Il mar Mediterraneo ha visto tra il 2022 e il 2023 l'ondata di calore più lunga dal 1981. Il dato eccezionale emerge da una ricerca del progetto CAREHeat (deteCtion and threAts of maRinE Heat waves), finanziata dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), condotta in Italia da ENEA e Cnr, e pubblicata sulla rivista Environmental Research Letters, che mira a sviluppare nuove metodologie per prevedere e identificare le ondate di calore, comprenderne la propagazione e gli impatti su ambiente, biodiversità e attività economiche, come pesca e acquacoltura.
Nella ricerca sono stati incrociati i dati satellitari con quelli provenienti dalle osservazioni in situ effettuate dalla stazione climatica di Lampedusa, l’unico sito in Europa in grado di fornire informazioni sulle interazioni fra vegetazione, atmosfera ed oceano sia negli scambi di carbonio che in tutti i processi e scambi di energia che regolano il clima della regione. Inoltre, grazie all’utilizzo di simulazioni modellistiche e sistemi di elaborazione dati all’avanguardia, i ricercatori hanno potuto caratterizzare l’anomalia che ha interessato il periodo in questione.
Il mar Mediterraneo si conferma un hot spot del cambiamento climatico
Come abbiamo già ribadito più volte, il Mare Nostrum è considerato un vero e proprio hot spot del cambiamento climatico in atto, ovvero una delle aree del nostro Pianeta in cui gli effetti del Global Warming vengono accelerati e amplificati, manifestandosi dunque più velocemente e intensamente che altrove.
Ma cosa si intende per ondata di calore marina? Un pò come accade per le ondate di calore sulla terraferma, si registra un riscaldamento del mare anomalo, con valori superiori alla norma che persistono per giorni o settimane. Purtroppo, con la crisi climatica globale, ci troviamo a dover sperimentare ondate di calore marine più intense, frequenti e durature.
Come se non bastasse, le ondate di caldo del Mediterraneo, così come in ogni altro bacino, causano danni non solo agli ecosistemi locali, ma anche alla nostra economia: l’aumento anomalo delle temperature provoca un aumento dello stress per la vita sottomarina, causando morie e perdite di biodiversità, anche più in profondità.
Tra maggio 2022 e maggio 2023 la peggiore ondata di calore dal 1981
L'estate del 2022 la ricordiamo per essere stata una delle più calde e siccitose mai registrate in Europa: l'ostinata persistenza di condizioni anticicloniche di origine africana – a cui sappiamo si associano sole, tempo stabile e caldo – ha causato un aumento considerevole delle temperatura non solo della terraferma, ma anche della superficie marina.
Ad inizio primavera 2022 le temperature superficiali del Mediterraneo risultavano essere nella norma climatica del periodo, ma a partire da maggio la temperatura ha iniziato ad aumentare sensibilmente. Dal giorno 8 dello stesso mese l’anomalia è schizzata verso gli 1,5 °C in meno di una settimana. Il riscaldamento è stato eccezionale specie nei settori occidentali, dove localmente si sono raggiunte temperature 4 °C più elevate rispetto al normale. Nelle settimane successive si sono susseguiti nuovi cali e rialzi delle temperature. A luglio 2022 un’ondata di caldo intensa ha interessato il Mediterraneo occidentale e lo Ionio: in questa fase le anomalie hanno raggiunto i 5 °C di differenza. Nei mesi successivi l’anomalia complessiva è sempre rimasta tra 1 e 1,5 °C, fino al mese di ottobre. Tra novembre e dicembre l’ondata di calore sembrava volgere al termine, invece si è assistito ad un nuovo aumento delle anomalie, con un nuovo picco a gennaio 2023.
Nonostante i picchi siano paragonabili a quelli raggiunti durante la bollente estate 2003, secondo gli scienziati questa intensa ondata di caldo marina è stata decisamente più lunga: quella del 2003 è durata da giugno a novembre, quella del 2022 è durata ben 12 mesi.
Le cause dell'ondata di calore anomala nel Mediterraneo
A contribuire alla eccezionale durata dell’ondata di calore marina è stato anche il vento, considerato una delle cosiddette "forzanti atmosferiche" che condizionano mari e oceani. Il vento, inducendo ad un rimescolamento verticale del calore tra la superficie del mare e gli strati sottostanti, ha fatto sì che sotto la superficie venisse immagazzinata energia in eccesso, favorendo così la persistenza di anomalie calde per diversi mesi.
A questo si è aggiunta la configurazione atmosferica autunnale e invernale che ha visto una sostanziale prosecuzione e prevalenza di condizioni anticicloniche, con assenza di precipitazioni piovose e nevose, prolungando l’ondata di calore ai mesi climaticamente più freddi.
Gianmaria Sannino, responsabile della Divisione modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali di ENEA, ha commentato i dati emersi da questa ricerca affermando:
I risultati di CAREheat ci mettono davanti agli occhi solo alcuni dei segnali del cambiamento climatico, ma dobbiamo essere consapevoli che siamo solo agli inizi di un processo più ampio e che ci troviamo di fronte a segnali di ciò che accadrà in modo sempre più frequente. In questo contesto, la ricerca è e sarà un elemento chiave per informare e guidare le politiche ambientali future, come d’altronde ha stabilito finalmente la COP28: infatti, saranno i risultati dell’ultima Conference of the Parties di Dubai a guidare l’aggiornamento dei piani d’azione climatica nazionali per il 2025, per un intervento più ambizioso e finanziamenti mirati.