
Avete presente quella voglia irresistibile di restare a casa, lontani da tutto e da tutti, che ci assale quando siamo malati? Secondo un nuovo studio condotto dal MIT (Massachusetts Institute of Technology), pubblicato sulla nota rivista Cell, non si tratterebbe di una semplice sensazione né di un effetto collaterale della spossatezza febbrile, ma di un vero e proprio stratagemma evolutivo messo in atto dal nostro organismo per limitare la diffusione delle malattie infettive. Durante la febbre, infatti, alcune citochine (molecole infiammatorie prodotte dal nostro corpo quando siamo malati) sembrano modulare specifiche aree del cervello coinvolte nelle interazioni sociali, inducendoci a preferire una tranquilla serata in compagnia della nostra serie preferita a un’uscita con gli amici.
IL-1β: il “postino” che ci spinge all’isolamento quando siamo malati
Mal di schiena, spossatezza generale, emicrania: basterebbero solo questi sintomi, tipici della febbre, per giustificare la nostra scarsa voglia di uscire e socializzare quando siamo ammalati. Eppure, a guidare quella che potremmo definire una vera e propria ‘“apatia febbrile” potrebbe essere un meccanismo molto più specifico. Ma di cosa si tratta, esattamente?
Per scoprirlo, i ricercatori del MIT hanno iniziato studiando le citochine, molecole prodotte dal sistema immunitario quando siamo malati che agiscono come veri e propri “postini” dell’organismo, recapitando messaggi specifici a organi e tessuti, per indurre il nostro corpo a combattere l'infezione. Somministrando nel cervello 21 diverse citochine a un gruppo di topi e osservandone le reazioni, gli scienziati hanno individuato il messaggero chiave nell'interleuchina 1β (IL-1β). Questa molecola, una volta somministrata, induceva i topi a comportarsi come animali febbricitanti, riducendo l’attività motoria, probabilmente a causa del malessere generale, e spingendoli ad allontanarsi dai loro "compagni". Insomma, un po’ come quando rinunciamo a un aperitivo in centro con gli amici per rintanarci sotto le coperte quando siamo malati.
La spossatezza da febbre non è l’unica causa dell’apatia febbrile
Come ogni lettera ha un suo destinatario, IL-1β consegna il suo messaggio riconoscendo specifici recettori (IL-1R1) situati in aree precise del cervello. Utilizzando sonde molecolari (dei veri e propri “detective chimici” capaci di riconoscere molecole specifiche) i ricercatori hanno individuato una grande abbondanza di questi recettori nei neuroni dei nuclei dorsali del rafe, una regione del cervello ricca di neuroni che producono serotonina, un neurotrasmettitore che gioca un ruolo cruciale proprio nella regolazione dei comportamenti sociali.

A conferma del suo ruolo chiave, quando questa regione veniva attivata artificialmente, i topi mostravano gli stessi deficit motori e sociali indotti da IL-1β, confermando che si tratta del suo bersaglio cerebrale. Ma soprattutto, topi privati geneticamente del recettore, dopo la somministrazione di IL-1β, continuavano a essere ipoattivi, ma non si isolavano più dai compagni, dimostrando che l’apatia febbrile non è un semplice effetto dei dolori, ma un vero e proprio stratagemma del cervello, che amplifica la nostra voglia di rimanere soli quando siamo malati.
L’importanza della scoperta dello studio del MIT
Gli esseri umani (come molti altri mammiferi) sono una specie altamente sociale. D'altronde, stare insieme e collaborare per difenderci dai predatori o per costruire rifugi più sicuri ha rappresentato un grande vantaggio evolutivo, ma comporta anche un rischio significativo: favorisce la trasmissione delle malattie infettive.
Tuttavia, la natura, sembra aver sviluppato meccanismi che spingono il nostro cervello ad allontanarci dai nostri simili quando siamo malati. Una sorta di “quarantena istintiva” che non solo ci permette di riposare e guarire, ma protegge anche l’intero gruppo. Insomma, la prossima volta che rifiuterai l’invito di un amico quando non ti senti bene, potrai rispondere: "Non sono io, è il mio cervello che cerca di proteggerti."