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23 Dicembre 2023
8:08

La fotografia della povertà alimentare in Italia, tra luoghi comuni e dati inaspettati

La povertà alimentare in Italia colpisce 6 milioni di persone. Sfatiamo alcuni falsi miti su questo fenomeno attraverso i dati dell'ultimo rapporto di ActionAid.

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La fotografia della povertà alimentare in Italia, tra luoghi comuni e dati inaspettati
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Sei milioni di persone nel nostro Paese si trova in una condizione di povertà alimentare: a rivelarlo il quarto rapporto sulla povertà alimentare di ActionAid, che ci restituisce una fotografia della povertà alimentare nel nostro Paese a partire dalla sua intensità, diffusione, distribuzione regionale e dell’impatto sui diversi gruppi socio-demografici (minori, donne, stranieri). Il fenomeno della povertà alimentare viene recepito nell'immaginario comune in modo distorto, con svariati falsi miti che non trovano riscontro nella realtà: sfatiamo quindi i vari luoghi comuni su questo fenomeno e cerchiamo di capire da cosa dipende.

I falsi miti sulla povertà alimentare in Italia

Partiamo anzitutto dallo sconfessare qualche credenza comune.

I poveri sono perlopiù tossicodipendenti e/o senzatetto

Spesso pensiamo che il povero sia un soggetto lontano da noi: immigrati, senzatetto, tossicodipendenti, alcolisti. Se guardiamo più da vicino i dati, scopriamo che la povertà ha un volto più familiare di quanto siamo portati a pensare. Per esempio, il 50% delle persone che si rivolgono a strutture caritative aiutate da Banco Alimentare sono italiani, un dato in forte crescita negli ultimi anni.

Non solo: nella fascia dei bambini e ragazzi (0-17) l'incidenza della povertà è quadruplicata dal 2007 ad oggi. Se i poveri assoluti in Italia sono circa 9 su 100, nella fascia 0-17 arriviamo a 13 su 100. Il dato è riferito soprattutto a famiglie con tanti figli o ai figli di genitori separati.

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Non ci sono tante persone povere in Italia

9 milioni di persone in Italia si trovano in stato di povertà, di cui ben 6 milioni in stato di povertà assoluta: questo significa che il 10% della popolazione in Italia è così povera da non potersi permettersi pasti regolari ed equilibrati. Per esempio, sempre più persone non possono permettersi un pasto con una componente proteica ogni due giorni, e questo dato è più che raddoppiato dal 2007 ad oggi.

Se c’è povertà, perché allora i ristoranti sono sempre pieni?

Essere in povertà assoluta in Italia significa avere a disposizione non più di 800 € al mese per il mantenimento di tutto il nucleo familiare.

Non va poi dimenticato il mercato dei fast food: la povertà alimentare riguarda anche tutti quegli individui e/o famiglie che non sono in grado di assumere adeguate sostanze nutritive.

La povertà alimentare riguarda solo i disoccupati o gli inoccupati

È vero che la perdita del lavoro è la prima causa di povertà. Ma anche avendo un lavoro, seguono a stretto giro il fatto di lavorare ma non avere un reddito sufficiente per il nucleo familiare e la perdita della casa/sfratto.

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Il record si registra tra chi ha un basso titolo di studio, genitori single, famiglie numerose e chi vive in case in affitto e al sud. A Milano, tuttavia, troviamo la crescita più elevata di indigenti: secondo le statistiche è la seconda città metropolitana italiana dopo Napoli per richiesta di assistenza (15.000 nuove richieste nell’ultimo anno).

Da cosa dipende la povertà alimentare

Spesso siamo portati a pensare che la povertà alimentare sia una conseguenza diretta della mancanza di reddito. In parte è pur vero, ma guardare il fenomeno solo da questo punto di vista è poco esaustivo.

Secondo gli studi più recenti in materia, la deprivazione alimentare si accompagna fattori sociodemografici specifici (territorio di appartenenza, differenze di età, livello di istruzione, status lavorativo, cultura di riferimento, abitudini, dinamiche del mercato del lavoro, tipologia familiare).

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Secondo la FAO, ci sono quattro condizioni che determinano la sicurezza alimentare:

  • la disponibilità di cibo (cibo a sufficienza per soddisfare le necessità della popolazione di riferimento).
  • l’accessibilità al cibo (la presenza di strutture di distribuzione devono permettere di accedere facilmente al cibo e, nel contempo, il reddito disponibile deve essere sufficiente)
  • l’utilizzabilità del cibo (capacità di garantirsi una dieta equilibrata e adeguata agli stili di vita del contesto in cui vive). È quindi importante chiedersi se il cibo è utilizzato e utilizzabile in modo corretto, perché le persone possiedono appropriate conoscenze di nutrizione di base.

Sulla nostra capacità di costruire un “percorso di salute” interviene il titolo di studio ma anche la rete sociale nel quale siamo inseriti. Fondamentale in questo senso, non è tanto quello che una persona possiede, quanto quello che una persona percepisce di poter fare con quello che possiede. Questo avviene per l’alimentazione ma anche per i controlli medici periodici e l’attività fisica.

  • la stabilità (ossia disponibilità, accessibilità e utilizzabilità in modo continuativo, che genera una condizione di sicurezza alimentare permanente)

Gli approcci per contrastare la povertà alimentare

Il fatto che le principali misure di intervento siano storicamente concentrate sull’aiuto alimentare di tipo materiale tramite “l’accesso fisico ed economico al cibo per le famiglie in condizioni di vulnerabilità” (fornire pasti), è una diretta conseguenza di una visione monodimensionale del fenomeno. In realtà, come abbiamo visto, è molto più complesso e sfaccettato di così e questa modalità di intervento non ha impatto sui fattori determinanti la povertà alimentare (che, come abbiamo visto, non sono esclusivamente monetari e materiali) o tantomeno sulle sue conseguenze più ampie (esclusione sociale, stress, stigma, ansia, solitudine).

Affrontare il tema della povertà alimentare richiede un’ottica multidimensionale in grado di includere anche le cosiddette dimensioni immateriali (sociali e psicologiche).

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