;Resize,width=638;)
Che la musica sia un sottofondo onnipresente nella vita umana è un dato di fatto e che si stia semplificando nel tempo, pure. Questo è perlomeno la conclusione a cui è giunto lo studio condotto da un team di ricercatori dell'Università La Sapienza di Roma e dell'Università di Padova, dove sono stati analizzati qualcosa come 20.000 composizioni di vari generi, tra cui classica, jazz, rock, pop, hip-hop ed elettronica. I dati mostrano un calo costante della complessità musicale, con strutture sempre più prevedibili e ripetitive. Questa tendenza è riscontrabile non solo nei generi più recenti, ma anche nella stessa musica classica e jazz, storicamente caratterizzate da strutture armoniche più elaborate. Tra i fattori principali di questo cambiamento emergono la democratizzazione della produzione musicale, l'accesso a tecnologie avanzate e il ruolo degli algoritmi di streaming, che sembrano favorire brani più semplici e immediati. La questione è aperta: stiamo assistendo a un impoverimento musicale o a un adattamento naturale ai nuovi tempi e alle nuove modalità di consumo della musica?
Il processo di semplificazione della musica: melodie sempre più ripetitive
Se guardiamo alla storia della musica, notiamo come in passato le composizioni fossero spesso caratterizzate da strutture articolate, armonie complesse e un'ampia varietà di transizioni tra le note. Pensate alle opere di Beethoven o ai brani jazz di Coltrane e Davis: la loro ricchezza melodica si traduceva in un'esperienza di ascolto variegata e stratificata. Al contrario, oggi le canzoni di successo tendono a essere costruite attorno a poche note ripetute, con ritornelli facilmente memorizzabili e schemi armonici più semplici. Per verificare scientificamente questa percezione, i ricercatori dell'Università La Sapienza di Roma e dell'Università di Padova hanno applicato strumenti della scienza delle reti, un campo che studia le connessioni e le interazioni all'interno di sistemi complessi, hanno rappresentato ogni composizione come una rete in cui le note erano nodi e le transizioni tra di esse formavano collegamenti, misurandone così la varietà e la complessità strutturale.
I risultati sono chiari: negli ultimi decenni la varietà delle transizioni tra le note è diminuita, e i brani tendono a presentare una maggiore ripetitività. Se la musica classica e il jazz mantengono ancora una complessità superiore rispetto a pop, rock e hip-hop, anche questi generi storici stanno subendo un processo di semplificazione evidente. Per esempio, nella musica classica contemporanea si osserva una minore varietà nelle transizioni armoniche rispetto al passato, mentre nel jazz si registra una tendenza a ridurre le variazioni melodiche. Al contrario, generi più “mainstream” come pop e rock mostrano strutture fortemente ripetitive, caratterizzate da un elevato livello di reciprocità nelle note, ovvero dalla tendenza a riutilizzare gli stessi intervalli e le stesse progressioni.

Perché le canzoni diventano più semplici
Ma quali sono le cause di questa trasformazione? Un primo fattore è sicuramente l'evoluzione tecnologica. Un tempo, la creazione musicale richiedeva competenze approfondite e strumenti specifici, mentre oggi chiunque può produrre una traccia utilizzando un computer e un software. Questa “democratizzazione” ha reso più accessibile la musica, ma ha anche favorito l'adozione di strutture più semplici, spesso guidate dalle possibilità offerte dai tool digitali. Inoltre, l'industria musicale è cambiata profondamente con l'avvento dello streaming. Piattaforme come Spotify, Apple Music e YouTube Music, utilizzano algoritmi per suggerire brani agli utenti, e questi sistemi premiano spesso le canzoni più immediate e orecchiabili. Un brano con un ritornello semplice e ripetitivo ha maggiori probabilità di essere ascoltato più volte, aumentando la sua diffusione e innescando così un circolo vizioso (o virtuoso, dipende dai punti di vista) che porta gli utenti a preferire brani semplici e diretti.
Un altro aspetto da considerare è la crescente velocità con cui i contenuti vengono consumati. Fateci caso: l'attenzione del pubblico (tutti noi compresi, nessuno escluso) è sempre più frammentata, e le hit di successo tendono a conquistare l'ascoltatore nei primi secondi e ad avere una “vita utile” più breve rispetto ai brani del passato, alcuni dei quali vivono ancora oggi. Questo ha portato i produttori a privilegiare strutture essenziali, con melodie facili da ricordare e ritmi coinvolgenti.
Potremmo dire, quindi, che la semplificazione musicale non è necessariamente un difetto, ma piuttosto un adattamento alle nuove modalità di fruizione musicale. Del resto, anche in passato brani con armonie relativamente semplici hanno avuto un impatto enorme: basti pensare ai Beatles, che hanno creato capolavori senza necessariamente ricorrere a strutture complesse.
Qual è il futuro della musica
La domanda che sorge spontanea a questo punto però è: dove ci porterà questa tendenza? Se la musica continuerà a semplificarsi, arriveremo a un punto in cui l'innovazione sarà limitata? Oppure assisteremo a un ritorno della complessità, come reazione naturale alla ripetitività attuale? È difficile fare previsioni al momento, soprattutto considerando il fatto che a influire pesantemente il mercato musicale sarà anche l'intelligenza artificiale.