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11 Aprile 2024
16:49

Sicurezza e rischi delle centrali idroelettriche in Italia: un problema è l’età degli impianti

Per i lavoratori, i rischi delle centrali idroelettriche sono legati soprattutto alle attività di manutenzione, come nel caso dell'incidente di Suviana nell'impianto di Bargi. Questo è un problema per la sicurezza negli impianti, considerando che l'età media delle centrali in Italia continua ad aumentare e gli incentivi per il ripotenziamento degli impianti sono molto bassi.

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Sicurezza e rischi delle centrali idroelettriche in Italia: un problema è l’età degli impianti
sicurezza centrali elettriche in Italia

Il disastro alla centrale idroelettrica di Bargi nel lago di Suviana di martedì 9 aprile 2024, dovuto probabilmente a un danno alla turbina che ha innescato un incendio all'alternatore della centrale, ha riacceso i riflettori sul tema della sicurezza delle centrali idroelettriche in Italia e in particolare dei rischi per i lavoratori, avendo già provocato 5 morti accertati tra gli operai impegnati nella manutenzione dell'impianto. Qui non intendiamo entrare nel merito della specifica vicenda, ma concentrarci sulla situazione italiana nel suo complesso. Questo perché la storia insegna (vedi Chernobyl o Fukushima) che è quantomeno riduttivo giudicare un'intera categoria – in questo caso l'energia idroelettrica – a partire da un singolo incidente, per quanto rilevante a livello mediatico. Quello di Bargi, per esempio, non è il primo grave incidente idroelettrico in Italia, basti pensare al disastro del Gleno nel 1923 (356 morti) o al disastro del Vajont del 1963 (1917 vittime), che però non hanno impedito all'idroelettrico di essere la “regina delle energie rinnovabili” in Italia con una produzione annua di circa 30.000 GWh. Facciamo quindi chiarezza tentando di spiegare le misure di sicurezza e prevenzione delle centrali idroelettriche italiane e quali sono al momento i problemi principali.

Cosa prevedono le misure di sicurezza per le centrali idroelettriche italiane

Ad oggi in Italia esistono 4860 centrali idroelettriche distribuite prevalentemente lungo l'arco alpino, per un totale di 500 grandi dighe (di altezza superiore a 15 metri e invaso superiore a 1.000.000 m3) e 10.000 piccole dighe. La sicurezza delle centrali idroelettriche è legata quindi anche agli sbarramenti, ai bacini e alle condizioni geomorfologiche, oltre che alle centrali stesse. Uno degli enti di riferimento è il Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (DIT) dell'INAIL, che in una recente analisi afferma:

È possibile monitorare in modo automatico la stabilità dei versanti, i livelli idrici ecc. attivando in caso di emergenza lo svuotamento controllato dell’invaso o altre attività di sicurezza, ma anche l’efficienza degli impianti può essere attentamente monitorata attraverso verifiche in autocontrollo o in occasione di verifiche previste per legge ad opera degli enti preposti tra cui l’INAIL. Nelle dighe sono presenti numerosi impianti ed attrezzature che richiedono la denuncia e la successiva verifica da parte dei tecnici INAIL.

centrale idroelettrica diga

Esistono specifici riferimenti di legge per ciascun tipo di impianto presente in una centrale idroelettrica, che prevedono controlli e verifiche periodiche obbligatori. In particolare, ecco le misure previste per bacini, sbarramenti e condotte forzate:

Nel bacino vengono continuamente monitorati il bilancio idrogeologico del bacino imbrifero e le condizioni geomorfologiche a monte, l’eventuale accumulo di sedimenti e per i bacini montani la presenza di ghiaccio. A seconda della tipologia costruttiva nello sbarramento è necessario controllare la stabilità del manufatto, il mantenimento delle condizioni di impermeabilità attraverso una rete di sensori ed in alcuni casi attraversando appositi cunicoli di ispezione. La condotta forzata viene ispezionata per prevenire danni dovuti all’invecchiamento, alla stabilità del versante ed anche agli effetti delle variazioni di portata (colpi d’ariete).

Le dighe recenti o ristrutturate sono dotate nello specifico di una serie di sensori per il monitoraggio in tempo reale di tutte le parti e strumenti di regolazione per variare la portata dell'acqua e svuotare rapidamente il bacino in caso di emergenza. Ciascuno di questi sistemi viene verificato prima dell'installazione e in seguito periodicamente. Lo stesso vale per tutti i sistemi elettrici, sia per la centrale di produzione dell'energia sia per la centrale di trasformazione collegata alla rete elettrica nazionale.

I rischi per i lavoratori negli impianti idroelettrici italiani

Dal punto di vista dei rischi, le centrali idroelettriche sono assimilabili a ogni altra grossa attività industriale, con peculiarità specifiche legate al fatto che spesso le centrali si trovano in luoghi difficilmente raggiungibili e lontani dalle aree abitate. Le operazioni di manutenzione comportano particolari rischi, legati soprattutto a cadute, scivolamenti, rischio chimico, rischio elettrico, utilizzo di attrezzature a pressione ed elevati livelli di rumore. In casi come quello della centrale di Bargi, poi, un altro aspetto da tenere in considerazione è la relativa difficoltà a individuare vie di fuga rapide in caso di emergenza.

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E il fuoco? Dopo tutto a Bargi è scoppiato un incendio. Fortunatamente le centrali idroelettriche sono tra gli impianti con un rischio di fuoco tra i più bassi: a differenza delle centrali termoelettriche non lavorano con combustibili e – cosa che non guasta – sono per definizione vicine a grandi quantità di acqua. L'incidente di Suviana del 9 aprile dimostra che nemmeno questi impianti sono esenti dal rischio incendi, dovuti principalmente ai sistemi elettrici, agli impianti di raffreddamento dei generatori e alla presenza di olio nei trasformatori.

Secondo l'analisi INAIL, nel quinquennio 2017-2021 i rischi legati alla produzione dell'energia sono legati soprattutto a eventi infortunistici e alle malattie professionali.

Il problema principale della sicurezza è l'età delle centrali idroelettriche

Il caso di Bargi ci ricorda quindi che i rischi maggiori delle centrali idroelettriche sono connessi alla manutenzione. Le vittime dell'incidente, infatti, stavano revisionando uno dei due gruppi di produzione di energia nell'impianto sul lago di Suviana. Chiaramente, le operazioni di manutenzione saranno tanto più frequenti e complesse quanto più vecchie sono le centrali. In altre parole, la sicurezza delle centrali idroelettriche dipende fortemente dalla loro “salute”. Ecco quindi il problema: il 70% circa degli impianti idroelettrici in Italia ha più di 40 anni: l'idroelettrico italiano comincia ad “avere una certa età”. L'Italia non è sola in questo: negli Stati Uniti, per esempio, la maggior parte degli impianti ha tra i 30 e i 70 anni. Del resto, l'energia idroelettrica è la più “classica” delle energie rinnovabili e in Italia esiste dal lontano 1895 (anno di costruzione della centrale di Paderno d'Adda, in provincia di Lecco).

Secondo un recente studio congiunto di The European House – Ambrosetti e il fornitore di energia A2A, occorrerebbe una spesa di 48 miliardi di euro in 10 anni per rilanciare l'idroelettrico in Italia, che è l'unica fonte di energia rinnovabile programmabile e ha un ruolo importante anche nello stoccaggio stagionale (quindi di lunga durata). Questa cifra coprirebbe il ripotenziamento degli impianti esistenti, oltre che la costruzione di nuove centrali. Al momento però gli incentivi per affrontare questo impegno economico sono relativamente bassi principalmente per via della durata delle concessioni, che in Italia è relativamente bassa rispetto ad altri Paesi. Nel Belpaese la durata media delle concessioni si aggira infatti tra i 20 e i 30 anni, decisamente meno dei 40 anni in Francia, dei 75 anni della Spagna e addirittura dei 90 anni dell'Austria.

La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che le prolungate siccità, soprattutto nell'arco alpino, hanno provocato una significativa diminuzione della produzione di energia idroelettrica, che nel 2022 si è assestata a circa 30 GWh annui contro circa 50 GWh degli anni precedenti.

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Filippo Bonaventura
Content editor coordinator
Laureato in Astrofisica all’Università di Trieste e ha conseguito un Master in Comunicazione della Scienza presso la SISSA di Trieste. È stato coordinatore della rivista di astronomia «Le Stelle», fondata da Margherita Hack. Insieme a Lorenzo Colombo e Matteo Miluzio gestisce il progetto di divulgazione astronomica «Chi ha paura del buio?». Vive e lavora a Milano.
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