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19 Dicembre 2023
8:06

Performance climatica, l’Italia precipita al 44esimo posto: la classifica generale

Lo rivela il rapporto annuale “Climate Change Performance Index 2024" sulla performance climatica dei principali Paesi del pianeta, presentato durante la COP28 di Dubai. L'Italia registra un grande passo indietro, che scende dal 29° al 44° posto (su 63) della classifica generale.

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Performance climatica, l’Italia precipita al 44esimo posto: la classifica generale
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Presentato durante la COP28 di Dubai, il rapporto Climate Change Performance Index 2024 è stato presentato da Germanwatch e New Climate Institute, in collaborazione con Legambiente per l’Italia. Il report prende in considerazione la performance climatica di 63 Paesi (più l’Unione Europea nel suo complesso), che insieme sono responsabili di oltre il 90% delle emissioni globali di gas serra.

La performance è misurata attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il CCPI esamina 4 categorie attraverso 14 indicatori: trend delle emissioni (40% del punteggio complessivo), sviluppo dell'energia rinnovabile (20%), efficienza energetica (20%) e politica climatica (20%).

Brutte notizie per il nostro Paese, che perde ben 15 posizioni, passando da metà classifica (29esima posizione) alla 44esima posizione. Vediamo perché e analizziamo la classifica generale.

L'Italia scivola nella parte bassa della classifica

Il peggioramento nelle performance dell'Italia è improvviso e significativo. Nel giro di un anno, infatti, è passata dal 29° al 44° posto della classifica, riuscendo a fare peggio di Paesi come India, Egitto e Colombia. Il risultato è ancora più preoccupante se pensiamo che il nostro è un Paese che più di molti altri ne subisce le conseguenze negative, tanto viene definito un hot spot del cambiamento climatico.

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Credits: Germanwatch 2023.

Si tratta di un risultato raggiunto soprattutto per il rallentamento della riduzione delle emissioni dei gas serra (37° posto della specifica classifica) e per una politica climatica nazionale (58° posto della specifica classifica) fortemente inadeguata a fronteggiare l’emergenza. Infatti, l’attuale aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 40,3 % rispetto al 1990. Un ulteriore passo indietro rispetto al già inadeguato 51% previsto dal PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Di fronte a questo risultato, il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani ha dichiarato:

Serve una drastica inversione di rotta. L’Italia può colmare l’attuale ritardo e centrare l’obiettivo climatico del 65 %, in coerenza con l’obiettivo di rimanere sotto la soglia fatidica di +1,5 °C, grazie soprattutto al contributo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili. Secondo il Paris Compatible Scenario elaborato da Climate Analytics, il nostro Paese è in grado di ridurre le sue emissioni climalteranti di almeno il 65 % grazie al 63 % di rinnovabili nel mix energetico e al 91 % nel mix elettrico entro il 2030. E così arrivare nel 2035 al 100 % di rinnovabili nel settore elettrico, confermando l’uscita dal carbone entro il 2025 e prevedendo quella dal gas fossile entro il 2035. In questo modo sarà possibile raggiungere la neutralità climatica già nel 2040.

La classifica generale: i primi Paesi e quelli nelle ultime posizioni

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I primi 25 Paesi classificati secondo l’indice CCPI. Credits: Germanwatch 2023.

Come negli anni precedenti, le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, in quanto nessuno dei Paesi ha raggiunto la performance necessaria per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di +1,5 ° C. Con il quarto posto si conferma in testa alla classifica la Danimarca, grazie soprattutto alla significativa riduzione delle emissioni dei gas climalteranti ed allo sviluppo delle rinnovabili. Seguono Estonia (5°) e Filippine (6°) che rafforzano la loro azione climatica nonostante le difficoltà economiche.

Al contrario, in fondo alla classifica ci sono Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili: Canada (62°), Russia (63°),  Emirati Arabi Uniti (65°), Iran (66°) e Arabia Saudita (67°). Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno da poco ospitato la COP28, sono uno dei Paesi con i risultati più bassi. La performance degli Emirati delude in 3 categorie su 4, in particolare le elevate emissioni pro capite (25,9 tonnellate) e la bassa quota di energie rinnovabili (meno dell’1 %).

Quello che è emerso dal rapporto è che alcuni Paesi ottengono buoni risultati in singole categorie, ma nessun Paese ottiene costantemente risultati “alti” o “molto elevati”. E uesto vale anche in Paesi con politiche climatiche relativamente ambiziose, come la Danimarca, dove l’azione per il clima si è quasi interrotta dalle elezioni nazionali dell’ottobre 2022, minacciando gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni per il 2025 e il 2030. Ciò accade semplicemente perchè la media non è sufficiente per un percorso che consenta di non oltrepassare la soglia di sicurezza di +1,5 °C.

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Credits: Germanwatch 2023.

Ancora male Cina e USA, in forte ascesa il Brasile

La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, rimane al 51° posto del CCPI del 2023 e i redattori del rapporto commentano che, nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili ed il miglioramento dell’efficienza energetica, le emissioni cinesi continuano a crescere per il forte ricorso al carbone.

Gli Stati Uniti d’America, invece, secondo emettitore globale, si posizionano al 57° posto, un passo indietro di cinque posizioni rispetto alla precedente edizione del CCPI, un calo dovuto all’ancora scarsa attuazione delle misure previste dall’Inflation Reduction Act, che destina un considerevole sostegno finanziario per l’azione climatica.

Tuttavia, un Paese del G20 che è migliorato in modo significativo, diventando uno dei migliori climber è il Brasile, che scala ben 15 posizioni raggiungendo il 23° posto. Come previsto, il cambio della presidenza brasiliana ha avuto un impatto positivo. Sotto il presidente Lula, il Brasile sta perseguendo una politica climatica più progressista, sia a livello internazionale che nazionale. Tuttavia, gli esperti del Paese sottolineano che il Brasile, allo stesso tempo, sta ancora espandendo la produzione di combustibili fossili e potrebbe non raggiungere i suoi obiettivi climatici. Il G20 nel suo insieme deve accelerare in modo significativo l’espansione delle energie rinnovabili ed eliminare gradualmente tutti i combustibili fossili il prima possibile, avendo una responsabilità speciale per quanto riguarda gli elevati livelli di ambizione climatica, poiché rappresenta circa l’80 % delle emissioni globali di gas serra.

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