e profitto, 5 per il dazio. La maglietta a 20 euro non sarebbe concorrenziale se nel Paese si producono beni simili che costano 18 euro. I consumatori acquisterebbero le produzioni nazionali.

In genere, i dazi sono utili per i sistemi industriali in via di sviluppo, che non possono reggere la concorrenza di industrie straniere le quali, essendo meglio organizzate, hanno costi di produzione inferiori e vendono le merci a prezzi più bassi.
Il protezionismo, però, ha anche effetti negativi: se uno Stato impone dei dazi, con ogni probabilità anche gli altri Paesi faranno lo stesso e quindi le aziende avranno più difficoltà a esportare i loro prodotti. Inoltre, i dazi possono danneggiare i consumatori, riducendo la disponibilità di beni sul mercato e facendo lievitare i prezzi.
I dazi sono la misura più comune del protezionismo economico, cioè la politica mirante a favorire le industrie nazionali. Il sistema opposto al protezionismo è il liberismo (o liberoscambismo), che prevede la libertà di commercio e l’abbattimento delle barriere doganali.
I dazi nel mondo antico e medioevo
Il protezionismo esisteva già nel mondo antico: le città-stato greche facevano pagare una tassa per le merci vendute nel loro territorio e, spesso, anche per quelle che vi transitavano. Anche nell’Impero romano, tasse e pedaggi per il transito delle merci erano molto frequenti.

In maniera simile nell’economia medievale prevaleva il protezionismo. Come sappiamo, nel Medioevo il territorio era frammentato in numerose entità politiche. Per esempio, nei secoli dopo l’anno 1 000 un vasto settore della Penisola italiana era diviso in città-stato (i comuni, poi diventati signorie). In questi casi, si pagava una tassa non solo per l’importazione, ma anche per il transito delle merci sul territorio di ogni città.
La politica doganale dal mercantilismo al capitalismo
La politica protezionista restò in vigore, in misure e forme diverse, in tutta l’età moderna e fu applicata anche dopo l’affermazione di un nuovo modello economico, il mercantilismo, sviluppatosi nel ‘700. Nel sistema mercantilista, il compito principale degli Stati era tenere in attivo la bilancia commerciale, esportando più di quanto si importasse, e le tariffe doganali sulle merci in entrata erano elevate.

Nel secolo seguente, però si affermò un altro sistema: il capitalismo, basato sull’iniziativa privata. In un ipotetico sistema capitalista puro, gli Stati non intervengono nell’economia e lasciano che il mercato si autoregoli. Di fatto, tutti i sistemi economici prevedono qualche forma di intervento pubblico, più o meno estesa a seconda dei casi. È vero, però, che il capitalismo provocò una riduzione delle tariffe doganali, soprattutto nel periodo dopo il 1840.
Molti Stati tornarono al protezionismo dopo il 1873, quando in tutto l’Occidente ebbe inizio una grave crisi economica, terminata nel 1896. Solo il Regno Unito, che era la principale potenza commerciale del tempo, continuò a praticare il libero scambio.
La crisi del ’29 e il protezionismo
Nei primi anni del ‘900, molti Paesi ridussero i dazi doganali, anche perché il sistema fiscale andò incontro a un’evoluzione e gli Stati si garantirono anche altre fonti di reddito. Tuttavia, in corrispondenza con la crisi economica del 1929, numerosi Paesi decisero di aumentare nuovamente le tariffe. Negli Stati Uniti, per esempio, nel 1930 entrò in vigore lo Smoot–Hawley Tariff Act, che stabilì dazi elevati su numerosissime merci. L’effetto, però, non fu quello sperato: gli economisti sostengono in maniera quasi unanime che i dazi peggiorarono, invece di alleviare, i danni provocati dalla crisi.

Il secondo dopoguerra: il libero scambio e le spinte neoprotezioniste
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, a causa dell’esperienza degli anni precedenti, i Paesi occidentali si avviarono verso il libero scambio. Nel 1947 nacque un’organizzazione internazionale, il GATT (General agreement on tariffs and trade – Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio), composta da 23 Paesi, che mirava a ridurre i dazi. Nel 1995 il GATT è stato sostituito dal WTO (World Trade Organization – Organizzazione mondiale del commercio), che persegue scopi simili. Inoltre, i governi di alcuni Paesi decisero di abbattere completamente le barriere doganali in specifiche aree geografiche. Tra i Paesi europei, per esempio, nel 1969 è entrato in vigore il Mercato unico, esistente ancora oggi, che ha annullato i dazi.

Tuttavia, anche nel secondo dopoguerra non sono mancati tentativi di ritorno al protezionismo: è quello che è avvenuto dopo gli shock petroliferi degli anni ’70, dopo la crisi del 2008 ed è anche quello che sta avvenendo nuovamente da alcuni anni.
Utili o dannosi: gli effetti dei dazi doganali
È impossibile dare una risposta valida per tutte le circostanze. L’effetto delle tariffe doganali cambia a seconda dei Paesi, delle condizioni economiche, dell’oculatezza con le quali vengono introdotte e di altri fattori. In linea di massima, in molti casi le tariffe sono servite per proteggere economie in via di sviluppo dalla concorrenza dei Paesi più avanzati, rafforzando il mercato interno dei Paesi che hanno imposto i dazi. Tuttavia in altre occasioni, come dopo la crisi del 1929, hanno avuto effetti contrari a quelli auspicati e hanno provocato danni economici e sociali. Sono molti gli economisti infatti secondo cui gli effetti negativi dei dazi in alcune circostanze superino quelli positivi. Anche oggi, i dazi entrati in vigore negli Stati Uniti per decisione del presidente Trump, secondo alcuni analisti potrebbero danneggiare il Paese che li ha introdotti.