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14 Febbraio 2023
12:30

Non ci sono solo cervelli in fuga dall’Italia: i dati sull’emigrazione negli ultimi 10 anni

L'Italia negli ultimi dieci anni ha visto espatriare moltissime persone, l'equivalente della popolazione di Genova, verso Paesi più competitivi dal punto di vista lavorativo. Sono solo "cervelli in fuga" o c'è anche qualcun altro?

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Non ci sono solo cervelli in fuga dall’Italia: i dati sull’emigrazione negli ultimi 10 anni
cervelli in fuga dall'italia

Crisi di natalità, invecchiamento della popolazione e "fuga di cervelli" all'estero sono alcuni degli aspetti che suscitano maggiore interesse nel dibattito pubblico e scientifico italiano, per la paura delle ripercussioni sul futuro del Belpaese. In totale, negli ultimi 10 anni sarebbero partiti circa 580 mila italiani. La fuga di cervelli, però, cioè l'emigrazione in Paesi più competitivi di persone con un alto livello di istruzione, formazione e professionalità, è solo un aspetto di un fenomeno complesso e molto articolato. Per intenderci, solo 1 italiano su 4 che emigra ha la laurea. Vediamo le caratteristiche del fenomeno.

Cosa si intende per "fuga di cervelli"?

L’espressione “fuga di cervelli”, in inglese brain drain, è utilizzata per indicare la migrazione di persone altamente qualificate che, dopo essersi istruite e formate in un Paese, si trasferiscono e lavorano in un altro.

Questo fenomeno è rappresentato come un problema e l’espressione stessa “fuga di cervelli” ha una connotazione negativa, per significare l’enorme perdita a cui uno Stato va incontro sia dal punto di vista economico (l’investimento che lo Stato ha fatto per l’istruzione e la formazione dei propri cittadini), sia dal punto di vista competitivo (i laureati prestano la propria conoscenza e ingegno all’estero).

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La dimensione del fenomeno

Secondo i dati Istat negli ultimi dieci anni si sono “persi” 580 mila italiani: come se, all’improvviso, fosse sparita la città di Genova.

Oltre il 60% degli emigrati si è diretto verso il Regno Unito, la Germania, la Francia e la Svizzera. Interessante è l’incidenza di laureati tra gli emigrati per ciascun Paese di destinazione: la percentuale di laureati si aggira tra il 21% e il 22%, un dato significativo, ma inferiore a quello dei laureati italiani che raggiungono altri Paesi. Segno che, vista la facilità di spostamento, questi Stati attraggono anche manodopera italiana poco qualificata. La maggiore incidenza di laureati si registra invece tra gli emigrati italiani che si stabiliscono nei Paesi Bassi (45,1%) e in Belgio (39,1%), caratterizzati probabilmente da posti di lavoro in grandi imprese, nelle Università e nelle istituzioni europee.

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Chi riguarda? L'identikit di chi emigra

Quando si parla di emigrazione verso l’estero, nell’immaginario collettivo una delle immagini più diffuse, complici i mezzi comunicazione, è quella della “fuga dei cervelli”, ovvero dell’emorragia di giovani laureati. In realtà, tra i 120 mila italiani che nel 2020 hanno lasciato il Paese, solo il 25,8% ha un titolo di studio elevato (laurea). Al contrario, 3 emigranti su 4 hanno un titolo medio-basso. Più del 40%, addirittura, non ha nemmeno il diploma di maturità.

Non esiste quindi un profilo unico di chi emigra. Ci sono diversi fattori che influiscono sulla scelta di partire:

  • Il fattore socio-economico: in breve, troviamo sia laureati che hanno un’elevata origine sociale, che hanno ottenuto buoni voti di laurea e che hanno frequentato corsi di studio altamente professionalizzanti (come i corsi di laurea del settore tecnico e ingegneristico), sia una forte componente migratoria composta da persone poco istruite e di bassa estrazione sociale, che spesso si dirigono dalle regioni del Mezzogiorno verso le classiche destinazioni internazionali (Germania, Francia, Svizzera) e interne (Lombardia, Emilia Romagna, Veneto).
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  • Il fattore temporale e geopolitico: le migrazioni intra-europee hanno avuto uno slancio a partire dagli accordi di Schengen. Considerare la libera circolazione europea ci permette di valutare in maniera più appropriata le tendenze più recenti del fenomeno.
  • Il fattore geografico: nelle zone di confine si registrano elevati livelli di emigrazione (come nei grandi centri metropolitani del Centro-Nord e in alcune regioni del Sud). Questa situazione fa emergere quanto la vicinanza ad altri Paesi europei funga da stimolo per favorire i legami tra le diverse aree del Paese e gli stati esteri, e indica, al contempo, il peso che la vecchia emigrazione ha tuttora in alcune parti del Mezzogiorno nel sostenere le uscite.

Fuga o circolazione delle persone?

Se per lungo tempo le migrazioni altamente qualificate sono state analizzate come movimenti unidirezionali, che cioè partivano dai Paesi in via di sviluppo per arrivare ai Paesi sviluppati e causate da scelte autonome degli individui che cercano di ottimizzare il rendimento della loro istruzione, oggi il fenomeno è più complesso. Si osserva:

  • l’emergere di nuove mete delle migrazioni qualificate (in quelli che erano considerati Paesi in via di sviluppo),
  • la presenza di scambi “concordati” di professionisti tra Paesi,
  • l’azione delle multinazionali che trasferiscono personale in varie parti del globo,
  • l’aumento delle migrazioni temporanee,
  • l’aumento delle migrazioni di ritorno.
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Oggi viviamo in un mondo globalizzato dove i modelli di sviluppo economico sono sempre più incentrati sull’applicazione della conoscenza e dell’informazione, con un incremento della produzione di beni immateriali, una maggiore centralità della conoscenza scientifica e una crescente importanza della forza lavoro altamente qualificata.

La crescita della mobilità per studio e lavoro è quindi del tutto coerente con i processi di sviluppo di questo secolo. Dopotutto, la possibilità di viaggiare con tempi e costi contenuti si è enormemente ampliata, ma è cambiato anche l’atteggiamento delle nuove generazioni, vogliose di spostarsi e interagire con culture e realtà differenti dalla propria.

La mobilità internazionale

La mobilità internazionale non è un male assoluto, se concepita come un incremento delle opportunità di formazione e apprendimento: pensiamo a tutti i programmi internazionali basati sugli scambi tra Paesi, l’arricchimento delle proprie esperienze, la possibilità di ampliare la rete di relazioni, la crescita dell’autonomia, l’apertura mentale.

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L’ideale per un Paese non è quindi la situazione di mobilità zero. Il problema dell’Italia non sono i tanti "cervelli" che se ne vanno, ma i pochi che fanno il percorso inverso. La condizione ottimale è la circolazione, cioè la possibilità di poter andare, ma con la stessa facilità poter fare il percorso inverso e tornare. Non a caso, i Paesi più dinamici e competitivi, operano scelte strategiche investendo proprio in questa direzione.

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