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21 Ottobre 2024
6:00

Nanoplastiche nell’acqua, solventi eco-friendly potrebbero aiutare a rimuoverle: ecco come

Le nanoplastiche sono tra gli inquinanti emergenti più osservati, per i possibili effetti sull'uomo e per l'accumulo nella catena alimentare. Diversi studi puntano quindi a trovare metodi rapidi e non inquinanti per eliminarle dalle acque di mari, fiumi e laghi. Vediamo come funzionano.

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Nanoplastiche nell’acqua, solventi eco-friendly potrebbero aiutare a rimuoverle: ecco come
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Credit: Brian Yurasits, via Unsplash

Le nanoplastiche, particelle minuscole derivanti dalla degradazione della plastica, sono ormai diffuse ovunque e rappresentano un possibile rischio per la salute umana e l'ambiente. Possono accumularsi negli organi attraverso la catena alimentare, con possibili effetti negativi sul sistema endocrino e riproduttivo. Di conseguenza, sono state studiate diverse tecniche per rimuoverle dall'acqua, come la filtrazione, l'uso di batteri e l'utilizzo di speciali solventi idrofobici. Quest'ultima tecnica, basata sull'estrazione liquido-liquido, ha mostrato risultati promettenti in laboratorio e potrebbe essere applicata su larga scala.

Perché le nanoplastiche nell'acqua sono un problema

La plastica ha avuto un impatto enorme sul mondo, permettendo avanzamenti nei campi più disparati, dalla conservazione dei cibi ai trasporti e, in generale, alla produzione di oggetti durevoli ed economici per la vita di tutti i giorni. Purtroppo, soprattutto a partire dallo scorso secolo ed in particolare dagli anni '50, l'esplosiva diffusione dei prodotti plastici è andata a pari passo con l'accumulo di rifiuti, spesso non recuperati adeguatamente o riciclati, saturando l'ambiente che ci circonda di sostanze non biodegradabili.

I problemi derivati dai manufatti abbandonati sono evidenti a tutti: basta pensare alle reti da pesca, perse o gettate in mare e spesso trappole involontarie per la fauna marina, o alle buste di plastica spesso ritrovate nello stomaco di questi animali. Molto più subdoli sono però i rischi dovuti alle particelle plastiche più piccole, generate dalla lentissima degradazione del materiale.

Le particelle si dividono in microplastiche, con dimensioni tra i 5 millimetri e 1 µm (un millesimo di mm) e nanoplastiche, particelle con diametro inferiore a 1 µm: sono diffuse ormai in tutto il mondo, dai nostri laghi ai ghiacci dell'Artico.

A causa della loro dimensione, le nanoplastiche in particolare possono passare al sistema circolatorio durante la digestione del cibo, per poi accumularsi in organi come i reni; questo favorisce la bio-magnificazione, ossia l'aumento di concentrazione dalle prede ai predatori lungo la catena alimentare.

In questo modo, le nanoplastiche possono arrivare anche nei nostri piatti: i pericoli per la nostra salute sono, ancora oggi, fonte di studi, ma si ipotizzano effetti sul sistema endocrino (regolazione degli ormoni) e su quello riproduttivo.

Come rimuovere le nanoplastiche dall'acqua

Per rimuovere le nanoplastiche sono stati studiati diversi approcci: il primo e più semplice è sicuramente la filtrazione con membrane apposite, che come un minuscolo "colapasta" possano far passare l'acqua trattenendo le particelle plastiche. Si tratta però di un metodo difficilmente applicabile a grandi corpi d'acqua come laghi o mari. Altre possibilità sono l'utilizzo di batteri, funghi o altri animali in grado di degradare la plastica.

Recenti studi puntano invece all'utilizzo di speciali solventi, non tossici e facilmente separabili dall'acqua. Il principio utilizzato è quello dei "solventi idrofobici con punto eutettico profondo": questo termine complicato indica due componenti che non si legano all'acqua (sono quindi idrofobici, come l'olio) e che vedono ridursi il loro punto di fusione quando miscelati (si parla di miscela eutettica, come l'acqua e sale che congela a temperature minori dell'acqua pura).

Se mescolati (emulsionati) in acqua, questi solventi possono "catturare" le sostanze organiche come la plastica, nel caso dello studio particelle di polistirene a diverse dimensioni. La miscela tende naturalmente a separarsi dall'acqua, concentrando e portando a galla le nanoparticelle disperse per favorirne la rimozione.

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Il meccanismo di eliminazione delle nanoplastiche è una "estrazione liquido–liquido", una tecnica che sfrutta la maggior affinità di un liquido verso le sostanze discolte o disperse in un altro per favorirne la "migrazione": i due liquidi (nel nostro caso, l’acqua e la miscela di solventi) devono poter formare fasi separate (i diversi "strati"), come l’olio e l’acqua.

I test in laboratorio hanno mostrato promettenti risultati per alcune miscele, tra cui quelle di timolo/mentolo e o tra sali di ammonio e acidi organici, e funzionano sia in acqua salata che dolce. L'obiettivo è adesso riprodurre, in scala più grande, i meccanismi analizzati in laboratorio, nonchè ricercare le miscele più efficaci e più facilmente riutilizzabili.

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