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30 Settembre 2021
7:30

Scoperte le impronte più antiche d’America

In New Mexico sono state trovate le impronte umane più antiche d'America. La loro età, compresa tra i 21 e i 23 mila anni fa, è stata ricavata grazie alle datazioni con il radiocarbonio, una tecnica ampiamente utilizzata nelle geoscienze. Questa scoperta apre una porta verso la comprensione delle migrazioni intercontinentali degli uomini preistorici, ad oggi ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica.

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Scoperte le impronte più antiche d’America
Impronte

L’uomo preistorico ha raggiunto l’America migliaia di anni prima di quanto si credesse.
La storia di questo incredibile viaggio intercontinentale è raccontata da semplici impronte, la cui età – ottenuta tramite analisi al radiocarbonio – è compresa tra i 21 e i 23 mila anni. Questo valore, come confermato da uno studio uscito su Science a settembre 2021, stravolge le nostre conoscenze sul primo insediamento umano in America.

Impronte nella sabbia

Andiamo con ordine. Ci troviamo in New Mexico, all’interno del Parco Nazionale White Sands. Come suggerisce il nome, il parco è famoso per la presenza di grandi distese di sabbia bianca – ovvero ciò che resta di antichi laghi ormai evaporati.
Il parco è da anni oggetto di interesse scientifico: qui sono state trovate moltissime impronte fossili appartenenti alla cosiddetta megafauna dell’era glaciale come mammut, bradipi terricoli giganti e grandi lupi.

Era glaciale ecosistema
Illustrazione di un ipotetico ecosistema durante l’era glaciale (credit: NPS).

Oltre che di animali, il White Sands Park ci ha recentemente regalato impronte di esseri umani. In prossimità dell'antico Lago Otero sono stati condotti degli scavi che hanno sorprendentemente portato alla luce 61 tracce, probabilmente appartenenti a 16 diverse persone. Basandosi sulle dimensioni, gli studiosi ritengono che si tratti perlopiù di segni lasciati da ragazzi e bambini che camminavano su quella che, al tempo, era la fangosa riva del lago.

Datazioni al radiocarbonio

Per poter dire "queste impronte sono le più antiche mai trovate in America" è necessario fare delle datazioni. E cosa vuol dire?
Datare significa comprendere l’età di un oggetto (o, in questo caso, di un impronta) e uno dei metodi più comuni è la datazione al radiocarbonio. In termini “pop”, questo metodo analizza il carbonio contenuto in un campione e, "contando" gli isotopi presenti, permette di ricavare un'età indicativa dell'oggetto. È come se gli isotopi del carbonio fossero un “orologio”: la datazione permette di leggere questo orologio e di capire quanti anni ha il campione che stiamo analizzando.

trincea impronte
Trincea scavata per analizzare le impronte fossili (credit: NPS).

Le impronte però non contengono in sé carbonio e quindi per datarle i ricercatori dell’USGS si sono dovuti ingegnare. Fortunatamente per loro, nei livelli di suolo superiori ed inferiori alle tracce erano presenti i resti di alcuni semi di erba (Ruppia cirrhosa) che, in quanto tali, contengono tracce di carbonio analizzabili.
I risultati hanno permesso di ottenere per lo strato inferiore un'età di 22.860 (∓320) anni, mentre per quello superiore di 21.130 (∓250) anni. Quindi, in sintesi, le impronte si sono probabilmente formate tra i 23 e i 21 mila anni fa.

Questa età corrisponde al culmine dell’ultimo ciclo glaciale, conosciuto come “ultimo massimo glaciale”, e rende queste impronte le più antiche mai trovate nelle Americhe.

Storia dell’uomo nelle Americhe

Trovare impronte, utensili e resti di antichi accampamenti è un evento estremamente raro. Per questo motivo ricostruire i viaggi dell’uomo preistorico nelle Americhe è stata per decenni un’impresa – e lo è tutt’ora.

Inizialmente si ritenne che l’uomo più antico a viaggiare tra Asia e America fu l’uomo di Clovis, così chiamato in onore dell’omonima città americana dove sono stati trovati i primi manufatti di questa popolazione. Si ritiene che il loro arrivo sia coincidente con la fine dell’ultima era glaciale, quando lo stretto di Bering tra Russia e Alaska era percorribile a piedi e, allo stesso tempo, le grandi calotte glaciali canadesi iniziarono a ritirarsi, permettendo il passaggio sulla terraferma.
Questa migrazione, secondo le stime più recenti, si sarebbe verificata tra i 13 mila e 12 mila anni fa (Waters et al., 2020). Per buona parte della comunità scientifica di metà Novecento, l’uomo non sarebbe mai potuto arrivare prima di questo periodo a causa dell’era glaciale in corso e quindi, all’epoca, si smise addirittura di cercare resti più antichi. Dagli anni ‘80 in poi, però, la mentalità iniziò a cambiare e presto ci si rese conto che l’uomo di Clovis non fu il primo. Iniziarono a essere trovati resti di 14, 15 e 16 mila anni fa, arrivando ai 18,5 mila anni fa di alcuni resti cileni (Dillehay et al., 2015) e ai 20 mila di alcuni manufatti texani (Williams et al., 2018). Questo fino al 2021, quando finalmente si riuscì a datare resti di 21-23 mila anni fa, cioè al culmine dell’ultima era glaciale.

Questa scoperta rimette in discussione tutto quello che sappiamo sull'approdo nel Nuovo Mondo da parte dei primi uomini preistorici. Sono passati attraverso lo stretto di Bering prima che la glaciazione bloccasse il passaggio? Hanno lasciato discendenti o si sono estinti?
Solo il tempo e ulteriori ricerche sapranno dare una risposta a questi interrogativi.

Sono un geologo appassionato di scrittura e, in particolare, mi piace raccontare il funzionamento delle cose e tutte quelle storie assurde (ma vere) che accadono nel mondo ogni giorno. Credo che uno degli elementi chiave per creare un buon contenuto sia mescolare scienza e cultura “pop”: proprio per questo motivo amo guardare film, andare ai concerti e collezionare dischi in vinile.
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