;)
Su iniziativa del segretario di Stato americano Marco Rubio, gli Stati Uniti hanno annunciato una serie di sanzioni contro la senatrice delle Nazioni Unite Francesca Albanese, figura di spicco nel monitoraggio dei diritti umani nei territori palestinesi e nota per aver utilizzato il termine genocidio per definire quanto accade in territorio palestinese. In particolare, ad Albanese è stato imposto il blocco patrimoniale e il ritiro del visto, con conseguente impossibilità di entrare negli USA.
Si tratta di una misura controversa — che segnala la tensione crescente tra l'impegno per i diritti umani e gli interessi geopolitici attuali — e rarissima per essere rivolta ad un funzionario ONU. Ora si profila una battaglia tra chi sostiene l'indipendenza della senatrice e chi pensa che la neutralità richiesta dal suo mandato sia stata superata.
Chi è Francesca Albanese e cosa fa la relatrice ONU per la Palestina
Francesca Albanese è nata ad Ariano Irpino, in provincia di Avellino, il 30 marzo 1977. Dopo una laurea con lode in Giurisprudenza, presso l'Università di Pisa, ha conseguito anche un Master in Diritti Umani presso la SOAS University of London, e un dottorato in Diritto Internazionale dei rifugiati all'Università di Amsterdam. Oltre ad essere insegnante e ricercatrice in Diritto Internazionale e Migrazione in università europee ed arabe, per circa 10 anni ha lavorato come esperta per l'ONU, specificatamente presso l'OHCHR (Alto Commissariato per i Diritti Umani) e l'UNRWA (Agenzia ONU per i Rifugiati Palestinesi).
Nel maggio 2022 è stata nominata Relatrice Speciale ONU sui Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati, con scadenza iniziale 2025 poi rinnovata, ed è la prima donna a ricoprire questo incarico. Ha presentato rapporti di grande impatto, come “Anatomia di un genocidio” (marzo 2024), in cui denuncia azioni israeliane a Gaza come possibile genocidio, accusando anche la comunità internazionale di essere complice, essendo rimasta silente.
Più recentemente, però, ha anche pubblicato un report con i nomi delle aziende complici della mattanza dei civili palestinesi, e in questo "business del genocidio" – per riprendere le parole di Albanese – spiccano molti nomi statunitensi, come Google, Amazon e Microsoft. Un report che certamente non è andato giù al governo americano, e che da malumore serpeggiante si è fatto realtà a forma di sanzioni.
Le accuse e le sanzioni da parte degli Stati Uniti contro Francesca Albanese
Il Dipartimento del Tesoro USA ha imposto sanzioni personali contro Francesca Albanese il 9 luglio 2025, accusandola di:
- Diffondere sistematicamente false accuse contro Israele;
- Screditare la legittima difesa di Israele dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023, rivendicati da Hamas;
- Aver usato il suo ruolo ONU per promuovere un'agenda ostile allo Stato ebraico;
- Giudizi considerati antisemiti, secondo alcune organizzazioni ebraiche USA e israeliane, in particolare per il suo linguaggio riguardo all’"apartheid israeliana" e al "genocidio in atto" a Gaza.

Le sanzioni imposte prevedono il congelamento dei beni e dei conti bancari eventualmente presenti negli USA, il divieto di ingresso negli Stati Uniti, il divieto per cittadini e istituzioni USA di avere rapporti finanziari o collaborazioni con lei, ma anche un potenziale isolamento accademico e diplomatico a livello internazionale (a seconda delle reazioni degli altri Paesi).
Sono misure che stanno facendo molto discutere, essendo particolarmente controverse per una funzionaria ONU — appartenente dunque ad un'organizzazione internazionale dotata di poteri e strumenti quasi-governativi — che opera al di fuori di specifici confini nazionali.
Cosa potrebbe succedere ora
La senatrice Albanese ha dichiarato di non essere sorpresa, definendo le sanzioni come “un attacco alla libertà di parola e alla verità”. L'ONU l'ha difesa, sottolineando che un Relatore Speciale agisce come esperto indipendente e non rappresenta le posizioni politiche delle Nazioni Unite. Molti attivisti, accademici e ONG hanno accusato gli USA di tentare di intimidire chi denuncia crimini di guerra. Oggi dunque si apre una fase delicata: si temono infatti possibili pressioni per farla rimuovere dall’incarico; un eventuale effetto dissuasivo su altri esperti indipendenti ONU e quindi una mancanza di libertà di parola ed opinione; un aumento della polarizzazione sul conflitto israelo-palestinese anche a livello giuridico.