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Cos’è, come agisce e dove si trova l’idrogeno solforato, il gas che ha ucciso 5 operai a Casteldeccia

L’idrogeno solforato è un gas velenoso e dal caratteristico odore di uova marce, che può provocare asfissia e morte in pochi respiri, soprattutto ad alte concentrazioni e in ambienti chiusi.

8 Maggio 2024
18:30
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Cos’è, come agisce e dove si trova l’idrogeno solforato, il gas che ha ucciso 5 operai a Casteldeccia
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Cinque operai sono morti a Casteldaccia, nel Palermitano, durante la manutenzione del sistema fognario della città. Dalle prime ricostruzioni, la tragedia è avvenuta a per via dell’inalazione di idrogeno solforato (H2S), conosciuto anche come acido solfidrico o solfuro di diidrogeno,un gas tossico e asfissiante che si accumula in fogne, aree stagne e ambienti chiusi. Questo gas dal caratteristico odore di uova marce è prodotto naturalmente dall'attività biologica e geologica, ma anche origini artificiali in quanto è uno prodotto di scarto di processi industriali. Alte concentrazioni possono provocare asfissia e morte in pochi respiri, e anche a basse concentrazioni può provocare irritazione polmonare e congiuntiviti.

Cos’è l’idrogeno solforato

L’idrogeno solforato è un gas naturalmente presente nell’ambiente. È altamente pericoloso per l’uomo, incolore, idrosolubile e con una densità maggiore dell’aria, ossia pesa di più, per questo tende ad accumularsi in basso negli ambienti chiusi. È infiammabile a temperatura e pressione ambiente e ha un caratteristico odore di uova marce a concentrazioni tra 0,70-14 µg/m3.

Una caratteristica che aumenta il pericolo di questo gas è che l’odore di uova marce si sente solo a basse concentrazioni, mentre quando la concentrazione di idrogeno solforato arriva intorno ai 210 µg/m3 l’odore non è più percepibile perché il gas “paralizza” il nervo olfattivo. Di fatto, se pensavate che l’odore di uova marce potesse essere un segnale d’allarme, alle concentrazioni che causano intossicazione questo odore non è più presente.

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Come si produce l’idrogeno solforato e dove si trova

Circa il 90% dell'idrogeno solforato presente nell’ambiente deriva da fonti naturali. Viene prodotto da batteri anaerobi (cioè che operano in assenza di ossigeno) che degradano proteine animali e vegetali in decomposizione: carcasse di animali, foglie e piante secche sono terreno fertile per questi batteri. Per questo alte concentrazioni di acido solfidrico sono normali in tutte le fogne – come quella di Casteldaccia – ma anche negli accumuli di letame usati nei concimi e nelle acque reflue o stagnanti.

Viene anche rilasciato tra i gas delle emissioni vulcaniche o in particolari aree geotermiche, per esempio quelle che danno origine alle acque sulfuree utilizzate in molte sorgenti termali. Per esempio, è uno dei gas rilasciati dalle fumarole dei Campi Flegrei.

Anche i batteri presenti nel nostro tratto gastrointestinale producono idrogeno solforato tramite la degradazione delle proteine che ingeriamo (e contribuisce all’odore tipico delle flatulenze). Inoltre sembra che sia coinvolto nei processi infiammatori e in quelli che regolano la crescita e la morte cellulare programmata.

Viene emesso anche da miniere di carbone e nei processi di estrazione e raffinazione del petrolio. È un prodotto di scarto di moltissimi processi industriali come la produzione di coke, di fertilizzanti, pigmenti, nella concia delle pelli, e nei processi di trattamento dei rifiuti e delle acque di scarico e delle aziende petrolchimiche.

Viene utilizzato in alcuni processi produttivi di aziende tessili e nelle cartiere che usano il metodo Kraft come intermedio per produrre altri reagenti a base di zolfo o come catalizzatore (una molecola che favorisce e velocizza reazioni chimiche).

Gli effetti sulla salute dell'idrogeno solforato

L’esposizione principale all’idrogeno solforato è l’inalazione. È fortemente irritante e asfissiante e agisce inibendo l’enzima citocromo ossidasi che permette alle cellule di utilizzare l’ossigeno. Agisce sulle mucose respiratorie e degli occhi, su cuore e cervello.

I primi sintomi si possono avere già a 150 mg/m3, soprattutto con irritazione agli occhi (cheratocongiuntivite). L’esposizione a livelli più alti, dai 1400 mg/m3, causa nausea, vomito e sintomi respiratori, con tosse, attacchi asmatici ed edema polmonare. A livello nervoso causa vertigini, confusione, mal di testa, sonnolenza, tremori e perdita di coscienza.

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Esposizioni massicce tra i 1500 e fino ai 18.000 mg/ m3 vengono rapidamente assorbite dal tessuto polmonare e causano immediata asfissia, anche dopo pochi respiri. Questo tipo di esposizione acuta a concentrazioni così elevate si raggiunge solo in rari casi, come perdite di gas industriali, o accumulo di idrogeno solforato in ambienti chiusi (come le cisterne) per esempio quando viene generato durante i processi di smaltimento delle acque reflue, dei pozzi neri e delle fognature.

L’esposizione cronica lavorativa o quella di persone che abitano vicino a fonti di idrogeno solforato e sono esposte per lunghi periodi a concentrazioni relativamente basse (dai 70 ai 140 mg/m3) può causare irritazione polmonare e oculare, difficoltà di concentrazione, emicrania e aumentare il rischio e l’incidenza di infezioni ai polmoni.

Sicurezza e protezione

Come riportato dall’ARPA Toscana, non esistono valori limite per le emissioni di idrogeno solfato, ma si fa solitamente riferimento a quelli indicati dall’OMS: 7 μg/m3 (concentrazione di breve periodo) e di 150 μg/m3 (concentrazione media giornaliera).

Per quanto riguarda la sicurezza, questo insidioso gas è inserito nella lista delle malattie professionali (D.M. 9 aprile 2008) tra gli altri “gas deleteri”, senza però una specifica indicazione per l’idrogeno solforato.

Secondo il decreto, la protezione dei lavoratori deve essere effettuata garantendo adeguata formazione degli operatori, l’utilizzo di appositi DPI (dispositivi di protezione individuale) e di sistemi per la rilevazione del gas.

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