I Campi Flegrei possono essere descritti come una grande area di origine vulcanica, da considerare attiva, che si trova nel golfo di Pozzuoli -a nord-ovest della città di Napoli, con un’estensione di circa 180-200 km2. I cittadini di questa zona, soprattutto della città di Pozzuoli, convivono con il bradisismo, ovvero il “respiro vulcanico”, causato da cicli di sollevamento e abbassamento del terreno a causa di risalita di fluidi magmatici. Purtroppo dal 2023 si è tornati a parlare parecchio dell'area a causa della crisi bradisismica in corso, con sciami sismici più frequenti e terremoti con magnitudo massime di 3.8 e 4.2.
L’area, vista dall’alto, mostra una morfologia molto particolare: non c’è un singolo edificio vulcanico che domina il paesaggio (come nel caso del Vesuvio, dell’Etna e di tutti i vulcani più celebri) ma è caratterizzata dalla presenza di tanti di coni vulcanici, generalmente poco elevati. Nella maggior parte dei casi i vulcani in questione sono monogenici, cioè prodotti da una singola attività eruttiva di tipo esplosivo.
Cosa sono i Campi Flegrei
Per Campi Flegrei si intende la vasta caldera vulcanica situata a nordovest di Napoli. Il nome datole dagli antichi è Phlegraea Pedia, che significa campi ardenti, e talvolta viene definito con il termine giornalistico "supervulcano". L’area è interessata anche dal fenomeno del bradisismo, cioè l’innalzamento e abbassamento periodico del livello della superficie.
Oggi il territorio flegreo è occupato dai comuni di Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida, nonché da buona parte del comune di Quarto e da alcuni settori dei comuni di Napoli (i quartieri di Bagnoli, Chiaia, Vomero, Arenella, Chiaiano, Pianura, Fuorigrotta, Agnano, Posillipo e Soccavo), di Giugliano in Campania (la frazione Lago Patria) e di Marano di Napoli. Gli abitanti complessivi sono circa 550.000.
Storia eruttiva dei Campi Flegrei
L’inizio dell’attività eruttiva risale a circa 60-80 mila anni fa e l’insieme delle eruzioni ha originato la caldera che osserviamo oggi, con i suoi 12 km di diametro. Per quanto riguarda il vulcanismo, i due eventi eruttivi principali sono sicuramente quello dell’Ignimbrite Campana (circa 39 mila anni fa) e quello del Tufo Giallo Napoletano (circa 15 mila anni fa).
Vulcanismo più antico di 39 mila anni
I resti delle eruzioni più antiche (principalmente tufi) sono osservabili attualmente solo nelle porzioni più esterne della caldera, lungo le scarpate che delimitano i Campi Flegrei. Molti di questi depositi sono sepolti con profondità variabili da qualche centinaia a poche migliaia di metri.
L’Ignimbrite Campana (39 mila anni)
La formazione dell’Ignimbrite Campana è il risultato dell’eruzione vulcanica più violenta dell’area mediterranea negli ultimi 200 mila anni. Un evento letteralmente epocale.
Vennero emessi 150 km3 di magma e la Campania venne seppellita da uno spesso strato di tufo. Più nel dettaglio, la ricostruzione ci suggerisce che l’eruzione pliniana sviluppò una colonna eruttiva di circa 44 km che, verso le fasi finali, collassò, creando nubi ardenti che raggiunsero i 50 km di distanza. Lo svuotamento delle due camere magmatiche, avvenuto in più fasi, permise la formazione della caldera che, all’epoca, comprendeva i Campi Flegrei, una parte di Napoli e le baie di Napoli e Pozzuoli.
Vulcanismo tra 39 mila e 15 mila anni
Anche in questo caso, le rocce eruttate in questo lasso di tempo sono visibili soprattutto nelle porzioni più esterne dei Campi Flegrei, sia sulla terraferma che sul fondale del Golfo di Napoli. Le eruzioni in questo periodo si sono verificate da centri eruttivi sviluppati all’interno della caldera, sia sulla terraferma che sotto al livello del mare.
Tufo Giallo Napoletano (15 mila anni)
Il secondo fenomeno eruttivo come importanza nell’area campana ha prodotto decine di metri cubi di magma, sufficienti a coprire un’area vasta circa 1000 km2. Nonostante lo sviluppo delle fasi eruttive sia piuttosto simile a quello dell’Ignimbrite Campana (si tratta infatti di eruzione pliniana in entrambi i casi), le cause scatenanti sono diverse: nel primo caso si pensa che si ebbe un aumento della pressione dei gas (il classico modello paragonabile al tappo di spumante che salta) mentre il secondo fu scatenato da importanti infiltrazioni di acqua che, interagendo con il magma, diedero luogo ad una cosiddetta eruzione freatomagmatica. I depositi associati a questa eruzione sono riscontrabili dalle pendici dell’Appennino fino alla Piana Campana e, durante questa fase eruttiva, si è verificato l’ultimo (per il momento) collasso della caldera che ha permesso di ottenere la conformazione attuale.
Vulcanismo dei Campi Flegrei più recente di 15 mila anni
In questo periodo di tempo possiamo riconoscere tre epoche di attività:
- tra 15mila e 9.5 mila anni fa: 34 eruzioni, una ogni 70 anni;
- tra 8.6 mila e 8.2 mila anni fa: 6 eruzioni, una ogni 60 anni;
- tra 4.8 mila e 3.8 mila anni fa: 20 eruzioni, una ogni 50 anni.
Tra un’epoca e l’altra abbiamo dei periodi di quiescenza, ovvero di temporanea inattività del vulcano.
Nel 1538 ha luogo l’ultima eruzione, quella del Monte Nuovo, dopo un periodo di quiescenza di circa 3000 anni. Fortunatamente per gli abitanti dell’epoca, fu una tra le meno intense della storia del Campi Flegrei.
Bradisismo flegreo
Più che per la passata attività vulcanica, i Campi Flegrei sono noti per un fenomeno unico nel suo genere: il bradisismo. Definito anche come “respiro vulcanico” è sostanzialmente un continuo sollevarsi e abbassarsi dell’area calderica.
Il fenomeno del bradisismo è stato anche il soggetto della copertina del primo testo geologico moderno, il Principles of Geology di Charles Lyell, con le colonne del Tempio di Serapide di Pozzuoli. Queste colonne presentano dei fori creati da organismi marini e testimoniano le variazioni del livello del mare nel corso dei secoli. In realtà, non è tanto il livello del mare a cambiare, quanto piuttosto il livello del suolo!
Tramite sensori distribuiti su tutto il territorio, l’Osservatorio Vesuviano monitora costantemente il livello del terreno, così da comprendere quando si è in fase di sollevamento o di discesa. Il problema è infatti legato alla fase ascendente: è quando la terra sale che si creano i terremoti. Questo lo sa bene chi, negli anni ‘70 e ‘80, ha vissuto in queste zone. Nel 1970-1972 e nel 1983-1984 parte della città di Pozzuoli fu evacuata a causa di continui sciami sismici legati a due intense crisi bradisismiche flegree che comportarono un sollevamento complessivo di 150-170 cm e 180 cm rispettivamente. Secondo l’INGV, dal 2005 si è avviata una nuova fase ascendente (la risalita totale al momento è di circa 45 cm). Questo è confermato dai frequenti sismi e dal monitoraggio delle fumarole che negli ultimi anni presentano una diversa composizione chimica, probabilmente legata alla risalita di magma e fluidi magmatici dalla camera magmatica più profonda.
Quella che in passato era chiamata “terra ballerina” oggi ospita più di 800 mila persone e rappresenta una delle zone con rischio vulcanico più elevato al mondo.
Cosa accadrebbe se i Campi Flegrei eruttassero?
È impossibile prevedere con esattezza cosa potrebbe succedere in caso di eruzione dei Campi Flegrei. In questo caso poi sono presenti difficoltà ancora più alte: solitamente si ha un’unica bocca di emissione, mentre qui le possibili bocche eruttive possono essere molteplici e in zone anche distanti le une dalle altre.
Tenendo conto che i Campi Flegrei sono uno dei vulcani più pericolosi del mondo, esistono diversi scenari, ciascuno caratterizzato da un diverso livello di esplosività e, quindi, di pericolosità. Secondo la Protezione Civile, una futura eruzione dei Campi Flegrei avrà un carattere esplosivo e consisterà nel lancio di bombe e blocchi nelle aree limitrofe al vulcano, mentre flussi piroclastici potrebbero estendersi per svariati chilometri prima di arrestarsi. Ceneri e lapilli percorrerebbero lunghe distanze e, a differenza di quanto accadrebbe in caso di eruzione del Vesuvio, la città di Napoli risulterebbe sottovento e, dunque, verrebbe probabilmente coinvolta.
Ovviamente, lo ripetiamo, non è possibile stabilire quando avverrà la prossima eruzione nell'area flegrea ma, in nostro aiuto, ci sono studi in corso. Quello di Eleonora Rivalta, ad esempio, si pone come obiettivo un calcolo statistico per ipotizzare da quali aree della caldera è più probabile che si abbiano eruzioni (Rivalta et al., 2019).
Stato attuale dei Campi Flegrei: c’è il pericolo di un’eruzione imminente?
Il rischio di un’imminente eruzione dei Campi Flegrei, come ribadito in precedenza, è impossibile da prevedere – anche se è già stato realizzato un eventuale piano di evacuazione. Attualmente l’area è sotto stretta sorveglianza e, stando ai dati relativi alle reti di monitoraggio, la Protezione Civile ha mantenuto il livello di allerta “giallo” nei Campi Flegrei – anche se non è da escludere un suo passaggio ad "arancione". A differenza del livello “verde”, che corrisponde alla normale attività del vulcano, questo è determinato dalla variazione di alcuni parametri monitorati, come la diversa composizione dei gas fumarolici o un aumento della concentrazione di terremoti.
Lo stato attuale dei Campi Flegrei è riportato settimanalmente dal bollettino dell’INGV che, oltre ad un resoconto dei parametri misurati, fornisce informazioni in merito ad anomalie nell’attività del vulcano. Secondo quando riportato dalla letteratura scientifica poi si ipotizza la presenza di magma a bassa profondità proprio al di sotto dell'area flegrea, nonostante ciò non ci dia informazioni in merito ad un'imminente eruzione.
Per quanto riguarda i terremoti, nei primi mesi del 2024 sono stati registrati dei valori record per l'area: ci riferiamo in particolare alla scossa di magnitudo 4.4 del 20 maggio. Questo è in linea con il sollevamento del terreno che, nel solo mese di aprile 2024, ha fatto registrare un incremento di 2,5 centimetri, un valore più che doppio rispetto alla media dei precedenti tre mesi.
Per approfondire, ecco un mini-documentario realizzato in collaborazione con FanPage sulla possibile eruzione dei Campi Flegrei: