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A partire dal 2013 misteriosi crateri sono comparsi sulla superficie del permafrost della tundra siberiana, il primo dei quali nella penisola dello Yamal, una regione nord-occidentale della Siberia. Un recente studio pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters guidato da ricercatori dell’Università di Cambridge propone una nuove ipotesi per spiegare la formazione di queste strutture: alla base del fenomeno ci sarebbe un processo di osmosi tra le acque di fusione che si infiltrano nel sottosuolo e gli strati di acqua salata presenti nei criopeg (lenti di acqua salata) a una profondità di circa 50 metri. Le variazioni di pressione nel sottosuolo causerebbero la fratturazione del terreno congelato e la rapida decomposizione dei gas idrati di metano presenti nel permafrost, il cui rilascio in atmosfera avviene con una violenta esplosione.
Il primo cratere, che potete vedere nella foto in testa a questo articolo, apparve nell’autunno 2013 e ottenne subito una notevola risonanza mediatica a livello mondiale. Aveva un diametro di circa 30 metri, con una fascia di detriti larga 20 metri estesa attorno al bordo. Non vi erano segni di attività umana né tracce di un possibile impatto meteorico. Negli anni successivi, numerosi altri crateri furono rinvenuti nella Penisola dello Yamal, tutti aventi le medesime caratteristiche.
La presenza di tracce di metano sul fondo dei crateri suggeriva che la loro formazione fosse associata al rilascio di questo idrocarburo dai gas idrati presenti nel sottosuolo del permafrost siberiano. I gas idrati sono composti solidi formati da acqua e gas che si trovano in condizioni di alta pressione e basse temperature, come sui fondali oceanici e nel permafrost. L’aumento delle temperature nella tundra e il conseguente fusione parziale del permafrost avrebbero destabilizzato i gas idrati, provocando il rilascio di metano e la formazione dei crateri. Tuttavia, secondo i ricercatori dell’Università di Cambridge, la sola fusione del permafrost non sarebbe sufficiente a causare un’esplosione e a spiegare la formazione dei crateri.

L’assenza di tracce di elevate temperature nei crateri suggerisce un’origine fisica, piuttosto che chimica, del fenomeno esplosivo. Attraverso simulazioni in laboratorio, i ricercatori hanno individuato come causa il processo di osmosi, ovvero il movimento di fluidi attraverso una membrana semipermeabile da una soluzione meno concentrata a una più concentrata.
Nella Penisola dello Yamal, il permafrost è costituito da suoli argillosi congelati che localmente raggiungono spessori superiori a 300 metri. Al loro interno, a una profondità inferiore ai 50 metri, si trovano i criopeg (o cryopegs), cioè delle lenti di acqua salata risalenti al Pleistocene che impediscono il congelamento di porzioni di terreno criotico (che fa parte del permafrost). I sali disciolti abbassano infatti il punto di congelamento della soluzione acquosa. Queste lenti di acqua salata si trovano immediatamente al di sopra dei gas idrati di metano, stabili ad alte pressioni e basse temperature.

A causa dell’aumento delle temperature, una porzione più estesa di permafrost superficiale fonde stagionalmente, il cosiddetto livello attivo superficiale. L’acqua prodotta si muove verso il basso, per osmosi, fino a raggiungere i criopeg, che occupano un volume relativamente ristretto di terreno. Questo afflusso d’acqua causa un aumento delle pressioni interstiziali, portando alla fratturazione del permafrost sovrastante i criopeg. Il gradiente di pressione si inverte poi nel momento in cui le fratture raggiungono la superficie, causando una caduta delle pressioni nel sottosuolo e la destabilizzazione dei gas idrati, con conseguente rilascio repentino di metano accompagnato da un’esplosione. L’intero processo può durare svariati decenni e sembra coincidere con l'aggravarsi delle condizioni di aumento delle temperature medie nell’area a partire dagli anni ’80.
Secondo gli autori, le esplosioni in sé sono un fenomeno locale e poco frequente; tuttavia, il rilascio di metano in atmosfera può avere un impatto significativo contribuendo al riscaldamento globale.