
L'idea del metaverso è stata un flop? Anche se il progetto proposto da Meta di Mark Zuckerberg è in buona parte finito nel dimenticatoio, secondo diversi esperti ciò che sta avvenendo non è una fine, ma una trasformazione.Fino a qualche anno fa nel mondo tech si sentiva sempre più parlare di “metaverso”. Ci si immaginava un ambiente digitale tridimensionale dove avremmo lavorato, socializzato e acquistato beni virtuali con continuità, come una naturale estensione della nostra vita quotidiana. L'uso del condizionale è d'obbligo, visto che il metaverso, almeno per la maggioranza di noi, è finito nel dimenticatoio, il che è paradossale visto che alcuni colossi della tecnologia credevano tanto nel metaverso al punto tale che qualcuno, Facebook, Inc., nel fare un totale rebranding cambiò il suo nome in Meta Platform, Inc.. Con il passare degli anni, però, l'interesse per il metaverso si è progressivamente affievolito: l'adozione da parte degli utenti non ha seguito l'hype iniziale, i mercati collegati agli NFT (token non fungibili, certificati digitali di proprietà) hanno subìto forti crolli, l'uso quotidiano non è decollato e le aziende che stavano puntando fortemente sul metaverso hanno ridimensionato i loro progetti.
Il linguaggio sta cambiando: sempre più spesso si parla di “calcolo spaziale”, cioè la fusione tra digitale e reale tramite visori più sofisticati e sistemi di riconoscimento dell'ambiente. L'idea non sarebbe quindi tramontata, ma si starebbe spostando dalle promesse futuristiche di qualche anno fa all'implementazione graduale in contesti mirati, soprattutto in ambienti professionali come quello sanitario e industriale. Se oggi non se ne parla come prima, è perché sta uscendo dalla fase dell'entusiasmo incontrollato, entrando in una crescita più lenta ma anche più matura e concreta.
Molti ricercatori che lavorano su queste tecnologie da decenni sostengono che la visione non sia stata abbandonata. Louis Rosenberg, tra i pionieri della realtà mista fin dagli anni ’90, ritiene che ciò che sta cambiando sia soprattutto il modo in cui descriviamo il fenomeno. A suo avviso, il futuro non prevede una separazione netta tra vita fisica e digitale: penseremo semplicemente alla nostra esperienza quotidiana come a un unico ambiente, dove elementi virtuali saranno integrati nello spazio reale in modo naturale. Rosenberg ha infatti affermato:
Penseremo solo a una vita, a una realtà, e sarà un mondo combinato del reale e del virtuale. Questo è il metaverso.
Anche figure del mondo aziendale, come Roberto Hernandez, responsabile della strategia e dell'esperienza del cliente presso PwC US, invitano a non interpretare il rallentamento come un fallimento definitivo. Hernandez ha paragonato questa fase alle critiche rivolte a Internet nei primi anni 2000, quando molti lo definivano una moda passeggera, e ha detto:
Vedo alcune somiglianze tra le persone che sostengono che il metaverso abbia fallito e quelle che nel 2000 definivano Internet “una moda passeggera”. Non solo il metaverso non è morto, ma stiamo assistendo all'inizio di una nuova fase di crescita di tutte le tecnologie immersive.
Una parte della colpa che ha portato molti a vedere il metaverso come spacciato va senz'altro ricercata nel cosiddetto “ciclo dell'hype” che ha interessato questa tecnologia: una fase iniziale di entusiasmo, un picco di aspettative molto elevate e un successivo ridimensionamento più realistico. La pandemia di COVID-19 ha accelerato l'entusiasmo, dato che l'idea di ritrovarsi e lavorare in ambienti digitali sembrava una soluzione concreta all'isolamento. Ma una volta tornati alle interazioni di persona, molte persone hanno sentito il bisogno opposto, cioè ristabilire contatti reali, nel mondo fisico. Inoltre, la resa grafica poco convincente e i visori ancora ingombranti hanno ulteriormente contribuito a raffreddare l'interesse.
Un altro elemento chiave riguarda il linguaggio. Per anni si è parlato di VR, AR (realtà aumentata) e MR (realtà mista). Quando Facebook ha lanciato il termine “metaverso”, questo ha assunto un significato molto più grande di quello che l'industria poteva concretamente offrire. Apple ha recentemente introdotto il termine “spatial computing” per indicare l'uso di visori in grado di sovrapporre elementi digitali allo spazio fisico (come il suo Vision Pro). Questa scelta ha reso il metaverso meno centrale, spostando l'attenzione su applicazioni più pratiche.
Il rallentamento deriva anche da fattori economici: investimenti miliardari senza ritorni immediati, aziende di grosse dimensioni (come Disney) che hanno smesso di avere un serio interesse per l'argomento e il declino dei mercati legati agli NFT hanno rafforzato lo scetticismo. Inoltre, l’ascesa rapidissima dell'intelligenza artificiale generativa ha attratto buona parte dell'attenzione mediatica e degli investimenti.
Eppure, mentre l'uso per l'intrattenimento si è sgonfiato, l'applicazione in ambiti professionali è cresciuta. Oggi esistono ambienti immersivi per l'addestramento di operatori sanitari, simulazioni utilizzate dalla polizia per gestire situazioni delicate, piattaforme per preparare avvocati a processi complessi o per testare componenti industriali irreplicabili nel mondo reale. In ambito sanitario, alcune aziende hanno mostrato che la formazione in VR può migliorare significativamente le performance operative. Nell'industria, i gemelli digitali permettono di valutare il comportamento di un motore in condizioni impossibili da riprodurre fisicamente. Insomma, con il passare del tempo si è compreso quante opportunità possa ancora avere il metaverso in ambito professionale.
Sono diversi gli esperti a sottolineare come il futuro del metaverso – o meglio, delle tecnologie immersive che ne costituivano il nucleo – non sia da ricercare nel mondo consumer, almeno non nell'immediato. Ad esempio Ramesh Vishwanathan, direttore senior di TEKsystems, ritiene che i progressi nelle interfacce tra esseri umani e sistemi digitali porteranno a una fusione sempre più naturale tra ambiente reale e contenuti virtuali, senza risultare invadenti. A suo dire, il percorso più concreto verso la diffusione del metaverso passa attraverso la tecnologia dei gemelli digitali: repliche tridimensionali di macchinari, impianti o processi reali, utili per progettare, testare o effettuare manutenzione in condizioni impossibili da riprodurre fisicamente. In altre parole, il metaverso potrebbe diventare un pilastro della gestione e dell'innovazione nelle infrastrutture industriali, più che un nuovo spazio sociale.
Una visione complementare viene da Chris Mattmann, Chief Technology & Innovation Officer presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA. Mattmann prevede che la traiettoria più plausibile sia quella in cui la realtà mista si combina con l'AI generativa, grazie a modelli multimodali in grado di interpretare simultaneamente immagini, suoni e testo. Un esempio concreto è rappresentato dai nuovi Ray-Ban Display sviluppati da Meta: tramite una semplice foto è possibile chiedere all'AI di identificare ciò che si sta guardando, riconoscere persone, interpretare cartelli stradali in tempo reale, e così via. È in queste integrazioni silenziose ma utili, secondo Mattmann, che si sta delineando la prossima evoluzione della nostra interazione con il digitale.
Sul tema del linguaggio interviene invece Mike Buob, vicepresidente per l'innovazione di Sogeti (divisione di Capgemini). Buob sostiene che il termine “metaverso” potrebbe aver ormai accumulato una connotazione troppo negativa, legata alle promesse non mantenute del periodo di massimo hype. Le tecnologie continueranno a evolversi, ma probabilmente sotto nuovi nomi: spatial computing, esperienze immersive, esperienze 3D in tempo reale, e così via. In altre parole, il concetto resta, cambia solo l'etichetta.
Anche se abbiamo appurato che il metaverso non è morto come sostengono alcuni, non si possono nemmeno ignorare le sfide importanti che bisogna fronteggiare per il suo sviluppo, in primis la protezione dei dati sensibili e la moderazione dei contenuti in mondi virtuali. Se queste sfide verranno superate o meno, sarà solo il tempo a rivelarcelo.