
La nausea agisce come un potente inibitore del desiderio di mangiare, ma il processo esatto attraverso il quale questo avviene era stato finora poco chiaro. Un team di ricercatori del Max Planck Institute in Germania ha recentemente scoperto un circuito neurale specifico che spiega come la sensazione di nausea comunichi con le parti del cervello responsabili della fame: la nausea ci dà inappetenza perché interviene su alcune “strade neurali” nell'amigdala impedendo (insieme a particolari neurotrasmettitori) la trasmissione dei segnali elettrici coinvolti nello stimolo della fame.
La scoperta degli scienziati sulla nausea e la fame
Nell’esperimento in questione i ricercatori, attivando specifici neuroni presenti nella porzione mediale (più o meno a metà) dell’amigdala di alcuni topi da laboratorio, riuscivano a far smettere di mangiare esemplari affamati che non mangiavano da molte ore. Allo stesso modo, ottenevano di far tornare a mangiare topi che erano sì affamati, ma che non mangiavano a causa della nausea, inibendo la stessa area.
Questo circuito coinvolge una serie di “strade neurali” che si attivano o disattivano specificamente in presenza di stimoli che inducono la nausea. Una volta attivati, questi neuroni inviano segnali a parti del cervello che regolano l'appetito, con particolare riferimento al complesso parabrachiale che viene inibito da neurotrasmettitori GABA (acido γ-amminobutirrico, il principale neurotrasmettitore inibitorio, ovvero che impedisce la trasmissione di segnale elettrico nel neurone che incontra) suggerendo al corpo di ridurre o eliminare la sensazione di fame.

La nausea è un vantaggio evolutivo
Questo meccanismo ha un chiaro vantaggio evolutivo, poiché evitare il cibo può essere benefico in situazioni dove la nausea potrebbe indicare una tossicità o un pericolo per la salute: mangio un frutto che sembra buono, il mio organismo si accorge che c’è qualcosa che non va attraverso i recettori presenti nel tratto gastrointestinale, il segnale è recepito dal sistema nervoso centrale che innesca così la nausea, impedendomi di mangiarne ancora.
La nausea e la perdita di appetito associata sono considerate adattamenti che hanno aumentato le probabilità di sopravvivenza dei nostri antenati. In un contesto in cui cibo avariato o tossine naturali erano rischi comuni, la capacità di sentirsi nauseati e quindi evitare di consumare cibi potenzialmente pericolosi avrebbe potuto prevenire avvelenamenti e infezioni gravi. La nausea ci avverte di rallentare o interrompere il consumo di cibo fino a quando non siamo sicuri che non ci siano minacce alla salute nel nostro ambiente immediato o fino a quando il nostro corpo si è ripreso da una malattia.
In questo modo, si comporta come un freno biologico fondamentale. Leggermente diverso è il caso della nausea che sperimentiamo durante un'infezione, quando la riduzione dell'appetito e il vomito possono aiutare a limitare l'assunzione di cibo che potrebbe non essere gestita correttamente dal sistema digestivo compromesso, e a ridurre la quantità di energia utilizzata per la digestione, dirottando le risorse verso il sistema immunitario.
L’utilità della scoperta: le possibili applicazioni
La scoperta di questo circuito neurale non solo aumenta la nostra comprensione di come il cervello regola la fame e l'appetito in risposta a segnali interni di disagio, ma apre anche la strada a potenziali applicazioni terapeutiche. Per esempio, potrebbe essere possibile sviluppare trattamenti che modulano questo circuito per aiutare persone con certi disturbi alimentari o per ridurre gli effetti collaterali legati alla perdita di appetito di alcune terapie mediche, come la chemioterapia, rendendole più tollerabili.

La ricerca nel campo della neurobiologia dell'appetito e della nausea continua a svelare complessi meccanismi cerebrali che controllano questi aspetti fondamentali della nostra fisiologia. La comprensione di questi meccanismi non solo è fondamentale per la scienza di base, ma promette anche di portare a miglioramenti concreti nel trattamento e nella qualità della vita dei pazienti.